I grandi classici di Gualtiero Marchesi al Marchesino: l’emozione della storia

Gualtiero Marchesi

Il Marchesino alla Scala di Milano
Piazza della Scala, 2
02 72094338
www.gualtierimarchesi.it
Sempre aperto. Chiuso domenica

di Bruno Petronilli

Prologo

Metti un giorno che nel quotidiano garbuglio di comunicati stampa che intasano la casella di posta elettronica del giornalista-gourmet eccone uno che attira l’attenzione più di altri. Metti che il motivo di tale solerte interesse sia il titolo “di Marchesi ce n’è uno”. E infine decidi di aprirla quella mail, senza destinargli la consueta procedura di archiviazione in caselle più o meno urgenti da leggere.

Gualtiero Marchesi è ancora smagliante e operoso nella sua città, a pochi chilometri dallo storico indirizzo di Via Bovesin della Riva. E dove? All’interno del Marchesino, ovvero alla Scala di Milano.

Sinceramente, e senza neppure sentire un secondo d’imbarazzo, il fatto che Gualtiero Marchesi abbia ancora desiderio di offrire la storia della sua arte culinaria ci è subito apparsa una notizia. Ma non di quelle che producono un articolo obbligato e indolente. “Milanese fino in fondo come Stendhal, senza l’obbligo di essere francese. Questo è il destino di Gualtiero Marchesi che resta a Milano, in piazza della Scala, dando vita ad un ristorante nel ristorante. D’ora in poi, il Marchesino dividerà lo spazio con il nuovo ristorante Marchesi” recita il comunicato.

Queste parole hanno prodotto un semplice desiderio: andarci prima possibile. E così abbiamo fatto.

Atto I

Entrando subito un’atmosfera sospesa, quella del Marchesino, in attesa delle “Signore imbelletate” della serata scaligera ancora in svolgimento. Poi una prima grande sorpresa: ci accoglie Adriano Fumis, che definire “maître” sarebbe fastidiosamente riduttivo. E’ anche lui un Maestro, di un mestiere in via d’estinzione, e ne darà ampia dimostrazione.

Ci accomodiamo, scrutiamo curiosi gli arredi e la coreografia di un locale imperioso e sfarzoso. Arriva il menù: ci sono tutti i piatti di Gualtiero Marchesi, sembra di sfogliare il catalogo di una grande mostra d’arte.

E si parte con l’Uovo all’uovo, preludio sardanapalesco della nostra serata.

Atto II

Dripping di pesce, Riso Oro e Zafferano, Raviolo aperto

 

 

Atto III

Poi arriva, quasi costretti da Adriano Fumis, il momento di rendere dinamico e teatrale lo spettacolo culinario. Ed ecco l’Anitra al torchio in due servizi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Epilogo

Una vita spesa con la noncuranza e il distacco dal presente vissuto come passaggio verso l’avanguardia. Un maestro complesso della semplificazione, dell’equilibrio dosato sui contrappunti di una cucina timbrica come la pittura. Un concetto che si rincorre in tutta l’opera marchesiana: opera giocata sulla bitonalità, sul chiaroscuro, sulla pulizia e sulla trasparenza. Un quadro concettuale supportato da una tecnica assolutamente sopraffina completamente rarefatta, studiata “su” ogni microscopico particolare, tendente a eliminare l’eliminabile”. Quando uno come Andrea Grignaffini descrive così Marchesi ti accorgi che ti ha serenamente svuotato il tuo vocabolario culinario. Quindi abbiamo delegato volentieri a lui l’onere e l’onore di rappresentare letterariamente le emozioni provate quella sera.

 

Opera buffa

A noi rimane solo il compito di spiegare il criptico titolo che avremmo voluto dare a questo breve scritto, ovvero “Il cuoco, il calciatore, sua moglie e un amico”: il cuoco è lui, è il Maestro, incontestabile, divino e sempiterno. L’amico è Michele, compagno ultraventennale di baccanali ed emozioni enoiche, con cui abbiamo avuto la fortuna di condividere la celestiale serata. Il calciatore e sua moglie erano lì accanto a noi, in un tavolo troppo vicino per non notarli: lui, sudamericano, ricco e famoso, ha trascorso un paio d’ore di placida intimità familiare. Ma orecchiando ogni tanto i suoi discorsi, abbiamo percepito distintamente che, oltre alla certezza di aver scelto un lussuoso e prezioso ristorante, non ha avuto affatto la consapevolezza di dove si trovasse realmente. Non gliene facciamo una colpa ovviamente. La manchevolezza più grave sarebbe stata solo la nostra, se avessimo ignorato quel comunicato in un semplice click.


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