Perché non torniamo ai bicchieri d’osteria?

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

L’importante è non assolutizzare mai nulla. Nel senso: bicchieri sempre più belli in Italia, design d’eccezione per i decanter, il nostro senso estetico resiste ancora nell’oggettistica e nella sartoria mentre appare irrimediabimente perso nell’architettura, nel senso che non ricordo una cosa moderna bella costruita da quando sono nato, qualcosa che ti faccia pensare: ok, questa durerà più di me.
Molto probabilmente dipende dal fatto che nell’oggettistica e nella sartoria abbiamo migliorato ancora di più la nostra vocazione all’artigianato mentre l’architettura si è sposata con il cemento, ossia con la malavita, i palazzinari, l’enorme domanda di urbanizzazione che ha di fatto abbassato notevolmente la qualità del costruire per produrre reddito da mordi e fuggi.

Ma torniamo ai bicchieri. Certo, bisognava far capire che non tutto il vino è uguale e ha bisogno di contenitori diversi. C’è ancora gente che beve Champagne e Spumante nei flute da Prosecco, ma possiamo dire che ormai ovunque si trovano bicchieri da vino adatti.
Molte trattorie e ristoranti per dimostrare aggiornamento hanno comprato i nuovi bicchieri pensando di aver risolto con la forma anche il contenuto. Cosa che spesso non è. Spesso però anche i camerieri non sanno ancora bene come usare questi aggeggi  e assistiamo a belle comiche.
Poi ci troviamo all’eccesso opposto: avete ordinato un Lambrusco? Ecco che arriva il bicchiere con il gambo da vino rosso importante. State in una osteria di Napoli con un Aglianico? Ecco a voi il bicchiere Chardonnay.
Quando non c’è cultura profonda delle cose, si diventa caricaturali.


In realtà ben pochi vini rossi meritano un bicchiere ampio con il gambo, credo non più di uno su cinque di quelli che si consumano al ristorante. Diverso il discorso per i bianchi e le bollicine dove la funzione è quella di non farlo riscaldare con a mano.
Ma se avete davanti un Aglianico, un Negroamaro d’annata, un Merlot di Aprila piuttosto che un Dolcetto o un Lambrusco o un Marzemino, usate pure senza timore un vecchio caro bicchiere da osteria! La fragranza monocorde al naso si sentirà ugualmente, eviterete di romperlo e ci saranno molte meno probabilità di versarvelo addosso:-)


La Non omologazione è un concetto relativo. Non tutti devono fare la stessa cosa, ma ci sono cose che è bene che facciano tutti.
L’omologazione verso il gusto internazionale ha spolverato il vino italiano ancora in gran parte fermo sino agli anni ’80 in blend di rosso e bianco, l’omolgazione del gusto internazionale adesso impedisce spesso ai territori piccoli ma importanti di esprimere la loro cifra distintiva.
Ma adesso c’è anche l’omologazione delle lunghe fermentazioni su bucce che ugualmente parifica i vini.
Dunque più si va avanti nella giungla del vino, più è importante capire il valore relativo di una bottiglia nello spazio e nel tempo. Ed è questo che l’appassionato o un degustatore devono saper cogliere, se cioé c’è coerenza stilistica tra il terreno di partenza, l’esperienza maturata in precedenza da chi qui ha coltivato la vite, le potenzialità del vitigno, le dimensioni della cantina e il progetto finale di vino.
Se dunque la degustazione vent’anni fa doveva distinguere il vino dal vino del contadino, oggi diventa prioritario distinguerlo da quello dolce e omologato senza nerbo al palato.

Ho notato che molti degustatori quando arrivano ad un certo livello perdono la curiosità, si fermano e spesso tendono ad assolutizzare la propria esperienza mentre dovrebbe essere esattamente il contrario: man mano che si procede bisogna liberarsi dei pregiudizi ed accettare le differenze e le motivazioni degli altri. Solo così il viaggio umano può avere un senso.


Per questo motivo anche quando si beve non bisogna per forza usare sempre gli stessi bicchieri, e i vecchi cari bicchieri da osteria vanno bene per gran parte dei rossi, non perché siamo neopauperisti, semplicemente perché è un gesto di cultura avere la misura di quel che si usa.
Andare al lavoro a piedi invece dell’auto può sembrare un gesto ancestrale e invece è una usanza estremamente civile, non a caso la percezione dell’uso dell’automobile è molto diversa da chi abita in città rispetto a chi vive in paese. Nel primo caso si tende a limitare l’uso e due chilometri sono una distanza ragionevole per evitare di prenderla mentre magari si va in macchina per andare da un capo all’altro di un paese lungo 600 metri.

Ecco, per raggiungere un posto, posso usare piedi, bicicletta, auto, treno o altro: non è il mezzo che determina la qualità della mia esperienza, ma l’obiettivo finale.
L’assolutizzazione della propria limitata esperienza, per quanto ricca e importante, porta spesso alla aggressività inutile verso il prossimo, alla violenza verbale tanto più forte in rete perché mancano le camere di compensazione del reale.


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