Menu Degustazione / Ristorante Giglio, Lucca

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato
Ristorante Giglio

di Fabrizio Scarpato

Bisogna avere pazienza. Anche il semplice appassionato dovrebbe avere pazienza. La stessa che esercitano spesso quei ristoranti a conduzione familiare che a un certo punto della loro storia affidano il testimone alle nuove generazioni. Possibilmente senza scossoni. Vengono in mente i Ceraudo, gli Abbruzzino, o ancora i Costardi, i Milone: tutte storie che sono maturate poco a poco, in cui il talento ha dovuto adeguarsi alle esigenze e alle certezze dell’esperienza e della conoscenza. Dovremmo sapere che non basta un premio e gli onori della cronaca gastronomica per fare un cuoco: invece spesso si esaltano ragazzi ventenni, non di rado con spalle troppo deboli per sopportare il peso di un ristorante. Nemmeno se i ragazzi sono tre.
A questo devono aver pensato i titolari del Giglio a Lucca, un ristorante di tradizione in pieno centro all’interno delle Mura, quando il loro figliolo ha preso in mano le redini della cucina insieme a due suoi amici e colleghi: noi vi sosteniamo, ma un passo alla volta. E io, per parte mia, due anni fa avrei dovuto sapere che qualche bel piatto ben fotografato e un premio nazionale a uno stratosferico Spaghetto alle vinacce e fegato di colombaccio, non potevano essere sufficienti a ribaltare una linea consolidata da decenni. Così trovai una carta confusa, non leggibile, qualche buon piatto e poco o nulla di quanto avrei voluto assaggiare: forse le novità erano confinate a un menu degustazione a mano libera al quale già allora mi mostravo recalcitrante. Colpa mia. Ma dello spaghetto neanche l’ombra. Rimasi deluso, appesantito da moquette e tendaggi d’antan, da tavolate di stranieri schiamazzanti, da tavoli molto ravvicinati, da una rotazione assidua, incalzante, pur sotto la guida premurosa dei responsabili di sala. Ragazzi, i numeri sono numeri, e prima di fare salti in avanti occorre cercare un nuovo punto di equilibrio (devono essersi detti).
Due anni dopo esatti, rieccomi qui. Stefano Terigi, Benedetto Rullo e Lorenzo Stefanini hanno acchiappato la stella, pur non avendo ancora definitivamente mollato gli ormeggi. Però il menu è diventato più comprensibile, pochi piatti e una piccola sezione dedicata alla tradizione dura e pura, prezzi che una volta si definivano commoventi per quanto onesti, una carta dei vini intrigante, qua e là anche profonda, e una sala che sembra alleggerita, più luminosa e spaziosa. Dico sembra perché c’è un sole di metà febbraio che lévati e decidiamo di pranzare fuori, in piazza. Dove si parla italiano, inglese, persino portoghese, e dove si può mangiare come si vuole, magari mano nella mano, o velocemente ma con una bella bottiglia di rosso in tavola, o rilassandosi affacciati sui mille colori del mercato antiquario disseminato sulla piazza, davanti al teatro. E i tre giovani cuochi (scrivo giovani per l’ultima volta, che  il tempo passa per tutti…) sanno come destreggiarsi tra le diverse culture e gusti, forti di esperienze di lavoro in giro per il mondo e di una particolare sensibilità, sia compositiva che cromatica.
Ne sono prova una Tartare di manzo presentata come una nuvola verticale, mantecata con yogurt, spumosa, scomposta e poggiata su un felafel che sbriciola polvere verde, in una serie di contrasti originali, giocati tra una acidità insolita e note tostate; ma anche una prorompente e dirompente proposizione della Capasanta, forse appena scottata, e marinata con cetrioli, alga nori e rafano, completata da ostriche e da un succo di melagrana servito al tavolo, in un tripudio di consistenze, dolcezze, sapidità e acidità, peraltro in una composizione degna della cucina Kaiseki. Ecco che già in due piatti, peraltro indicati come antipasti, si è fatto mezzo giro del mondo… prima di tornare a casa, con la pasta, secca e fresca, che credo senza tema di smentite, qui al Giglio trova una delle massime espressioni.

Perché le Linguine affumicate con ostriche e agrumi sono un concentrato di delicatezza, perfettamente cotte, nervose ma calibrate nei sapori, per una forchettata di particolare finezza; perché i Tagliolini con bergamotto e bottarga di tonno sono finalmente una pasta fresca al dente, chiodata, vibrante, gialla di uova, ruvida, eppure godibile filo a filo. Infine perché il Risotto ajoojoepeperoncino (sic), gamberi rossi crudi e garam masala è un capolavoro di profondità e golosità, e non solo perché servito in una ciotola, e nemmeno perché i gamberi sono coperti, come piccoli tesori da scoprire, sotto un riso giallo di curcuma e curry sgranatissimo e mantecato magistralmente.

No, profondo e goloso perché i sapori si sommano come stratificazioni successive ad ogni forchettata e perché quella stessa forchetta cederebbe volentieri il passo a uno sfrontato cucchiaio, per sprofondare e naufragare nell’onda.

La conclusione con una Guancia di vitello, salsa al vino rosso e patata montata,  tiene viva felicemente la tradizione toscana guardando con un occhio alla Francia, per la consistenza della salsa e la sofficità del purè, per la croccantezza in superficie della carne, per un morso confortevole, pieno e intensamente saporito, da chiudere gli occhi, con un sorso di vino rosso e una fetta di pane come si deve.

La Francia ritorna nel dessert: una Paris brest alle nocciole, di pasta quasi croccante, mai troppo dolce e tanto meno stucchevole nella crema di nocciole, anzi dotata di uno scarto laterale imprevisto ogni volta che il palato si imbatte in un inopinato quanto gradito granello di sale.

Il sole cala dietro un fungo teoricamente messo lì per riscaldare ma che oggi è sembrato un ferrovecchio da modernariato: in un tavolo si brinda, e bene, a qualche cosa, i camerieri sparecchiano un po’ trafelati, anche perché non proprio giovanissimi, due ragazze brasiliane capitate lì per caso familiarizzano: rifletti che forse è giusto così, che non serve vestirsi di nuovo a tutti i costi, che una certa vena di turismo sano e cosmopolita non stona affatto, anzi muove le acque, sdrammatizza, riuscendo comunque a mettere in evidenza quanto di prezioso i tre cuochi sanno proporre, rendendolo in qualche modo più autentico e vero, identitario e esente da vacue fughe in avanti. Come è vero che si tornerà, tra un po’, perché una cosa è certa: il bello deve ancora venire. Pazientemente.
Ristorante Giglio
Piazza del Giglio
Lucca

Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version