Festa a Vico 2015. Ecco i migliori piatti della semplicità

Pubblicato in: Eventi da raccontare
A cott' e pane di Giovanni Mariconda

di Giustino Catalano

Come molti sapranno Gennarino Esposito ogni anno da un tema a Festa a Vico, una sorta di traccia che ogni chef, pizzaiolo o produttore seguirà a schema libero.

Il tema di quest’anno di quella che a mio avviso è la Repubblica del cibo è le mani amiche. Così, dopo “l’ubriacatura” di cibo dello street food della domenica, nella giornata di lunedì mi sono messo alla ricerca del tema della festa escludendo da tale ricerca i pizzaioli che per loro specifica natura nella maggior parte dei casi rientrano a pieno diritto nella categoria delle mani amiche da sempre.

Ma quali sono poi le mani amiche? E qui la definizione diviene molto personale. Le mie mani amiche sono quelle della mamma, della nonna o della signora che preparava quel determinato piatto. Ma anche quelle del luogo che si racconta.

Così partendo dal pic nic del mattino svoltosi a Capo di Sorrento nella splendida cornice dell’ultimo lembo della penisola sorrentina ho proseguito nella mia ricerca sino a sera giù al Bikini seguendo questa mia regola e devo dire che non è stato difficile reperire queste mani .

Una valutazione su tutte. Vince decisamente la semplicità. La rassicurante semplicità, fatta di sapori arcaici, di memorie casalinghe e di sapienze non visibili ma percepibili al palato.

Così, di buon mattino, come nelle migliori tradizioni contadine, Giovanni Mariconda, irpino e uomo della terra porta al pic nic A cott’ e pane. Un antico pane di mais cotto nelle foglie di castagno che nel contenerlo finivano anche con lo svolgere l’inconsapevole funzione di carta forno, farcito con un uovo ad occhio di bue capovolto peperoncini di fiume padellati con pomodorini e due fette di caciocavallo. Un morso antico dove nello schiacciare il panino il rosso dell’uovo si rompe e riconferisce umidità al pane di mais per sua natura greve dopo qualche ora. Superlativo.

Altro luogo altro panino. Al Bikini Danilo Di Vuolo si presenta con un panino con la parmigiana. Così, semplicemente. Messo lì in un coppetto di carta paglia. Così come a volte lo abbiamo desiderato sugli spalti del San Paolo osservando il nostro vicino che lo addentava. Così come ce lo faceva mammà. Buono come la mamma.

 

Dopo il primo morso ci siamo fissati negli occhi e non ho potuto fare a meno di esclamare “ti piace vincere facile eh?”. Danilo ha sorriso.

Più in là, poi, ho trovato lo Chef Peppe Guida. Una stella Michelin e tanta, ma proprio tanta professionalità. Osservo e sul tavolo scorgo solo due limoni e, nel mentre cerco di capire cosa ha proposto, lo vedo arrivare con degli spaghettini cotti con la tecnica della risottatura che condisce a freddo con abbondante olio extravergine, provolone del Monaco e buccia di limone grattugiata finemente. E’ un momento di commozione profonda. La devozione per i propri luoghi e per i prodotti. Sto ancora cercando le parole per spiegare le sensazioni provate ma non vi riesco.

 

E il calice giusto per accompagnarli? Beh! Semplice anche quello. La nuova birra Ligia del Birrificio Sorrento, fatta con un 15% di mosto di Furore di Marisa Cuomo. Netto al naso con lievi note di fiori e agrumi e con sentori di vino. Fresca e di buona acidità al palato con un finale amaricante.

 

La semplicità, la cosa più difficile da ottenere sta forse proprio nella ricerca delle mani amiche.


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