Moet Ice Imperial / Ho visto un ricco che piangeva

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Ho visto un ric… Sa l’ha vist cus’ è?

Un ricco, un sciur. Ah beh, sì beh…

Il tapino lacrimava su un calice di vino

ed ogni go, ed ogni goccia andava

derent’ al vin, che tutto l’annacquava.

Pover tapin… e povero anche ‘l vin

Ah beh, sì beh…

Il fatto è che il tapino aveva toppato spiaggia. Non era abbastanza vippazzo per gli arenili più chic & sunny del mondo, tagliato fuori da piccolo, su un litorale dimenticato dal mondo che conta. Singhiozzava, pensando ai fortunati che in mutande colorate potevano sorseggiare il nuovo Moet Ice Imperial, lo champagne da spiaggia che si beve col ghiaccio: va bene Acapulco o Saint Tropez, passi per Ipanema, ma cosa avrà di più la Versilia rispetto a questa spiaggia dorata di cui si beano le fatidiche chiappe di una tettona del Grande Fratello? Non basta il Suv che pare un monolocale, il TT per il bimbo, non serve scrollare il Rolex fino a slogare il polso, se poi uno viene escluso (ettecredo), reietto col suo champagnino nella fluttina, che il cameriere alla richiesta del ghiaccio l’ha guardato pure storto.

Invece quelli del posto giusto bevono l’Ice Imperial in grossi calici panciuti (avete notato che ormai servono anche un Crodino in grandi calici da brunello inondati di ghiaccio?), i più fortunati assaporano il brivido on the rocks in tulipani smaltati di bianco, proprio come la bottiglia, candida e infiocchettata con una cravatta nero e oro, forse in previsione di un brindisi per una qualche vittoria della Juventus, una nei prossimi dieci anni, chissà (spettaespera).

Il tapino piangeva perché era juventino? O perché quello era l’unico modo per annacquare le sue bollicine, un misero tentativo di stare al passo coi tempi? Cazzo, pensava, va bene lo spritz, passino tutti i cocktail con un mare di frutta e una goccia d’alcol che manco l’acqua Lete, mi son fatto anche il Gin Tonic con la Fever Tree, ho cenato con le tisane, ho bevuto intrugli dai nomi degni di una diva del burlesque, sognando di nascosto un Negroni o un Dry Martini, vagheggiando la ciliegina in un Bourbon Old Fashioned (nel tumbler), insomma ho fatto sempre il mio compitino e adesso mi viene negato il bicchierozzo di champagne: col ghiaccio à la piscine, profumato di menta piperita e frutti rossi, esotico quanto basta tra mango e pompelmo, insomma molto famolo strano, in nove settimane e mezzo. Esclusivo, cribbio, à la page, avec tirage, à la plage... ma un’altra, non questa. Son lagrime, copiose.

Il povero ricco segue l’onda, sulla spiaggia sbagliata, inebetito come un tronista: non è in grado di bere e magari decidere di andare a piedi, chè il monolocale a quattro ruote, parcheggiato sul marciapiede, se ne avrebbe a male; si preoccupa della salute, ma da fermo, si sente responsabile, però seduto in macchina, rincorre nuovi orizzonti, mangiando sushi con forchetta e coltello. Si regala cene nippo-style trangugiando long drink improbabili e beveroni finto salutisti, abdicando alla propria libertà di scelta, al proprio autocontrollo, al senso di responsabilità, a un refolo di curiosità, in nome di una pagina patinata, di una locandina da cinepanettone tra finti palmizi e culi al sole. Trendenze, edonismo post reganiano con le pezze al culo.

Piange, il sciur tatuato. Il guru del momento Vincent Cassel, sentenzia che il lusso è ciò che piace non ciò che si possiede, il lusso non prevede ostentazione, ma scelta: il diritto di scelta, il diritto al lusso. Sorvolando sul fatto che lo dice accarezzando biecamente una Lancia Ypsilon, che il bel tomo ogni mattina si sveglia accanto a Monica Bellucci, che fa quella faccia schifata e paracula del Raz Degan dello jagermeisteriano “sono fatti miei”, beh, fatta la tara di tutto (che non è poco), il tipo centra il bersaglio: perché alla faccia della Moet & Chandon, esistono posti che più vipparoli non si può ma che conservano, sfiorano, accarezzano la bellezza della libera ironia.

Esistono posti anche nella chic & sunny Versilia, in cui è ancora possibile bere uno champagne, talmente “base” da chiamarsi Basetta, alle tre di notte, nel riflesso del chiarore lunare di una Nausicaa uscita da chissà dove, alla faccia pure del vesc…(sa l’ha vist cus’è? Un vescovo…di Pisa…ah beh, sì beh..) e per il piacere di cento Mazinga a penzoloni dal soffitto. Dove andranno a finire i robottini, quando sfuggono di mano ai bambini… Persino la dimenticata Spezia riesce a non far la stupida in certe sere, salate di George Laval e intensamente vellutate di Egly Ouriet.

Non può sapere, il tapino, proprio non può sapere. Spegnete orsù la tivvù e aprite gli occhi: chissenefrega delle nuove teorie, fancuffia le mode, le edulcorazioni da spalmare sulla vita: se mi garba, bene, se sbaglio, come dicevano a tutto-il-calcio-minuto-per-minuto, mi consolerò, non con lo Stock 84, ma con un bicchiere di vino, magari con le bollicine, freddo, freddissimo. Senza ghiaccio. Al cuore Ramon, mira solo al cuore.

Piccole resistenze. Per il resto, chevvofa’, si sa che noi villan…

…e sempre allegri bisogna stare

che il nostro piangere fa male al re,

fa male al ricco e al cardinale,

diventan tristi se noi piangiam…

Licia Granello – Alcolico ma non troppo – I sapori on the rocks _ La Domenica di Repubblica

Moet & Chandon, Ice Imperial

Happy Hour – Bollicine da Spiaggia Io Donna, Corriere della Sera


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