Peppe Zullo a Orsara di Puglia: tutte le strade portano qui in Daunia

Villa Jamele, le camere di Piano Paradiso

di Antonella Petitti

C’è molta ansia da prestazione oggi nel mondo del food. Bisogna stupire, sempre e comunque. Una sensazione comune, diffusa, stancante. Ma non qui ad Orsara di Puglia, non nella “valle” di Zullo, dove a stupire è l’autentica naturalezza di un grande uomo. Siamo nella Puglia che guarda all’Irpinia, quella dell’entroterra, della ricerca e della solitudine.

Qui non si arriva per caso, ma vale la pena venirci. Peppe Zullo conosce a fondo la parola “accoglienza”, non è composta dalla maschera di cortesia dovuta, ma è un sorriso sincero che contagia. Non è la leggerezza a provocarlo, ma amore per la vita e la natura.

E’ stato detto tutto, forse, su questa figura mitologica della ristorazione italiana. Mitologica perchè – nonostante non sia più un ragazzino – agisce, vive e sogna con una grande giovinezza di pensiero. Ed in fondo lo ha sempre fatto, riuscendo a guardare sempre un po’ più in là. O forse è semplicemente il talento di un cuore puro che sa bene che tutto parte dalla terra.

“La nuova ristorazione dovrebbe dare valore a ciò che abbiamo sotto ai piedi, abbiamo l’obbligo in quanto cuochi di dare voce alla ruralità e pensare anche al benessere dei nostri ospiti”. Ecco perchè qui il cibo è scelta etica, strumento di benessere.

DAL SOGNO AMERICANO ALLA DAUNIA – ANDATA E RITORNO. A 24 anni sbarca a Boston, dopo essere cresciuto tra la pompa di benzina e l’arcaico B&B di famiglia, in quel piccolo borgo dauno di montagna che gli ha insegnato innanzitutto a riconoscere la materia prima.

E’ lì che apre il suo primo ristorante “Peppe’s Buongustaio”, è lì che vive soddisfazioni ma anche le difficoltà ed il razzismo che solo un emigrato conosce davvero.

Esperienze che si sommano a quelle vissute in Messico, dove continua la sua esperienza di cuoco e ristoratore.

Ma le radici sono forti e gli chiedono di tornare. Lo fa fondando il suo ristorante alle porte di Orsara a Piano Paradiso. Un nome evocativo che traccerà il suo destino. Perchè Zullo riesce non solo a costruire in loco sale accoglienti e spazi in cui ricevere i clienti, ma anche a dar vita ad una cantina originale e ricca di opere d’arte, firmate dall’artista troiano Leon Marino. Scelta, addirittura, per la mostra-degustazione “Le Cattedrali del vino”, appuntamento collaterale della Mostra Internazionale di Architettura, nel 2010.

Una cantina strutturata come un piccolo borgo, con le sue viuzze e le case “aperte” alle attività che affollano le strade.

Ma il sogno di colui il quale, a ragione, viene definito l’ambasciatore della Daunia, non si è compiuto qui.

L’ORTO e VILLA JAMELE. Nel 2004 acquista diversi ettari di terreno con un’antica villa, pochi chilometri prima di Orsara. Non poteva immaginare quanto questo posto gli sarebbe somigliato.

Col suo passo svelto e gli occhi vivi e attenti, Peppe Zullo oggi si muove all’interno di Villa Jamele, la sua ultima creatura. Una struttura polifunzionale (e come poteva essere diversamente) dove alla “Nuova Sala Paradiso” si affiancano la Scuola di Cucina con le camere, la nuova Cantina con foresteria per i wine lovers (ancora da terminare), il bosco dedicato alle erbe spontanee e alle varietà autoctone, il ristorante nell’orto e la zona degli animali, dove maiali, oche, galline, asinelli vivono in semilibertà.

I VINI. Ursaria ed Aliuva, Daunia IGT. Questi i due vini che dal 2001 fanno di Zullo anche un produttore vitivinicolo. Circa 4 ettari divisi tra Tuccanese, Nero di Troia, Merlot e Cabernet, da cui ottiene vini biologici schietti e di buona beva. Difficilmente varcano le soglie delle sue strutture, nascono per consumo interno, tranne piccole e rare eccezioni.

LA CUCINA. La sua mano è leggera sui piatti. Non è il suo lavoro a dover incidere troppo, l’intento è lasciare che la materia prima trovi spazio, espressione, voce. Non cerca di stupire, la riconoscibilità, la semplicità e la pulizia di sapori restano una costante che conforta.

Nessuno sforzo per riconoscere, capire. Lì c’è l’orto, quelle verdure le ha mostrate un attimo prima, ora sono nel piatto, raccontano se stesse. Come il pane che viene da quel forno a paglia storico che Peppe non dimentica mai di citare.

Come quella carne chiamata quasi per nome, quel maiale nero dauno che scorrazzava fino a poco tempo fa o la carne di quel tale su cui ha senz’altro un aneddoto da raccontare.

Qui da Zullo ci si può rifugiare, ogni tanto si avverte proprio la necessità di lasciarsi coccolare da un’identità forte e limpida. Quella dell’entroterra italiano che sta trovando riscatto nella terra e nella sua ricca biodiversità.

Piccoli esempi raccontano una grande filosofia che qui non resta teoria. In tavola lampascioni serviti come fiori, adagiati su cacioricotta locale e mosto cotto.

Foglie di borragine passate in acqua e farina e fritte. Lui le chiama romanticamente “ostriche di montagna” e non gli si può dar torto. Basta chiudere gli occhi e mangiarle dopo averle cosparse di succo di limone. C’è un qualcosa di marino che spinge, richiama.

E che non manchi mai il marasciuolo. “Un piatto a km 0 e a costo 0” lo dice con semplicità, anche un po’ provocando un sistema che invece – quasi sempre – non conosce il proprio territorio e guarda altrove.

Quest’erba spontanea tagliuzzata, messa sott’olio, per pochi giorni, servita su un po’ di pane. Sembrerebbe una bruschetta con tanto d’aglio, che invece non c’è. Il retrogusto sale, regala immagini, emozioni nuove a papille gustative addomesticate.

E solo per citare un ultimo piatto su tutti: le polpette di pane e canestrato locale. “Noi non siamo il popolo delle polpette di carne, come spesso si pensa all’estero”, racconta sorridendo. “Noi non lo sapevamo mica cos’era la carne?”, scherza, non senza fondamento.

E questa è soltanto un’altra delle battaglie culturali di cui Zullo si fa carico, raccontando la verità sulla povera tradizione culinaria italiana.

E poi eccolo, mentre scrivo, compare su Rai Tre da Geo&Geo a farsi portavoce di un’altro prodotto identitario che ha trovato vita e valorizzazione in quest’uomo: il grano arso, servito “attraverso” un piatto di pane cotto con verdure selvatiche.

“Vent’anni fa mi definivano pazzo”, spiega con quel suo simpatico modo di parlare che inserisce con la stessa non chalance parole dialettali a termini americani, “oggi aziende e produttori usano la farina di grano arso per fare la pasta ed il pane, almeno in Puglia 8 ristoranti su 10 la propongono”.

E’ nella sua natura farsi portavoce di prodotti, produttori, storie che val la pena di raccontare e conoscere. Ecco che la sua tavola, al di là dei piatti, è sempre contornata da “ospiti d’onore”.

E poi è la persona con cui poter parlare dei massimi sistemi, non si perde, ma è pratico. “Conosco l’America, il capitalismo. So che dopo il petrolio l’attenzione si è spostata sul food, ma non è per forza un male. Gli stessi americani mi hanno insegnato – credere, per far credere -, dunque io continuo a credere, non bisogna mollare ma contagiare. Se ce ne andiamo, se non la difendiamo la nostra terra chi lo farà per noi?”.

ECOSOSTENIBILITA’ e BIODIVERSITA’. Qui non è solo una parola di moda, ma un modo di vivere che ha sempre caratterizzato le scelte di questo cuoco lungimirante. Ovunque si volga lo sguardo ci si renderà conto che molti sono i materiali riciclati: partendo dalle pietre sparse nel terreno recuperate per costruire muretti e pareti, fino ai portali antichi, passando per legno e oggetti di varia natura.

 

Nell’orto invernale che attende la primavera alle porte, diverse le varietà di grani antichi tra cui il Senatore Cappelli. Esempio tra i tanti della sperimentazione – che qui è quotidiana – col fine di tutelare e valorizzazione la biodiversità agricola ed alimentare.

Se siete fortunati “l’uomo che parla alle erbe spontanee” vi accompagnerà alla loro ricerca, nel boschetto della villa. Le riconosce, le indica, le racconta, dando finalmente loro il valore che meritano. “Ci vuol poco ad ordinare del foie gras, a servirlo spendendo grandi cifre e chiedendo conti salati. Alla fine si chiude. Le risorse sono altre, ce le serve Madre Natura”.

E lo dimostra nei suoi piatti ed anche nei mazzetti freschi a centro tavola. Nessun tulipano olandese o simili, ma erbe e fiori spontanei. Il trionfo del territorio.

Poliedrico, instancabile, Peppe si muove tra manifestazioni, programmi tv, eventi, lavoro. Ma le sfide non sono finite, il conto alla rovescia per Expo 2015 è partito e Zullo è chiamato a rappresentare la Puglia.

Per non parlare del suo “Appuntamento con la Daunia”, una due giorni che ogni anno accende i riflettori sulle eccellenze del territorio, quest’anno promette novità al compimento dei suoi vent’anni.

La naturalezza con cui passa dalla cucina al bosco per raccogliere erbe spontanee, dal racconto di un piccolo produttore all’entusiasmo per una nuova idea, fanno di Peppe Zullo un esempio. Non solo sa sognare, ma sa agire, lavorare, investire, senza paura, senza guardarsi indietro, senza perdersi d’animo.

Zullo è l’emblema della buona imprenditoria italiana, quella che guarda alla propria terra, che sa raccontarla e farla crescere.

Cosa sarebbe stata la Daunia senza Peppe Zullo? Ne è figlio davvero orgoglioso, sostegno prezioso di una Madre Terra che chiede riscatto e ascolto.

Ad majora

 

Ristorante Peppe Zullo

Via Piano Paradiso

Orsara di Puglia FG

0881 964763

 

Villa Jamele

Via Piana della Corte

Orsara di Puglia FG

0881 968234

 

Costo medio: 30/40 euro (vini esclusi)

Menù degustazione (7/8 portate) a 35 euro

Costo doppia con prima colazione: 90 euro


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