Roma, D.o.l. Il giacimento gastronomico di Vincenzo Mancino a Centocelle

Pubblicato in: Le stanze del gusto

di Virginia Di Falco
Chi conosce Vincenzo Mancino, anche solo per aver visitato virtualmente la sua Bottega del Gusto sul sito e su facebook, non si stupisce di sentir raccontare il suo «come è cominciata la storia». Una storia che inizia dieci anni fa con l’«okkupazione» di un’azienda agricola alle porte di Roma che stavano per espropriare e demolire. E continua con la difesa strenua e giornaliera di tutto quello che viene prodotto nella sua regione e con l’apertura della bottega nel 2006. D.o.l. è infatti un acronimo che sta per Di Origine Laziale.

Un piccolo locale nel quartiere Centocelle, pieno zeppo di tesori gastronomici legati tra loro da un filiera corta, spesso cortissima.
Sugli scaffali e nel bancone non ci solo prodotti, ma  decine e decine di storie. Come quella che mi racconta sulla tiella di Gaeta, torta rustica di mare, saporitissima, che gli viene consegnata due volte a settimana da chi la prepara in un piccolo laboratorio. «Non ha la forma tonda di piccola pezzatura come quelle tradizionali fatte in casa» ci spiega «perchè l’amico che la prepara si è inventato un sistema per distribuire in maniera uniforme pasta e polipo: una torta che costa 18 euro al chilo non può permettersi difformità tra cornicioni di pasta troppo spessi e la parte ricca di ripieno di pesce». Ergo: chi viene qui cerca la qualità, la paga ed è giusto che abbia sempre il meglio, anche rispettando le eventuali imperfezioni di una produzione artigianale.

Qui trova spazio e forma la voglia di cose buone fatte per bene, ma anche l’etica alimentare portata avanti con tutti i mezzi possibili, a partire dalla comunicazione on line (il sito web è molto ben fatto, con tanto di blog, catalogo e vendita on line) e anche con le battaglie a favore di piccole imprese familiari a rischio chiusura, o con le proteste — quando è il caso. Come è successo l’anno scorso quando Vincenzo ha fatto sparire dalla sua bottega un formaggio tipico della Ciociaria perchè il suo produttore lo aveva infilato per contratto in uno dei nuovi panini mcdonald’s.

Ragazzo concreto, ma anche filosofo del cibo che crea comunità, identità, valori, Vincenzo dedica gran parte del suo tempo alla ricerca di produttori e a tessere reti, convinto com’è che non può bastare accontentarsi dell’ultima fermata di una filiera. E infatti lo trovi sempre a organizzare visite nelle aziende agricole, a casa di chi concia il formaggio o di chi lavora le carni del maiale.
E così, i biscotti della Tuscia, il prosciutto e il guanciale di Bassiano, il conciato di San Vittore, la bufala e i pomodori pelati dell’Agro Pontino, i prodotti freschi della campagna romana raccolti con i cassettoni bio, il pane di Lariano, la birra del Borgo della provincia di Rieti, i legumi e i cereali della riserva naturale del Monte Rufeno, gli oli dop regionali sono, ognuno a suo modo, un racconto, il frutto di un’amicizia, la scoperta di un piccolo viaggio.

E mi vengono in mente le parole di Michele Serra in un articolo di qualche anno fa nel quale individuava le ragioni del successo dell’enograstronomia critica e consapevole, legata al rispetto delle radici e del territorio, nella indispensabile ricerca del bene comune che ormai la politica ha abbandonato da tempo.

E me ne esco dalla bottega di Vincenzo con un sacchetto di cose buone, pescandovi  – dopo solo qualche passo più in là – un pezzetto della fragrante pagnottina di Lariano. Che non arriverà mai sulla tavola di casa mia.


Via Domenico Panaroli 6/a (Centocelle)
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