
L’enologo Fabio Mecca, quarta generazione aziendale e la famiglia Tommasi festeggiano il primo secolo di vita di Paternoster con una verticale dello storico Don Anselmo e la presentazione della nuova Cantina del Barone Rotondo
di Luca Matarazzo
Dal 1925 l’Aglianico del Vulture ha conosciuto uno dei suoi padri più amorevoli e protettivi. Anselmo Paternoster a Barile, cuore verde della Lucania, fu il vero pioniere nell’imbottigliamento del vino che caratterizza le colline nate dalle eruzioni in migliaia d’anni. Un compagno silenzioso il vulcano, ma tutt’altro che inerte. Nelle sue polveri e pomici sparse un po’ ovunque nell’areale giacciono i segreti di un vino senza tempo, con quei tannini tipici da principe dei vitigni del sud Italia.
E non è l’unico territorio in cui la predilezione della varietà per i suoli dall’elevata componente piroclastica regala eccellenti espressioni, come sulle propaggini del Vesuvio in Campania o nell’entroterra irpino e sannita.
I festeggiamenti del centenario iniziano con la presentazione alla stampa della nuova Cantina del Barone Rotondo e la visita ai locali destinati alla maturazione in legno e relativa sosta delle bottiglie, ricavati in un’antica neviera del 1476. Vera e propria grotta ipogea naturale utilizzata in origine dai Caracciolo di Torella per la raccolta della neve, indispensabile riserva idrica. Ciò che è stato nascosto per secoli è tornato a nuova vita in soli 4 mesi di lavori: un’opera monumentale, realizzata con le proprie forze e con tanta passione per divenire presto la “cattedrale” dell’Aglianico.
Numeri esigui per la prima vintage; non poteva essere altrimenti trattandosi di una novità assoluta. L’assaggio en primeur di Barone Rotondo Aglianico del Vulture Superiore 2020 dimostra ancora le sue tenerezze e fragilità, tra acidità energiche e tannini forti da equilibrare con un frutto al sapore di marasche mature. Manca del tempo per andare in vendita – probabilmente a fine anno – e il vetro non potrà che fargli bene.
Si risale in superficie verso la serata di gala nella sede centrale di Paternoster. Prima dei piatti dello chef Vitantonio Lombardo, una stella michelin a Matera, ecco la verticale del Don Anselmo “l’essenza del Vulture tra eleganza e profondità”. Tre annate recenti ed una emozionale, un confronto tra il prima e il dopo l’avvento di Tommasi Family Estates nel 2016 e del cambiamento climatico qui solo in parte influente. Un vino iconico, nato nel 1985, riconosciuto e celebrato fin da subito dalle migliori guide di settore. Infine, la presenza di ceppi madre del 1969 nel vigneto singolo di 4 ettari, selezione massale per i rimpiazzi e vinificazione classica con follature, delestage e sosta in legni grandi di rovere di Slavonia per 12 mesi, oltre 3 anni di bottiglia.
La 2018, definita dagli enologi Fabio Mecca e Giancarlo Tommasi “regolare con precipitazioni ed escursioni termiche” gode di buone prospettive. Punta iniziale calorica, ricomposta da nuance di spezie e chinotto su sigaro e brace. Finale iodato e lungo. Nella 2017 l’eccesso di siccità estiva ha condizionato l’eleganza complessiva del vino, timido e introflesso nelle scie astringenti con una trama tannica ancora vegetale e balsamica. Con l’attesa nel calice, però, emerge il bosco in tutta la sua profondità: dalle more di rovo, all’humus e qualche sensazione polverosa. Spettacolare la 2016, subito mediterranea dai richiami d’amarene sotto spirito. Chiosa salmastra, tannini palpabili ben integrati e gusto di gelatina di ciliegie, macis e cuoio. Non c’è storia neppure per la 2006, un vino di cuore e d’anima, dalle note di crumble all’arancia, china, tabacco sbriciolato e pepe nero, accompagnati da spinte balsamiche ancora seducenti. Tutti i vini degustati sono acquistabili in azienda.
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