Paolo Panerai e i Sodi di San Niccolò: fummo visionari 40 anni fa e lo siamo ancora, il segreto è pretendere sempre il meglio

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Paolo Panerai

40 vendemmie, 40 anni di storia di Castellare. L’incredibile impresa di Paolo Panerai, fondatore del gruppo Class, ha dato vita, tra l’altro, ai Sodi di San Niccolò, l’unico Supertuscans ottenuto esclusivamente da uve autoctone italiane,  primo vino italiano inserito nella Top 100 del 1988 (la prima) di Wine Spectator con l’annata 1985; replica nel 1989 con l’annata 1986.
Era il 1977 quando fu imbottigliato per la prima volta il porta bandiera di Castellare di Castellina a base di Sangioveto e Malvasia nera, due vitigni autoctoni del Chianti Classico. I Sodi di S. Niccolò, per la seconda volta risultato 1° vino italiano sommando i punteggi delle cinque guide italiane e dei quattro critici mondiali più autorevoli, celebra dunque i 40 anni.


Per celebrare questo successo, ottenuto proprio nell’anno in cui ricorre l’anniversario delle 40 vendemmie, lannata 2017 indossa un abito speciale: l’iconico uccellino, presente da sempre sulle etichette dei vini rossi di Castellare, simbolo dell’impegno quotidiano per una viticoltura sostenibile già da 40 anni, si posa per la prima volta su un elegante sfondo nero su cui appare in rosso il numero 40. Per l’occasione, è stata realizzata unedizione limitata in grandi formati insoliti, da 15 e 18 Litri, che ripropone in etichetta i 40 uccellini delle 40 annate de I Sodi di S. Niccolò. Il primo esemplare di entrambi i formati verrà battuto all’asta da Christie’s London nel mese di settembre. Ad accompagnare queste grandi bottiglie da collezione sarà un libro d’arte di grande formato, in italiano, inglese e cinese, stampato al torchio e numerato, che raccoglie i disegni originali degli uccelli realizzati da John Gould (1804-1881), uno dei più grandi ornitologi dell’epoca vittoriana, riprodotti sulle etichette de I Sodi di S. Niccolò dal 1977 ad oggi.
Abbiamo rivolto alcune domande a Paolo Panerai, uomo di grande visione, protagonista tra i protagonisti della rinascita del vino italiano.

Come nasce il progetto dei Sodi? Qual era, all’epoca, il modello di riferimento?

Nel 1977 il Chianti Classico era in forte decadenza perché il vecchio disciplinare risentiva  il peso degli anni e l’imposizione di uve bianche impedivano di fare grandi vini in competizione con i francesi e non solo. Il Tignanello, che era nato come Chianti Classico, fu rapidamente fatto virare, per opera di Giacomo Tachis e Piero Antinori, come Vino da Tavola per evitare di utilizzare nel blend l’uva bianca e sostituirla con vitigni internazionali come Cabernet e Merlot. Nacquero quelli che dopo pochi anni furono chiamati Supertuscan perché, pur con la denominazione Vino da Tavola, la più bassa possibile, erano dei grandi vini. I Sodi di S. Niccolò fu fra i primissimi Supertuscan, ma con Maurizio Castelli scegliemmo la strada di impiegare solo vitigni autoctoni. Avevamo una splendida Malvasia nera e quindi il blend fu Sangioveto (avevamo reinnestato le viti con i cloni capaci della maggiore qualità) e appunto Malvasia nera che a Castellare maturava benissimo. I Sodi di S. Niccolò è stato il primo vino toscano (e italiano, con Gaja) a piazzarsi nei primi posti della prima edizione, quella del 1988, dei Top 100 di The Wine Spectator. Era l’annata 1985, con 96/100 di rating. E il successo si ripeté l’anno dopo, sempre nei Top 100 WS, con l’annata 1986, che è anche risultata la più longeva in occasione delle ultime verticali fatte quest’anno.

 

Anche il vino è soggetto alle mode, esiste un segreto per passare dall’essere di moda al diventare un classico? E come si può definire un classico, oggi?

Con l’annata 2017 (dopo una 2016 e una 2013 superpremiate, poiché in entrambi i casi I Sodi di S. Niccolò è risultato il primo vino italiano nella speciale classifica che somma i rating delle cinque maggiori guide italiane e quelle dei 4 degustatori internazionali più autorevoli) si celebrano le 40 vendemmie (è saltata una sola annata: quella del 1978). Quindi, senza esitazione, posso affermare che I Sodi di S.Niccolò (dal nome delle due vigne) è sicuramente un classico, proprio perché ha raggiunto questi risultati solo con i vitigni autoctoni. Un classico, infatti, è la migliore espressione non solo dei vitigni locali, ma anche della potenzialità straordinaria di un terroir, per dirla alla francese, che in questo caso è quello di Castellina in Chianti.

Quale giudizio sui vini naturali e sul movimento che porta nella loro direzione?

Fin dal primo vino prodotto e imbottigliato dalla mia famiglia a Castellare nell’etichetta compare un volatile disegnato da John Gould, uno dei più grandi ornitologi dell’epoca vittoriana che, descrivendo il becco curvo dei fringuelli delle Galapagos, diede una spinta fantastica a Darwin per la sua teoria dell’evoluzione della specie. Scegliemmo gli uccellini che allora si facevano più rari in Chianti per l’uso indiscriminato dei prodotti chimici di sintesi che distruggono l’ecosistema. Nelle nostre vigne da sempre usiamo solo trattamenti a base di prodotti non chimici di sintesi. Quindi, come dicono gli americani, i nostri sono vini organici. Non è un vanto dire che da oltre 40 anni produciamo vini naturali.

 

Come è cambiato in questi decenni, il mondo del vino italiano?

E’ cambiato perché è continuamente migliorato nella qualità, partendo dalla vigna. Quando nel 1984, con Luigi Veronelli e Maurizio Castelli, ospiti del mio socio di allora Edmond de Rothschild (il primo dei Rothschild) a Chateau Clark, passammo un intero fine settimana con il grande Professor Emile Peynaud, capimmo che i francesi avevano scientificamente classificato tutti i loro vitigni da 100 anni. In Italia non c’era nessuna codificazione scientifica. Per questo, con il grande professore Attilio Scienza impiantammo una vigna sperimentale di tre ettari, con oltre 30 cloni differenti di Sangioveto (questo è il nome locale del Sangiovese). Dopo è arrivato il progetto Chianti 2000 del Consorzio.
I vignaiuoli, come scriveva Veronelli, devono ringraziare non solo gli amanti del vino italiani, ma anche lo stesso Veronelli per la filosofia del vino e Scienza per la ricerca scientifica nella viticoltura.

 

E la critica enologica? Le guide hanno ancora un senso, riescono ad incidere nelle scelte dei clienti?

No comment. Da alcuni anni Class Editori è l’azionista di controllo di Gambero Rosso, quotato in borsa. Prima di firmare il conferimento posi come condizione che nelle schede di tutti i nostri vini venisse sempre pubblicato un disclaimer dove si dice che i Tre bicchieri possono esser assegnati ai vini delle nostre aziende solo se i rating assegnati dai critici internazionali risultino superiori a 90/100. Nel mondo si sta perdendo, non solo e non tanto per il vino, il laico principio di non essere mai in conflitto di interessi.

 

Quali sono i progetti immediati per il futuro?

Molti, ma sintetizzo: fare de I Sodi di S. Niccolò il vino più ricercato fra i Supertuscan; portare Baffonero, vino 100% Merlot di Rocca di Frassinello, ad avvicinarsi sempre più a Masseto di Ornellaia, un vino immenso a cui Baffonero, da quando è nato, ha lanciato la sfida nello spirito dell’America’s Cup, proprio come Luna Rossa; far scoprire in Italia e all’estero che anche in Sicilia si può produrre un grandissimo Pinot nero, il nostro L’eterno della cantina Feudi del Pisciotto, che nasce dal convincimento del grande Giacomo Tachis che in Sicilia si può coltivare qualsiasi vitigno. Quando gli chiesi, in amicizia (perché non abbiamo mai avuto rapporti economici con lui), cosa ne pensava dell’idea di realizzare un vino con Nerello Mascalese e Pinot, Tachis mi rispose secco, con il suo parlare scandito: “No, Dottore, non usi surrogati. Tutto Pinot”. Alessandro Cellai che è il nostro enologo da 25 anni e che in una sua piccola vigna in Toscana fa il più grande Pinot che si possa immaginare, ha poi fa fatto tutto il resto. Il vino si chiama L’eterno perché in etichetta c’è la mano del Padreterno, ripresa dalla scultura di Giacomo Serpotta di cui abbiamo finanziato il restauro.

 

Cosa avrebbe voluto fare e non ha potuto, per vari motivi, realizzarlo?

Veramente guardo sempre al futuro. Gli obiettivi che mi ero posto insieme ad Alessandro li abbiamo in buona parte realizzati. Sono perfino riuscito a convincere il mio storico amico Renzo Piano a progettare Rocca di Frassinello, l’unica cantina che il grande architetto abbia mai realizzato. Ma l’obiettivo primario è migliorare sempre di più i nostri vini. Nella ricerca della qualità non ci si ferma mai. E poi vorrei carpire al mio amico Marchese Piero Antinori, ma non per denaro bensì per sfida, qual è il suo segreto che gli consente di realizzare il 47% di ebitda (margine operativo lordo. Quando gliel’ho chiesto, mi ha risposto: “Veramente è due o tre anni che vorremmo arrivare al 50% e per ora non ci siamo riusciti”. Noblesse oblige.

 

La crisi pandemica impone un modo per ripensare il mercato del vino e sulle modalità di vendita? Adesso nella Gdo?

Noi siamo da sempre nella Gdo di qualità, da quando Gino Veronelli spiegò a Bernardo Caprotti per Esselunga come realizzare una enoteca di alto livello. Naturalmente, a crescere di più sarà l’e-commerce, ma per quanto riguarda i grandi vini non si può non essere presenti sulla Place di Bordeaux.

 

Immancabile domanda finale: il vino e la finanza: un flirt mal riuscito o un discorso che può riprendere?

Veramente con i Rothschild, il mio grande amico Eric, con Philippe di Chateau Mouton, e ora sua figlia Saskia e con gli eredi di Edmond, il vino da due secoli va a braccetto con le più prestigiose banche del mondo. Se poi per finanza intende le aste o altre connessioni con il vino, penso che i tempi siano maturi. Proprio per la leadership nella finanza con i nostri media, presto presenteremo delle soluzioni interessanti. Del resto, i grandi vini sono autentiche opere d’arte, come un Picasso o un Manet.

 

 


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