L’Altro Uliassi: il menu di caccia come non lo avete mai immaginato

Mauro Uliassi

Mauro Uliassi

di Giulia Gavagnin

Un richiamo dall’alto, non so da chi o da cosa. Non credo nelle divinità superiori, solo nelle umili capacità umane, discuto ogni ordine fino a che non mi convince. Nasco e finisco insubordinata. Eppure, spinta dalla sola forza dell’idea, sapevo in cuor mio che il menu di caccia di Mauro Uliassi è la miglior cena immaginabile, per chi è predisposto a ad assalti frontali smussati da languide carezze, ovviamente. L’”Altro Uliassi” l’ho tenuto in fondo, lab dopo lab, dire dulcis in fundo è scontato, però così è arrivato. Ultima cena prima del secondo lockdown, forse è un caso, forse no. Ho sentito un richiamo, non servirebbe parlarne, lo hanno fatto già in molti, basta googlare. Viene fuori che un ispettore straniero della Michelin aveva fatto sentire a Mauro il profumo della terza stella proprio grazie alla caccia, ma questo te lo racconta pure lo chef.

Viene fuori che Mauro Uliassi (tre stelle Michelin e saldamente secondo in 50 Top Italy)  ricorda quando andava a caccia col padre, che però molto presto ha smesso, per un senso di pietà verso gli animali e il mondo che forse stava andando da un’altra parte. Poi il mondo ha ripreso a girare da quella parte, evidentemente, e lui ha estratto dal cassetto quel ricordo così intimo alla tradizione marchigiana, che non è solo pannocchie e pescatrice ma anche colombaccio e alzavola. Acqua e sangue, e il sangue in questo percorso entusiasmante si sente sovente,  una nota ematica che è sempre ancestrale, di uomo che si procacciava il cibo col fuoco, atto cruento che fa parte del nostro DNA di predatori, anche se la cosa suona male oggigiorno.

Il menu di Mauro Uliassi

In realtà, se si leggono i testi sacri, basta l’Artusi, che di fatto è un libro di cucina regionale, pare si cucinassero a queste latitudini tonnellate di tordi, pernici, alzavole, colombacci, lepri. Se n’era solo persa l’abitudine, a un certo punto. Quindi, in questa meravigliosa restaurazione Mauro Uliassi, che in fondo  è un Artusi contemporaneo, ha sciorinato la sua enciclopedia della caccia, che per citazioni e completezza meriterebbe un manualetto a parte. I matrimoni misti e le incursioni nella Grande Cucina si sprecano e danno luogo a chimere insospettabilmente aggraziate. Tartare di lepre? Si, ma con i ricci di mare, che ci portano direttamente a una versione ematica del suo ormai celebre pancotto. Grouse a Senigallia?

Pare incredibile, l’ultima volta era stato a Londra da Rules per la “game dinner” che è anche un gioco di parole. Però Uliassi mica si accontenta del cosciotto di grouse, te la porta con le ostriche. Fondente di patate, anatroccolo e tartufo nero che è un manifesto alla regione.

Colombaccio, sugo di agnello e una nota balsamica di eucalipto, che è un tocco di magia allo stato puro, pineta e brughiera insieme, alla faccia dell’evocazione.  Ravioli di patate con finanziera di selvaggina e nocciole arrostite che fanno il pari con i ravioli di zucca di Fulvio Pierangelini, ovvero il tradizionale che non ti scorderai più, in una parola: meglio di così è impossibile.

Poi i classici, gli ultracitati royale di germano (ricetta che più francese di così si muore), l’oca laccata alla ciliegia e frutti di bosco, il colombaccio alla marchigiana e il capriolo con fichi e castagne.

Game, set, match. La caccia è tornata di moda, molti chef inseriscono nei loro percorsi uno o due piatti di selvaggina. Uliassi, tuttavia, credo sia stato il primo a proporne uno intero alla sua maniera, carica di evocazioni, contrappunti jazz, acquarelli alla Debussy, echi pinkfloydiani. Non è per tutti. E’ per chi sposa quell’idea di antiche forze ancestrali, di essere umano primordiale. Il filosofo spagnolo Ortega Y Gasset scrisse:” Il senso e il significato della caccia li capiamo solamente se comprendiamo la natura dell’animale e quella dell’uomo. Capire il senso della caccia presuppone che si capisca l’essere umano”. Sarà per questo che il percorso di caccia di Uliassi mi ha dato più di tutti gli altri, perché è così umanista, più minimalista che roboante, più sussurrato che gridato. In ogni caso, grandioso.

Menu di caccia di Mauro Uliassi


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