Pizza Figliata: la ricetta di Pignataro Maggiore, la festa e gli assaggi

Pubblicato in: Eventi da raccontare

Secondo appuntamento dedicato alla Pizza Figliata nel casertano con Slow Food Caserta. Dopo la presentazione del progetto del Presidio ad aprile al Palazzo Lanza di Capua, ieri sera, si è svolto un incontro che ha visto le Comunità dei comuni di Pignataro Maggiore, Camigliano e Vitulazio incontrarsi e proporre insieme assaggi di questo dolce di antica tradizione nella zona (le fonti parlano dei primi dell’Ottocento).

Dal tardo pomeriggio, alla presenza dei sindaci dei Comuni coinvolti e del fiduciario della condotta di Caserta Francesco Marconi (oltre che mia che sono stata immeritatamente eletta madrina di questo dolce “figliato”), nel Borgo di Partignano, quartiere di Pignataro Maggiore, le donne dei tre paesi si sono messe all’opera per preparare la Pizza Figliata.

Momento clou della serata è stato quello della cottura nell’antico forno a legna, alimentato con tronchi di ulivo, che per oltre 150 anni è stato in funzione nel Borgo a beneficio delle famiglie che lo abitavano. Ancora calde (sebbene, si sono affrettati a raccomandare, gli anziani, “la Pizza Figliata di deve consumare fredda, meglio se dopo 15 giorni, in modo che maturi”) i dolci sono stati poi serviti al pubblico che numeroso è accorso per la festa che si è conclusa con le musiche e i canti del gruppo Aria Nova. L’iniziativa è stata l’occasione per vedere le massaie al lavoro e per scoprire i segreti di questa specialità che viene preparata solitamente una volta l’anno, la terza domenica di settembre, per festeggiare, a Pignataro Maggiore, il Santo Patrono: San Vito. In quel giorno, in vista della Festa, le donne del paese si mettono all’opera.

Preparano l’impasto “con farina, uova, olio, un goccio di vino bianco, una “grattata” di scorza di limone e un picchino di sale”. Lo stendono e cospargono con noci secche pestellate al mortaio, zucchero, scorza di limone grattuggiata (ndr: ma si usa anche il mandarino) e un pizzico di cannella. Poi, dopo aver cosparso il tutto di abbondante miele di millefiori, arrotolano su se stessa la pasta fino a formare un bastone che attorcigliano in forma di spirale aperta da un lato.

Dunque lo mettono in una teglia unta, ungono la superfice del dolce con olio e lo cuociono al forno a legna. Infine lo guarniscono, o meno (le donne di Pignataro Maggiore non lo fanno), con un velo di miele.

“I pasticceri o i fornai che propongono la Pizza Figliata, o taluni altri, la decorano con granella di noci o confettini colorati. Qualcuno mette scorzette d’arancia candita, uvetta e anche cioccolato” precisano con un’espressione in viso di diniego.

“Stiamo lavorando con le persone di questi comuni sulla definizione di una ricetta unica e riginaria” mi racconta Francesco Marconi che continua: “La concordanza delle Comunità su questo punto, la ricerca della forma più autentica di questo prodotto che pensiamo possa avere per esse una valenza anche commerciale, oltre che di valorizzazione di una tradizione che viceversa andrebbe lentamente a spegnersi, è un passaggio importante nel cammino verso il Presidio”. Qui il post precedente nel quale racconto le origini e la storia della Pizza Figliata.


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