Villa Crespi e la strepitosa cucina di Antonino Cannavacciuolo: il due stelle con la stella mancante

Villa Crespi

Villa Crespi di Antonino Cannavacciuolo è in questo momento tra i ristoranti più completi che abbiamo in Italia.
Ci sono cuochi che finalizzano la loro attività alla televisione e ai congressi e dunque alle consulenze. E cuochi, come lui, che finalizzano la televisione al ristorante. Nella speranza che qualcuno alla Michelin capisca questa inversione hegeliana di soggetto e predicato che capovolge il radicato pre-giudizio antitelevisivo della Rossa perchè muta la sostanza, vi diciamo che almeno una volta nella vita potete venire qui. Costa meno della metà di un iPhone 12.

Troverete grandissima conoscenza della materia prima e delle tecniche, una visione che mette sempre il cliente al centro dell’attenzione, una sala in cui c’è il perfetto equilibrio tra la spettacolarizzazione che evita rischi di monotonia, l’attenzione precisa ma non ossessiva, la passione. Una sala che, non so perchè, mi ha riportato l’esperienza fatta nel 2009 al Saint Celoni di Santi Santimaria a Madrid, salvo poi scoprire che il maitre Massimo Raugi effettivamente c’è stato. Un caso, una coincidenza, ma il mondo è davvero piccolo. Una casa diretta da Stefania Siani in cui prima di tutto il cliente si sente a proprio agio appena entra: due sale da pranzo centrali, un disimpegno, una sala bar per distillati, un bellissimo dehor esterno, tutto circondato da un parco ben attrezzato per eventi importanti.
Ma l’aspetto politico che vogliamo sottolineare è il fatto che questo posto sul Lago d’Orta, onirico, fiabesco, un’astronave arabeggiante piovuta nel profondo Nord, resta il baricentro mentale di Antonino Cannavacciulo: i sacrifici, la gavetta, il risalire la corrente a cui ogni meridionale è sottoposto sulla via dell’affermazione professionale restano il contrappeso allo straordinario successo televisivo. Lui non è un personaggo costruito, è un vero grande cuoco che sta in tv, come negli anni ’60 grandi attori italiani di teatro interpretavano gli sceneggiati televisivi senza dimenticare, appunto, il teatro come primo e vero luogo di elezione del proprio mestiere. “Finite le registrazioni a Milano sono sempre tornato per il servizio serale al mio ristorante – ci dice Tonino Cannavacciuolo – e la mattina sveglia all’alba per tornare a Milano”.

E questa cosa si sente quando si entra qui dentro e fa la differenza. Speriamo che anche la Michelin, che agli italiani non perdona le comparsate in tv, abbia gli strumenti psicologici e cognitivi moderni per valutare questa situazione e aggiunga formalmente la terza stella che manca (si che manca) al bistellato Villa Crespi.

Cosa si mangia da Antonino Cannavaciuolo

 

I percorsi di degustazione sono due: il Carpe Diem a 160 euro e Itinerario dal Sud al Nord dell’Italia a 190. Vini esclusi: la carta è molto ricca e approfondita, la ricerca si può fare per vitigno, per territorio, per produttore, per tipologia. Insomma, da scrittura Ceo perchè parte dalla domanda del cliente. I prezzi sono ragionevoli con ricarichi non esagerati che fanno girare la cantina, decisamente ben organizzata e con punte di interessante profondità.

 

L’ispirazione è quella di un ristorante classico, francese, in cui il cliente può trovare tutto quello che vuole, dal carello dei formaggi (ossessiva la ricerca di piccoli produttori a partire dal territorio), delle tisane, la selezione dei caffè.
Un ristorante dinamico, nei piatti si fondono i sapori del ricordo con qualche suggestione orientale che però è sempre subordinata al progetto del piatto, non mera esposizione dimostrativa. In un grande piatto la spezia, l’alga giapponese, la stessa tecnica, non possono essere il risultato della percezione finale, ma il mezzo con cui la materia, l’idea stessa del piatto, si esalta e si moltiplica.
Per dirla in parole povere, siamo stanchi di spezie e alghe messe a dimostrazione di un aggiornamento che piuttosto è spesso solo un pigro orecchiare da parte di molti cuochi.

L’aperitivo è la premessa di quello che mangeremo, un tric trac con botta finale del cannolo di ragù napoletano adattato al gusto settentrionale perchè resta soprattutto la sensazione della carne più che della salsa. Buonissimo.

Parte una batteria fantastica, dalla classica trota salmonata alle coscette di rane cotte nel burro che da sole valgono il piatto.

Questo classico di Antonino deve poi indurre alla riflessione: è classico non ciò che è stato fatto nel passato, ma quello che conserva la sua ragion d’essere e la sua attualità anche dopo molti anni. Possiamo immaginare un piatto più moderno di questo, soprattutto adesso che il pomodoro è stato riscoperto dall’Alma a Lisbona sino a Mosca passando per Josean Alia nei paesi Baschi e al 108 di Copenhaghen?

Qui il sedano rapa grigliato è una sorta di gol da centrocampo, un piatto vegano che non fa rimpiangere certo la solita pancetta croccante di maialino che altrimenti avrebbe fatto il suo ingresso.

La pasta secca ormai è un passaggio obbligato di tutti i grandi cuochi italiani. La nostra linguina è un grande classico mentre la tagliatella è qualcosa di varamente straordinario grazie all’equilibrio, difficilmente raggiungibile nella cucina tradizionale, tra i fagioli e le cozze.

Il mare puro esplode in bocca proprio mentre il palato si abitua alla rassicurante e papposa sensazione del midollo, come mangiare due piatti in uno. In questi accoppiamenti leggiamo anche la genialità del primo Vissani, quello che sconvolse tutti grazie alla sua abilità intuitiva di combinare i matrimoni fra gli ingredienti più lontani.

La tensione non cala, come ormai succede spesso, proprio sui secondi. E come potrebbe: sgombro e triglie,un tempo pesci di scarto, qui sono protagonisti di sapore assoluto e freschi. Il rombo è un grande classico.

E via poi ad altri due classici: la zuppa forte, di origine napoletana, fatta con le interiora di maiale e il piccione, una vera e propria tesi di laurea straordinariamente perfetto in ogni suo pezzo.

Infine i dolci, moderni, freschi, leggeri, che non appesantiscono il pranzo o stancano il palato.

Il menu di Villa Crespi

CONCLUSIONI

Oggi non puoi dire di aver mangiato in Italia se non sei passato di qui. Succede in pochissimi ristoranti dell’alta ristorazione e non ci arrischiamo nel fare l’elenco da cui è fuori almeno un tristellato. L’esperienza a Villa Crespi è completa, appagante, il benessere del cliente è sempre al centro di ogni cosa, dallo studio del piatto al momento in cui viene servito, dal ritmo del pranzo all’accoglienza delle sale. Una esperienza altissima che mi ha riportato al mio ristorante parigino preferito, Le Cinq con Christian Le Squer
Per carità, i tempi sono quelli che sono, l’essenzialità protestante a tavola senza tovaglie va benissimo. Ma per un grande pranzo, in un grande ristorante con una grande cucina, continuiamo a preferire i fuochi d’artificio del cattolicissimo barocco.


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