di Fabio Panci*
Devo subito recitare un particolare “mea culpa” in quanto dall’ultimo articolo scritto, per la rubrica “vini nudi e crudi”, è passato davvero un bel pò del tempo. “Pausa di riflessione” molto lunga, ma per il sottoscritto bellissima, intensa, entusiasmante, anche faticosa non lo nego, vista e considerata la nascita di un “altro erede” in famiglia. Naturalmente con una prole raddoppiata, con l’inevitabile ritorno alle nottate insonni ormai dimenticate, il tempo da dedicare alla scrittura dei pezzi per il blog lo ammetto non è stato moltissimo. E pur vero però che le occasioni per festeggiare, ergo aprire ottime bottiglie “nude e crude”, non sono mancate con conseguente ampio archivio di “ricordi enoici” da cui trarre articoli per un po’ di tempo.
Dopo Slovenia (con il riesling di Ducal) e Francia (con il Brut Reserve di Delavenne), complice anche lo svolgersi dei campionati europei di calcio (mannaggia ai tedeschi, visto l’epilogo con la vittoria del Portogallo, potevamo alzare anche noi la coppa a St-Denis) ho sentito forte il richiamo della patria tornando come il figliol prodigo sul territorio italiano.
Per essere precisi siamo in zona Cristo di Sorbara, tra i fiumi Secchia e Panaro, nel cuore del territorio modenese. In questo meraviglioso fazzoletto di terra, la famiglia Paltrinieri produce Lambrusco di Sorbara Doc da tre generazioni. Il precursore Achille, alla metà degli anni venti del secolo scorso, cominciò la costruzione della cantina, poi il successivo ampliamento spettò al figlio Gianfranco, con attualmente la gestione in mano al nipote Alberto.
Tra i splendidi “frutti della vigna” prodotti dalla famiglia Paltrinieri, opto per il Radice. Lambrusco di sorbara in purezza, con rifermentazione naturale in bottiglia con soli lieviti indigeni. Certo detto così il classico commento è “roba troppo ricercata, da esperti, o meglio da enofighetti”. Termine quest’ultimo che detesto, aborro (come direbbe l’eclettico Giampiero Mughini), in quanto se lo dobbiamo contestualizzare al vino preso in causa è veramente antitetico e fuorviante.
Tornando alla bottiglia, il “Radice” si presenta con un color rosa molto accattivante alla vista, e con una parte olfattiva “un po’ più timida” con sentore principale di piccola frutta rossa (dizione spesso troppo generica, ecco perché preferisco aggiungere “lampone”, il frutto prevalente a mio parere). Questo suo lato “ombroso”, “non di facili costumi”, almeno al naso, trova il rovescio della medaglia su una parte gustativa molto aggressiva. Acido, secco, asciutto, essenziale, ecco il quartetto di aggettivi perfetto a rappresentare questa meraviglia proveniente dalle terre di Sorbara. Continuando con verticalità, degna almeno di un “quota 4.000”, introspezione, “tanta materia buona”, piacevolezza ai massimi livelli e finale scritto sin dall’inizio: “ehi amico sai che non sarò l’unico Radice della serata, ma come minimo ne aprirai un’altra bottiglia vero?”
* Giornalista-pubblicista
Sommelier Ais
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