Ristorante Don Geppi, metafora del bivio campano fra tradizione e ricerca

Don Geppi, Alfonso Iaccarino con il cuoco Mario Affinita e Lucio D'Orsi

Don Geppi Restaurant
Corso Marion Crawford, 40
80065 Sant’Agnello di Sorrento (Na)
Tel. 081.8072050
www.dongeppirestaurant.com
Aperto solo a cena
Ferie: dai primi di novembre a a fine marzo

Passione e determinazione nel ben fare sono le caratteristiche di questa nuova impresa avviata nel 2014 e che l’anno scorso ha preso la Stella Michelin. Ci siamo ritornato al termine della presentazione del nuovo direttore del Consorzio, Maurizio Cortese, che proprio di questo locale dell’Hotel Majestic aveva scritto su questo blog elogiando gli sforzi della proprietaria Giulia Rossano e delil suo compagno, il “Food Manager” Lucio D’Orsi che segue la sala e che è ha costruito tra le altre cose una buona carta dei vini.

Il cuoco ha 34 anni, approfitta della lunga pausa invernale per fare stage ed aggiornarsi e in effetti la padronanza della tecnica si vede in ogni piatto, in particolare l’influenza spagnola è particolarmente in evidenza nelle desrutturazioni della materia.

Per noi è stato un percorso metaforico del momento che vive la Campania, quella terza fase che non si riesce bene ancora a definire e che in sintesi possiamo sintetizzare nelle due possibilità: cucina di territorio rivisitata o cucina d’autore che usa anche prodotti del territorio senza farne un dogma?
Il fatto, molto semplice è che negli anni ’90 ha fatto scuola il Don Alfonso che ha creato il filone meridionale giocando quasi in antitesi ai modelli culturali che non volevano pomodoro preferendo morbidezze, fondi bruni  e materia prima costosa. Direzione a cui è seguita, nella generazione degli oggi quarantenni-cinquantenni la leadership di Gennaro  Esposito che giocava di rimessa con la tradizione reinventandola ma avendola al tempo stesso sempre come stella polare.

Ora l’impressione è che la generazione dei trentenni-quarantenni non hanno una leadership a cui ispirarsi come è avvenuto sinora. Ognuno cerca propri modelli che hanno la tecnica in primo piano, sicuramente superiore al passato, ma che non possono pescare più nelle memorie familiari o di territorio e che spesso di sono formati in luoghi dove le icone del Sud, la pasta e il pomodoro, non sono prese in considerazione.

Ecco allora che la cucina di Mario Affinita è un po’ la metafora di questo momento di transizione, in cui si aspetta un nuovo leader che detti i tempi e i contenuti della nuova cucina campana.  La partenza, ad esempio è innovativa, ma a nostro giudizio con due piatti che possono fare discute: la ceviche gioca troppo spudoranente sull’acidità senza trovare contraccolpi al palato mentre il calamaro che voleva diventare San Jacques va il verso a Bottura e a Gannan ma alla fine si presenta senza spinta. Due opposti, insomma, che non lasciano bene intendere in che direzione si vuole andare.

 

Con la pasta, invece, rientriamo in un territorio più rassicurante, i tortelli alla Nerano sono una bella idea che ricorda il tortello di carbonara di Heinz Beck, sono gustosi e addirittura potrebbero essere presentati all’inizio come amouse bocche per dire subito dove ci si trova.

Buona la cottura della pasta sia lunga che il classico ragù.

In base a questi ragionamenti la sezione che ci ha convinto di più della cucina sono stati proprio i due secondi dove la tecnica e la ricerca si coniugano a proposte leggibili nelle quali si avverte la padronanza del cuoco.

E molto bene anche i dolci, buoni, non stucchevoli.

 

CONCLUSIONI
Complessivamente l’esperienza al Don Geppi è gradevole, il servizio perfetto, la carta dei vini interessante e alle spalle c’è tanto orto vero curato dalla famiglia che regala sapore alla materia prima vegetale.
Le premesse dunque per crescere ci sono tutte, anche perché lavorare solo per cinque tavoli sul modello del Mosaico dell’Hotel Manzi rende più facile ogni sforzo.
La terza fase della cucina campana per me ha due riferimenti, uno di esperienza come Salvatore Tassa e uno giovane come Lorenzo Cogo. E solo due giovani cuochi la stanno percorrendo con chiarezza visionaria e progettuale, Giuseppe Iannotti e Francesco Sposito. Ossia usare la materia prima regionale che ha pochi eguali al mondo e rileggerla sulla base di quello che sta succedendo in gastronomia. Mario Affinita ha tutte le carte per poterlo fare, a patto che non si faccia prendere dall’ansia di stupire e di fare presto anche se ci rendiamo perfettamente conto che cucinare per Alfonso Iaccarino è stato un onore ma anche una esperienza non precisamente rilassante:-)
Molto faranno l’esperienza, i nuovi viaggi, la conoscenza del territorio e soprattutto la clientela che deve essere il fine ultimo di chiunque fa questo lavoro.

 


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