In questi giorni è iniziata presso il MIPAF la discussione in merito alla richiesta da parte dei produttori di Moscato di Saracena, di riconoscimento della DOP e implicitamente, dell’accettazione in deroga del metodo di produzione del Moscato stesso. Questo vino, antico e nobilissimo, infatti, si ottiene aggiungendo al mosto di varie uve locali precedentemente concentrato, una quantità variabile di moscato appassito e spremuto in maniera molto soffice, addirittura con le mani. A questo punto parte una fermentazione molto delicata e lunga nel tempo, sino ad ottenere un vino ambrato, di notevole corpo, ricco di profumi speziati e di un retrogusto generalmente ammandorlato.
E’ un vino unico al mondo, che si produce solo nel territorio comunale di Saracena, un comune al confine del Parco del Pollino. Si produce da secoli in tutte le cantine locali, per uso famigliare e da qualche anno anche per la commercializzazione: si tratta di poche bottiglie, nel complesso, ma il valore storico, sociale e culturale di questo vino è enorme. Attorno al Moscato di Saracena si riconosce un’intera comunità, una comunità che da questo prodotto può ricavare un’interessante integrazione al reddito in un territorio degradato e afflitto da una pesante crisi economica. Slow Food ha realizzato un Presidio su questo Moscato, che ufficialmente prenderà il via il prossimo anno, ma che di fatto già sin d’ora ne evidenzia le caratteristiche e le potenzialità.
Chiediamo pertanto con convinzione alla Commissione esaminatrice, che questo patrimonio non venga svilito negandogli il diritto sacrosanto di chiamarsi vino: perché tale è e non può essere apparentato ad altre preparazioni a base di vino.
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