Una recensione del 1992 | Nella Grotta del Sole a Quarto Flegreo una Falanghina da tutto pasto

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Domenico Manzon

 

Mimì Manzon è stato il mio predecessore al Mattino, era sua la rubrica sul vino il cui testimone è poi passato a me nel 1994. Grande signore, appassionato, competente, disinteressato, non ha avuto la mia fortuna nel poter raccontare e accompagnare la grande rinascita del vino campano e italiano ma solo l’alba di questa riconquista della cultura di campagna in una regione divorata dall’area metropolitana. Gilda Guida scavando nell’archivio di Grotta del Sole ha trovato la prima recensione dell’azienda che porta la sua firma che offriamo ai nostri lettori. Siamo davvero agli albori della rinascita ed è giusto ricordare il passato perché senza radici non c’è futuro.

di Domenico Manzon

Gennaro ed Angelo Martusciello mi hanno invitato a visitare le loro Cantine Grotta del Sole, in quel di Quarto Flegre: sono fresche di zecca ed io mi son ritrovato, forse, in uno dei più moderni stabilimenti enologici d’Italia, dotato, tra l’altro – e sono pochissimi ad averlo, così come mi ha spiegato Francesco, giovanissimo enologo, figlio di Angelo – d’un impianto che depura acqua ed aria: quando le bottiglie arrivano alla catena d’imbottigliamento sono di un nitore immacolato, con quanto beneficio per la purezza del vino è facile comprendere.

La vinificazione delle uve alla Grotta del Sole avviene dopo che le stesse sono state pigiadiraspate ( splendida la macchina che compie questa duplice operazione), criomacerate ( le bucce dell’uva macerano nel mosto per migliorare le caratteristiche organolettiche del vino) e spremute in maniera molto soffice.

E così, mi dice Gennaro ( enologo e laureato in Agraria), che nasce, imbottigliata quest’anno per la prima volta, la Falanghina dei Campi Flegrei, quel bianco incredibilmente eccellente che – scriveva – Maiuri- “affonda le radici nell’antichità classica”. Unico vitigno la Falanghina ad essere rimasto esente dalla fillossera per la natura vulcanica del terreno che è, tra l’altro, molto sciolto, il che permette, caratteristica quasi unica in Italia, di coltivare il vitigno su piede franco ( non innestato, che vive cioè sulle proprie radici).

Della Falanghina ho già scritto ( a proposito del Falerno degli Avallone, a Villa Matilde, di quella imbottigliata da Leonardo Mustilli a Sant’Agata dei Goti e dell’altra prodotta nella Cantina Sociale del Taburno a Foglianise); dirò solo che questa dei Martusciello ( che nel colore paglierino chiaro presenta leggere venature verdoline) ha un profumo ben pronunciato e composito, quello tipico dell’uva che la gentile consorte di Angelo, sig.ra Elena, ha preteso provassi. Non vi nasconderò che splendidi compagni furono il pane cafone fresco di forno e le bufaline di Aversa: queste ultime mi convinsero ancor di più che la Falanghina, vino da pesce nobile, da crostacei, da frutti di mare, è anche ideale compagna dei formaggi freschi ( provatela sulla caprese: mozzarella, pomodori, basilico, aglio ed origano) e della nostra insuperabile pizza, bianca o rossa che sia. Il sapore è asciutto con leggerissima vena citrina che si sofferma piacevolmente tra naso e bocca. La bottiglia va servita alla temperatura di 10° centigradi. Prima di lasciare lo stabilimento abbiamo brindato alle fortune della neonata Falanghina dei Campi Flegrei con lo spumante Don Pedro (solo Asprinio) vecchio di cinque anni: un’altra perla dei Martusciello.

Il Mattino, 9 ottobre 1992


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