Quando si è giovani l’interpretazione della realtà è più schematica: studiando la storia, pensavo ai pogrom medioevali contro gli ebrei e gli armeni, alle stesse stragi naziste e alle deportazioni di massa staliniste come qualcosa di definitivamente consegnato alle biblioteche e agli archivi. Poi l’implosione dei Balcani, l’Uganda, il Darfur, mi hanno interdetto, colpo di coda del passato o presente vivo a sanguinante? Ma quanto sta succedendo in questi giorni in Italia, compresa la grande retata di oggi di stranieri come mai si è vista contro mafia, camorra e ‘ndrangheta in tutta la storia repubblicana mi convince di una cosa difficile da ammettere: gli orrori non sono figli della follia dei singoli, ma risultato del consenso di massa. Dalle ronde leghiste ai clan della camorra che incendiano i campi Rom, dal presidente della provincia di Milano Penati del Pd a tutto il resto dell’arco costituzionale, un solo grido, un solo desiderio: fuori i rom dall’Italia. I sondaggi danno loro ragione, evviva, saremo tutti più tranquilli. La responsabilità penale dei reati non è più personale ma etnica, l’Illuminismo tramonta proprio mentre trionfa la globalizzazione e si compie la rivoluzione informatica, conoscerci meglio e più velocamente aiuta paure ancestrali ad emergere e a dettare la linea politica. Si dice, a giustificazione, della necessità di perseguire chi viola la legge, ma è sempre stata questa la motivazione delle stragi e della pulizia etnica. Non sono riflessioni fuori dalla realtà: persino l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati ieri ha invitato le istituzioni italiane e condannare quanto sta avvenendo a Napoli. Il Papa è intervenuto, ma la Chiesa è silente sul terreno, parroci a celebrare la messa fra chi si oppone agli inceneritori ne trovi a iosa, ma capaci di sprecare una parola per difendere chi è aggredito solo perché non italiano neanche uno. Loro, i Rom, non hanno stuoli di avvocati capaci di raggiungere la prescrizione, e neanche maggioranze parlamentari impegnate a votare leggi a loro favore. Sono deboli, ma al tempo stesso indispensabili, perché misurano il misero fallimento di una società senza sogni.
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