Michele Perillo a Castelfranci, la timidezza austera di Taurasi e Coda di Volpe

Pubblicato in: Cantine e Produttori di Vino

Ettari: 7 di proprietà di cui 5 vitati: 3 ettari a Baiano, uno a Montemarano e uno a contrada Valle a ridosso della casa cantina.
Enologo:  Carmine Valentino
Agronomi: non ha agronomo
Uva coltivate: aglianico, coda di volpe, coda di volpe rossa
Allevamento e densità di impianto: starseta e spalliera (a Montemarano). Circa mille ceppi per ettari
Produzione kg/pianta: 2,5 chili.
Esposizione vigne: Baiano e Contrada Valle Sud-Ovest, Montemarano Nord Est
Epoca di impianto delle vigne: a Baiano e Contrada Valle 1920, a Montemarano 1985
Altezza media: da 480 a 500 metri
Lavorazione del terreno:  trinciatura
Conduzione: biologica non certificata
Concimazione: nessuna
Lieviti: indigeni
Mercati di riferimento: 30% Italia (Campania), 70% Estero (Giappone, Stati Uniti, Inghilterra
Bottiglie totali prodotte: 25.000
Percentuale di uve acquistate:  zero

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LA STORIA
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La storia di Michele Perillo può essere una metafora di cosa è successo al Sud quando in Italia la cultura contadina era relegata nelle riserve indiane. Insediata da tempo immemorabile a Castelfranci (Perillo qui è come dire Esposito a Napoli), la famiglia si è da sempre dedicata alla coltivazione della terra. Sicuramente, a memoria, sino al bisnonno. Fu il nonno Michele a piantare le prime viti a Baiano e attorno alla casa, lui contadino che come altre centinaia di migliaia di contadini del Sud erano stati chiamati da Sonnino a fare carne da macello sul Piave e l’Isonzo.

Non c’è meridionale che non abbia un parente che ha combattuto ed è morto nella Prima Guerra Mondiale. Ed è con il nonno che Michele è cresciuto perché suo padre scomparve quando aveva appena tre anni. Dopo il terremoto del 1980 le ingenti quantità di danaro furono utilizzate, oltre che a ricostruire a pagare tangenti, anche a realizzare una fissa della politica del periodo: creare industria nelle zone interne. Tante aziende vennero, presero gli incentivi, assunsero le persone segnalate dai ras locali e poi chiusero i battenti. Non era difficile prevederlo visto che il processo di deindustrializzazione in italia è iniziato nella sconda metà degli anni 70.

Solo quelle dell’agroalimentare hanno resistito e in una di queste Michele da contadino divenne operaio: alla Ferrero. Seguì un percorso, forse un sogno, di migliaia di giovani che inseguivano la fabbrica per liberarsi dalla fatica della terra, in Irpinia come in Lucania a Melfi. Così facendo questi territori hanno iniziato segare l’albero su cui stavano seduti pensando di realizzare finalmente il progresso e adesso le conseguenze le pagano le generazioni dai 40 anni in giù che sono costrette ad andare via come i loro bisnonni.

La mentalità anarcoide tipica di queste aree spinese però Michele a dare le dimissioni: “A parte la sicurezza di uno stipendio mensile regolarmente pagato non ce la facevo a fare ogni giorno le stesse cose negli stessi orari”. E così torno a trascorrere tutta la giornata nella sua vigna insieme alla moglie Annamaria. Adesso il primo figlio si è iscritto al corso di Enologia con Luigi Moio, l’altro, Nicola, è al’istituto agrario. Nel 1999 la prima vendemmia imbottigliata dopo aver prodotto sfuso e uva per il mercato locale e l’inizio di una storia più difficile ma ineludibile: alto artigianato agricolo per poter restare e vivere dignitosamente dove la sua famiglia è insediata dalla notte dei tempi.

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LA VIGNA
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La parola d’ordine della viticultura di Perillo è l’rregolarità. Dimenticate la vigne monocultura a spalliera perché i due vigneti di Baiano e di Contrada Valle sono in intreccio infinito di cloni, piante a piede franco di quasi cento anni, sistema di allevamento a starseta (a raggiera), a spalliera (Monemarano e piccole parti di Baiano), misto (Baiano e Contrada Valle).

Anche i suoli sono molto diversi: c’è quello argilloso di Montemarano, tufaceo a Contrada Valle, sabbioso limoso da materiale vulcanico. E dunque suolo bianco, nero, persino rosso in alcuni tratti. La conduzione è di tipo biologico, nessun concime, trattamenti essenziali ma è sicuramente questo il passo da fare per un’azienda che ormai esporta il 70% all’estero: la certificazione europea i cui paletti, andiamo a naso, saranno sicurmente molto più bassi della conduzione di questa vigna viva, ricca di biodiversità.

A cominciare dai cloni: qui la coda di volpe a volte ha il grappolo con le alette, altre è perfettamente cilindrico. Con acini piccoli, ricchi di acidità. Nelle vigne di un tempo convivevano ovunque in Italiano bianco e rosso perché il primo servira a diluire i tannini del secondo. E nell’areale taurasini dove l’aglianico preseta sempre seri problemi sui tannini il bianco poco acido rendeva il vino commerciabile anche subito dopo la vendemmia, a Natale. Le cose sono cambiate, ma nel vigneto di Michele no: aglianico e coda di volpe tranquillamente convivono così come le piantò il nonno. In cantina la vinificazione adesso è, ovviamente separata.

C’è anche la Coda di Volpe Rossa di cui è stato vinificato per la prima volta a parte un quintale. Pochi tannini (dunque stessa funzione nel vecchio modo di produrre il vino della coda di volpe bianca), pochi antociani e discreta freschezza. C’è molto lavoro da fare sul versante olfattivo con una riduzione dura a morire anche dopo 30 minuti di ossigenazione. Ma chi vivrà berrà.
La vendemmia viene fatta a fine ottobre per il bianco e a novembre per il rosso. Bisogna considerare che siamo in una delle zone più fredde del’Irpinia, a circa 500 metri, dove la maturazione è lentissima.
E questo elogio della lentezza lo ritroviamo nella vinificazione.

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I VINI
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Coda di Volpe Irpinia doc

Bottiglie prodotte: 2.000
Fermentazione e maturazione: acciaio
Prezzo: 7,5 senza Iva franco cantina

Sicuramente uno dei vini bianchi più buoni d’Italia. Sosta a lungo sulle fece in vasca e viene messa in commercio dopo tre anni dalla vendemmia. Inizialmente non èstata una scelta, confessa Michele: è che il mercato talmente ignorante e omologato stava abbandonando il consumo di questo bianco. E, come si dice a Napoli, entra storta ed esce dritta: gli anni anno dimostrato quello che avevamo verificato empiricamente con altre cantine (Ocone, vadiaperti, Fattoria La Rivolta); e che cioé questo bianco ci guadagna con il tempo raggiungendo una complessità simile a quella del Fiano. Oggi la Coda di Michele è in assoluto uno dei bianchi più buoni d’Italia e trovo incredibile un prezzo così basso. Prodotta solo in Magnum non avrebbe prezzo sotto i 50 euro.

Aglianico Irpinia Campi Taurasini doc

Bottiglie prodotte 3.000
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Prezzo: 9,5 franco cantina senza Iva
Un vino di servizio, in alcuni anni memorabile e da affare, in altri solo ben eseguito. Anche qui però il tempo gioca le sue carte, basti pensare che adesso entra in commercio la 2011.

Taurasi

Bottiglie: 7.000
Uva: aglianico
Fermentazionee  maturazione: acciaio e legno
Prezzo: 16,50 franco cantina senza iva

Taurasi Riserva
Bottiglie: 7.000
Uva: aglianico
Fermentazionee  maturazione: acciaio e legno
Prezzo: 18,50 franco cantina senza iva

Tra i Taurasi e la Riserva c’è in realtà solo una diversa gestione dei serbatori e dei legni. Si tratta di vini che inizialmente si presentani molto materici e difficili da gestire da soli. Con il passare degli anni però si asciugano dagli eccessi, trovano un equilibrio perfetto e acquistano una decisa velocità nel palato. Grane complessità al naso, assolutamente fiabesco e intrigante, con rimandi alle stagioni del sole e dell’autunno, frutta e caminetto, sapido, fresco, di grandisisma struttura. Un vino che inizia ad uscire dopo una decina d’anni mantenendo un colore rosso rubino vino.
Cosa scriverei dietro l’etichetta? Fatto a mano.

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CONCLUSIONI
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La massima da stampare sulle etichette di Perillo è: l’unico modo per essere moderni è stare fermi. Non un modo conservatore di vedere le cose, ma l’idea che per restare in piedi in viticultura è necessario specializzarsi, diventare unici, rispettare soprattutto i tempi dell’uva e quelli del vino. Siamo fuori dai wine show eppure il suo vino fa innamorare, come è accaduto alla Coda di Volpe in una degustazione organizzata con Ian D’Agata quest’anno al Vinitaly per una platea internazionale. Infatti potete essere sicuri che quando stappate una sua bottiglia avrete sempre qualcosa da raccontare: il Taurasi perché capace di affrontare piatti importanti e formaggi pazzeschi, la Coda di Volpe perché è la pozione magica con cui si lascia la Terra per entrare in Paradiso.

 


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