Pipero a Corso Vittorio Emanuele, la prima recensione e due problemi psicologici da risolvere

Alessandro Pipero al nuovo Pipero

Alessandro Pipero al nuovo Pipero

Pipero
Corso Vittorio Emanuele 246
 Tel. 06.4815702 e 339.7565114
Sempre aperto, chiuso la domenica

La piazza è quella della Chiesa Nuova, di fronte alla sua splendida facciata c’è Pipero. Il nuovo Pipero che ha due problemi da affrontare non da poco: il primo è far dimenticare il successo della carbonara, un po’ come Peter Falk doveva togliersi l’impermeabile bianco del tenente Colombo e, il secondo, mettersi a proprio agio nel suo nuovo habitat.
D’accordo, sono passati appena otto giorni dall’apertura, un vero e proprio salto per ambire a qualcosa di più, stando al Rex il massimo possibile era ormai raggiunto.

 

Ma Pipero è ancora giovane e sfrutta la sua qualità principale: non avere paura del nuovo, reinventarsi per cercare di coprire una domanda del pubblico romano. E a Roma c’è spazio per un ristorante che riesca a trovare il punto di equilibrio tra la ricerca in cucina e il confort assoluto di una hotellerie perfetta e di una grande sala borghese moderna. Per fare questo ora si deve ambientare nel nuovo locale, 400 metri quadri a piano strada che fanno atmosfera più Milano che Roma. Una tensione da scaricare nelle prossime settimane per capire se la scommessa è stata ben giocata.

Quello che si sente perfettamente a suo agio, libero dalla schiavitù della carbonara, è proprio Luciano Monosilio che ha potuto dilagare oltre gli antipasti la sua passione per la materia.

Un elemento da registrare riguarda infatti proprio il punto di equilibrio da centrare le voglia di sperimentazione e l’esigenza di fare ristorazione. In poche parole il rischio dietro l’angolo è che Pipero da ristoratore si ritrovi ad essere sperimentatore, una di quelle cucine nelle quali è difficile poter pensare di andare ogni giorno.

Saranno queste le due anime impegnate a confrontarsi per approssimazioni successive nelle prossime settimane. Certamente l’occhio alla cassa è indispensabile per reggere i costi di una impresa a tutto tondo, dagli investimenti in cantina alla sala vera e propria. In questo Pipero mostra coraggio e capacità innovativa nell’abbandonare a loro destino i classici.

In fondo lui, provinciale, è venuto a Roma ed è diventato famoso per la carbonara a peso, una trovata mediatica che aveva dietro sostanza vera e che lo ha visto primeggiare in una cosa che tutti fanno da decenni.

Mentre i ristoranti impegnati nell’avanguardia si contano sulle dita di una mano, certo non si arriva a due. Questo cambio di posizionamento dovrà trovare una clientela disposta ad accettarlo, ma la cornice in cui avviene questo smottamento gastronomico è la decisa creatività di Luciano Monisilio che nel nuovo menu di apertura dimostra padronanza tecnica, idee originali, sapori veri, conoscenza della materia. A cominciare dall’incredibile brodo di piccione.

I trucchi ci sono tutti, consistenza, giochi di temperatura, toni fumè e salini. Ma è negli accostamenti che il piatto diventa tale a cominciare da una attenzione estetica decisamente pignola. Il rognone di coniglio è stato ad esempio spettacolare e abbiamo fatto bis.

Innovativi e non banali il crudo cotto di manzo e pomodoro e pasta. Si ritrovano i sapori ma attraverso un percorso gustativo assolutamente non scontato.

Perfetto il connubio tra panna e limone. Grassezza anni ’70 e acidità moderna mediterranea che spinge e appaga. Bello anche l’orto mare della razza cotta nel burro. Alè, quando ci vuole ci vuole (cit.Rech)

 

Il piccione è un piatto di alta scuola, magro e aiutato dall’amaro della misticanza.

Immancabile, ovviamente, la carbonara a nostra richiesta, mentre i dolci sono perfetti.

CONCLUSIONE
Sala e cucina hanno la possibilità di esprimersi senza limiti. Venire qui da Pipero è un obbligo, l’esperienza è originale e appagante. Notiamo tra i big degli ultimi anni una certa repulsione, addirittura ostentata e cercata, verso i grandi classici romani. Un movimento curioso assolutamente inverso, invece, a quanto sta succedendo da un paio di anni in Campania dove invece c’è l’orgoglio di un recupero dei grandi classici. La tradizione non può certo opprimere, ma bisogna stare attenti a lasciare la delega di questo patrimonio alla ristorazione pop e turistica. I classici sono come le pinne quando si nuota, inutile togliersele per mettersi alla pari con chi non le ha. Le ambizioni di questo ristorante non sono nascoste ma esibite, noi siamo convinti che ci sono le idee, l’età e le risorse sia in cucina che in sala per avviare una nuova stagione nella gastronomia romana e italiana.

COSTO DELLA CENA
Abbiamo pagato 200 euro, ma approfittando di una carta interessante e con ricarichi ragionevoli per non dire convenienti. In realtà per mangiare si spendono tra gli 80 e i 100 euro. Non c’è differenza tra pranzo e cena e siamo d’accordo con la scelta: ‘sta storia del light lunch oltre ad essere fallita ha anche rotto. In un ristorante o si va per mangiare o è meglio non entrare.


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