Valentina Passalacqua e l’inchiesta sul caporalato. La sua colpa? Essere figlia di un indagato

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista
Valentina Passalacqua con il suo staff

Valentina Passalacqua con il suo staff

Valentina Passalacqua è diventata un caso suo malgrado dopo l’inchiesta sul caporalato che ha portato il padre Settimio agli arresti domiciliari. La sua intervista a Repubblica.it di Maria Pranzo ha rinfocolato le polemiche.
Purtroppo per lei deve duellare nelle condizioni più sfavorevoli per chiunque si trovi in analoga situazione: c’è una inchiesta della Procura sul padre riportata su tutti i giornali e, come sappiamo, per la lentezza del nostro sistema giudiziario si arriverà ad una verità solo fra quattro o cinque anni nel migliore dei casi. Lei è una donna, quindi viene attaccata anche per come si è fatta fotografare una volta in vigna. E poi è del  Sud, dove ogni ricchezza è, per definizione, sospetta di infiltrazioni malavitose. Ed è una donna di successo.
Persino l’intervista di Repubblica.it è stata attaccata nonostante sia un pezzo esemplare di giornalismo in cui tutte le domande che andavano fatte, compresa quella della sua partecipazione con una quota ad una delle società controllate dal padre, sono state poste.
Viviamo in un paese strano, dove la Pubblica Accusa può fare conferenze stampa e comunicati che vengono spesso copia-incollati sui media (soprattutto quelli on line) mentre se un imputato, ma che dico imputato, un indagato, ma che dico indagato, una persona che è colpita dall’inchiesta solo perché figlia di, decide di rilasciare una intervista viene subito attaccata insieme al giornalista che la fa.
Intanto allora per prima cosa complimenti a Maria Pranzo che ha fatto un pezzo che nessuno ha pensato o è riuscito a fare e al responsabile di Repubblica Sapori Antonio Scuteri che ha deciso giustamente di pubblicarla.
Come qualcuno saprà, sono stato un cronista giudiziario dal 1988 al 1993, anni di fuoco, in cui le inchieste fra politica, camorra e magistratura si intrecciavano nella Tangentopoli a Napoli e dintorni. La cronaca giudiziaria per un giornalista è una grande palestra di vista e di professione perché ti abitua alla precisione dei termini da usare. Ad esempio, il 99% degli italiani non sa che indagato e imputato sono due figure giuridiche completamente diverse. Il giornalista di giudiziaria lo impara dopo la prima querela per aver confuso i termini e, non a caso,  è una delle domande che si fa agli esami da professionista: che differenza c’è tra indagato e imputato?
Semplice, l’indagato è oggetto di indagine dalla Pubblica Accusa che può anche chiedere direttamente il non luogo a procedere dopo una verifica delle prove. L’imputato è colui che è stato rinviato a giudizio e sta di fronte ad un giudice terzo o a una giuria. Il pregiudicato è colui che ha riportato una condanna definitiva in Cassazione. Ed è solo allora che si può parlare di colpevole.

Dunque, per tornare ai fatti, il padre di Valentina Passalacqua al momento è indagato. Vedremo in udienza preliminare quali delle numerose accuse avranno la forza di portarlo in giudizio e quali, nel caso in cui vada a processo, risulteranno essere fondate al punto da determinare una condanna.
Valentina Passalacqua invece non è neanche indagata. E’ solo, da quanto risulta al momento,  figlia di un indagato.
Questi sono i fatti nudi e crudi da cui bisogna partire per una valutazione oggettiva della situazione. Nella sua azienda, e vi assicuro che conoscendo bene i metodi di indagine “a strascico” delle Procure, le verifiche sui suoi 36 dipendenti sono state fatte sicuramente e se non è stata coinvolta è proprio perché di caporalato qui non c’è neanche un’ombra.
Ma Valentina Passalacqua combatte in difesa anche per i meccanismi tipici dei social. Precisamente per un post su Facebook nel quale, precisando la sua posizione, ha ribadito di essere estranea alle attività del padre.
Questa affermazione gli è stata contestata perché ha il 25% in una società del padre sotto inchiesta di cui ha firmato i bilanci. Non poteva non sapere…
Non poteva non sapere cosa, se non gli è stato contestato, al momento in cui scriviamo, nulla? Non poteva non sapere quello che faceva il padre…Non poteva non sapere le accuse che un giorno avrebbero mosso al padre? E perché avrebbe dovuto o potuto? Quanti di voi sanno quello che fanno o hanno fatto veramente i vostri padri e quanti padri sanno realmente cosa fanno i figli? L’appartenenza familiare porta necessariamente alla correità di colpa?
In una società tribale si. Come per chi ha una mentalità tribale.

Mi stupisco nello scrivere cose così banali, ma se serve lo rifacciamo.

Ma al di là di questo ed altri sofismi (contestata anche la sua scelta di fare vini naturali, le sue linee di successo commerciale, il modo di farsi fotografare) stupisce che ad attaccarla sia un importatore americano concorrente. Ora dovete sapere che questa pratica non è un caso isolato. C’è stato un episodio simile proprio sul pomodoro quest’anno, in cui un importatore portato a giudizio per falso San Marzano da un suo concorrente ha avuto subito il rimbalzo sui giornali locali italiani. Peccato che il gioco era sul nome della varietà e non sul marchio europeo. Tutto è finito in una bolla di sapone ovviamente e i giornali che ne avevano parlato si sono ben guardati dal dare l’esito del giudizio negli States. Il gioco è semplice, l’italiano (eh si l’italiano) non ha buona fama in tema di correttezza commerciale (siamo noi in effetti i principali falsari del made in Italy) e dunque basta un titolo, metterci la parola mafia e il gioco è fatto. Il bersaglio è sulla difensiva e deve scacciare lo stesso dubbio che viene insinuato verso una bella donna che ha fatto carriera…La potenza dei pregiudizi e dei luoghi comuni fanno parte della lotta commerciale nel bene come nel male.

Ma al di là di tutto, quel che più conta per me è che cinque anni fa con un paio di amici sono andato a visitare Valentina Passalacqua quando era ancora ai primi passi. Conobbi una donna determinata, impegnata nel suo lavoro, di grande intelligenza. I suoi vini mi piacquero molto e piacquero a tutti quelli che li avevano provati diventando un riferimento importante in una provincia dove le uve si producono in grande quantità per finire spesso in altre denominazioni italiane (un tempo anche in Francia). Valentina Passalacqua, come D’Araprì, La Marchesa, Enotria, Alberto Longo e pochi altri, ha dato lustro alla provincia di Foggia, la dispensa italiana più importante di ortofrutta  dopo la Pianura Padana e la Sicilia.

E la domanda che dovrebbe zittire tutte le persone di buon senso, al di là dei sofismi e dei pregiudizi: ma vi pare che il settore vitivinicolo di qualità, in questo caso certificato biologico, con i suoi tempi lunghi, gli investimenti che ritornano dopo dieci anni almeno, le competenze necessarie, gli sforzi personali, le difficoltà burocratiche, i controlli continui da parte di Asl, Regione, Comune, Ispettorato del Lavoro, Nas e via cantando, i problemi del mercato, la difficoltà di incassi in Italia, possa essere l’attività prioritaria di chi ha in testa di fare soldi con il malaffare?

Ecco perché Valentina Passalacqua fa difesa dalle accuse di caporalato.

 


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version