Coronavirus| Suor Luciana in clausura da 33 anni a noi in quarantena sanitaria forzata: sfruttate queste settimane per ritrovare la serenità perduta

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Avreste mai immaginato che nel cuore della Penisola Sorrentina, meta ambita dal jet set internazionale e Mecca gastronomica, ci sia chi vive in clausura? No? Ecco la storia di Suor Luciana. A molti lettori abituali di questo sito può sembrare strana la decisione di pubblicare una intervista del genere. In realtà i valori e i pensieri che una società frenetica costretta all’immobilismo sono quelli simili a quelli di chi attraversa una malattia ed è costretto a fermarsi. Il silenzio e la clausura come scelta di libertà possono essere uno spunto per quanti, in questi anni, hanno pensato che l’estetica e le scorciatoie fossero l’essenza della vita. Anche nel settore food che ormai stava vivendo una evidente bolla vicino all’implosione. Questa intervista di Antonio Manzo, direttore de La Città di Salerno dove è stata pubblicata due giorni fa, è un pezzo di grande giornalismo che coglie il punto vero ch tutti noi stiamo vivendo come condizione forzata spiegato da chi la vive di propria volontà, con evidenti vantaggi per la psiche.
l.p.

di Antonio Manzo

«La scelta radicale della clausura per vocazione è una scelta di libertà ed è spinta dall’amore di Dio che chiama. Quella forzata dei nostri giorni, invece, potrà aiutare il mondo a capire di più la nostra scelta ma anche far riscoprire la bellezza della vita e del silenzio».

Si chiama suor Maria Luciana Tartaglia ed ha 54 anni. È nata a Napoli e da 33 anni vive in clausura nel monastero di San Paolo al Deserto di Sant’Agata dei Due Golfi. È monaca benedettina di clausura, il suo mondo è una stanza dove si riflettono Dio al quale ha consegnato l’esistenza e la luce del sole del golfo che fa spaziare gli occhi dalla spiaggia di Seiano fino alla visione di Capri e Salerno. Nei giorni della guerra al virus, costretti tutti in casa ed evocando una clausura sociale, sia pure a tempo definito, si è portati subito a pensare a chi, invece, ha consegnato per tutta la vita una scelta esistenziale e religiosa di distacco dal mondo.

«Ci penso e ci ripenso alla situazione di maggiore clausura per noi e a quella temporanea degli italiani. In questi giorni è come se la mia stanza fosse popolata dai loro passi incerti, drammaticamente inusuali» dice suor Maria Luciana che a 21 anni, studentessa di Lettere all’università di Napoli, conobbe lo studio della teologia a largo Donnaregina dove ha sede l’episcopio di Napoli. E da dove iniziò il cammino verso la clausura. La bellissima intervista radiofonica di Sergio Zavoli a suor Maria Teresa dell’Eucaristia, la prima realizzata in un monastero di clausura, era stata realizzata 18 anni prima che Maria Luciana nascesse e quella suora carmelitana raccontasse la spiritualità del «consegnarsi viva alla morte».

Che percezione avete voi, suore di clausura, di quel che sta accadendo fuori, voi che nella vita avete scelto di vivere un dovere assunto in nome della fede cristiana?

Anche io sono stata bloccata dalle regole del coronavuirus. Studio a Roma, sarei dovuta ripartire per Sant’Agata dei Due Golfi il 16 marzo scorso ma era già in vigore il “restate a casa”. Così sono rimasta ospite della foresteria delle suore di Camaldoli continuando ad osservare la mia clausura, sia pure fuori convento.

Come continua a studiare?

«Con i sussidi on line essendo anche la mia università, Sant’Anselmo di Roma, chiusa per l’emergenza nazionale».

In quante siete nel “suo” monastero di San’Agata dei due Golfi?

Siamo un piccolo gregge, no-ve suore benedettine con una età media di settant’anni. La nostra madre badessa ne ha 48.

Com’è una giornata in clausura?

La giornata monastica è molto semplice. La sveglia è alle 5,15 e dopo un quarto d’ora ci si ritrova per la prima lectio. Alle 6,45 la celebrazione della messa con la preghiera in coro. Poi comincia la vita quotidiana del “labora”, dopo “l’ora”, secondo la regola benedettina.

Ogni suora ha un incarico nella comunità?

Sì. Noi avevamo una tipografia che ora non c’è più, governiamo una foresteria ma solo in estate e ci dedichiamo ad attività di ricamo. Ognuna di noi sa quel che deve fare, oltre l’affissione in una bacheca con l’avviso del lavoro che eventualmente cambia, a seconda delle esigenze comunitarie. La pausa pranzo è dopo la celebrazione dell’O-ra Sesta a mezzogiorno. Poi c’è il nostro pranzo comunitario che avviene in silenzio, con una lettura spirituale di fondo. Dopo il riposo e alle 16,10 c’è la ce-ebrazione dell’ora Nona alla quale fa seguito la ricreazione, cioè il momento nel quale la comunità si ritrova per scambiarsi fatti, eventi, opinioni e rac-conti. Si torna a lavorare fino alle 19,30 per arrivare alla celebrazione dei Vespri, la cena e la Compieta, cioè i salmi finali della giornata.

Questi orari vengono osservati anche nei giorni del coronavirus?

Sì, orari normali anche se i momenti comunitari, come la Messa, sono stati temporanea-mente archiviati. Di domenica, ad esempio, la nostra Eucarestia che non può essere colletti-va, ognuno di noi l’ha celebrata via tv, con Sat2000 (la televisi-ne dei vescovi italiani).

Perché sostiene che la sua scelta della clausura è una scelta nella libertà?

Perché sciogli e varchi, consapevolmente, il perimetro della tua intimità con una testimonianza a Dio. È la sfida del fondamento dell’esistenza che tu, volontariamente, consegni a Dio, che non conosci eppur ti parla e ti guida nel cerchio vivente della tua grande amicizia con Lui. L’apprezzi strada facendo.

E la clausura imposta dal virus?

È imposta dalla scelta di voler sopravvivere, dalla paura sociale o dal pericolo di una contaminazione di massa. In questi casi, con la grandezza dell’umanità, ci si difende.

Quando la clausura è scelta di libertà non senti il peso, ora, però, che tutti devono osservarla diventa una fatica. Cosa consiglia alla clausura sociale del tempo che viviamo? Consigli?

Consiglierei di riscopri-re i valori autentici della vita. Siamo stati per troppo tempo r-piegati sulla somma di un valore umano riconosciuto per i tramiti di occasioni effimere quali il potere, il successo, la fama, o la convenienza sociale. E, nella clausura sociale, sei costretto a fare i conti con te stesso, vedi che tutto è crollato o riconosci l’effimero, il superfluo e ti puoi riprendere la consistenza diffusa di un’esistenza serena.

Anche la riscoperta del silenzio?

I social, che sono una riccheza, invadono le nostre vite ma hanno fatto dimenticare il comunicare, cioè l’avventura del linguaggio e della sua verità, incontrando l’altro in carne ed ossa. Quando si è soli si scoprono le proprie paure ma anche le ricchezze della vita che erano state adombrate ed arrugginite. Sa, il silenzio ci mette nella verità, cioè quel che siamo realmente, in contatto diretto con il cuore.

Quando comunicò a suo padre e sua mamma la scelta di varcare la soglia della clausura?

La prima a saperlo fu mia madre. Momenti drammatici, non le nascondo. Era gennaio del 1987 quando cominciai a maturare questa decisione, poi a giugno la scelta definitiva. Sei mesi, anche di conflitto con i miei.

Un ricordo particolare di quei giorni.

Sì, era il 10 maggio del 1987 e ricordo che eravamo riunite per gli esercizi spirituali, tra silenzio e preghiera, che venivano predicati dall’allora arcivesc-vo di Torino, il cardinale Ballestrero. Ma erano anche i giorni dello scudetto del “mio” Napoli di Maradona ed io, nel pieno del clima per gli esercizi, in quella domenica della festa per lo scudetto nelle strade di Na-poli, andai sul terrazzo e comunicai alla suora maestra delle novizie che il Napoli aveva vinto lo scudetto.

E la reazione della superiora?

Mi chiese se mi fossi affacciata dal terrazzo. Io risposi di no e d’impeto dissi: “Ho ascoltato la voce del mio popolo”. Quello che sciamava per le strade e festeggiava a squarciagola.

Se dovesse consigliare un libro di lettura per chi oggi è alla clausura sociale?

Quelli che sto studiando nel mio dottorato per specializzarmi in teologia spirituale. Sono quelli dei Padri del deserto, gli antesignani del monachesimo. Cioè quei monaci, eremiti e anacoreti del IV secolo che abbandonarono le città d’Egitto, Palestina e Siria per raggiungre l’ascesi solitaria nel deserto. Sono di una grandissima modernità, perfino anticipatori degli psicologi

Oltre questi testi?

Primo, riprendere tra le mani la Bibbia. Poi Le Lettere di Berlic-che dello scrittore Clive Staples Lewis, dove si può leggere, con l’espediente letterario, di un colloquio epistolare tra demoni, lo zio Berlicche e il nipote. E ancora Delitto e castigo di Do-stoevskij dove l’uomo incrocia i suoi gesti e la colpa, La Notte di Elie Wiesel, il romanzo autobiografico di un giovane ebreo ortodosso deportato insieme alla sua famiglia ad Aushwitz.

La sua tesi finale del dottorato teologico?

Sarà sulle tre Madri del Deserto, cioè donne coraggiose e sagge. Si tratta di amma Teodora, amma Sra e amma Sincletica. “Amma” significa madre e nel verbo monastico designa la madre spirituale.

Tutti si chiedono quando fi-nirà la clausura sociale. Per lei e le sue consorelle è a vita.

Speriamo che finisca quella degli altri. La speranza per chi crede è un dono di Dio, per tutti è un compiuto umano. Noi suore di clausura preghiamo Dio perché finisca questa clausura


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