Garantito IGP. Mi scusi, il suo è Miele Vergine?

Pubblicato in: GARANTITO IGP

di Kyle Phillips

C’è miele e miele. Da una parte la roba venduta in bottigliette a forma di orso nei supermercati, che è spesso una mescolanza di mieli di varie provenienze. Dall’altra quello che si potrebbe chiamare Miele Vergine (o Vergine Integrale), che si compra spesso direttamente dall’apicoltore ed è estratto da arnie che si trovano in un punto preciso, dove le api raccolgono il polline principalmente da un fiore o tipo di pianta.
Dico potrebbe chiamarsi perché il termine Miele Vergine era un termine dell’etichettatura italiana introdotto per distinguere i mieli artigianali ottenuti dalla semplice centrifugazione dei favi senza l’applicazione di calore o altri trattamenti. Ma alla fine degli anni 90 la UE (allora CEE), pur dichiarando che le etichette dei vasetti di miele debbono indicare la provenienza del miele ivi contenuto, proibì l’utilizzo della parola Vergine e secondo un articolo pubblicato nel 2009 dalla Rete Rurale Nazionale il termine rimane tutt’ora proibito. Pertanto Vergine, o Vergine Integrale è più un concetto che una realtà normativa.
Cosa lo rende interessante? Dato che le api di un’arnia tendono a concentrarsi su un determinato fiore finché lo trovano, molti mieli vergini sono anche mieli derivati da singoli fiori, e ne riflettono le caratteristiche. Per esempio, mieli da aranceti hanno un delicato profumo d’arancia ed una leggera acidità agrumata che dona definizione alla loro dolcezza. Se non vi è abbastanza di un dato fiore le api raccoglieranno pollini anche da altri, producendo miele millefiori.

Nonostante il nome, i mieli millefiori tendono ad essere ben caratterizzati perché riflettono la flora dell’areale in cui volano le api. Per esempio, in buona parte delle Alpi il miele millefiori unisce l’amarognolo del castagno con il mentolato del tiglio, e spesso dimostra anche note resinose o caramellate la cui intensità dipenderà dalla quantità di melata che le api hanno raccolto. La melata è uno zucchero non che deriva dai fiori, ma bensì da afidi e altri insetti che succhiano la linfa delle piante (tigli in questo caso), “espellendo” poi gli zuccheri in eccesso.
Che le api si servano degli escrementi di altri insetti potrà sembrare strano – ha sorpreso anche me – ma nelle zone con pochi fiori non hanno altra scelta, e infatti buona parte del miele nordico deriva dalla melata anziché dai fiori.
A pensarci bene, il numero di potenziali mieli vergini è quasi infinito. E sorge spontanea la domanda, cos’è il miele?
Il miele è principalmente zucchero, fino a circa l’80%, mentre il rimanente 20% è acqua e gli elementi in traccia che conferiscono ad un determinato miele le sue caratteristiche. Quando si estrae dal favo è un liquido, ma supersaturo. Col tempo quasi tutti i mieli, a parte quelli di acacia, castagno e melata cristallizzano; la cristallizzazione non altera il gusto del miele ma cambia la sensazione che da in bocca, perché i cristalli assorbono calore quando si sciolgono sul palato, dando così una sensazione di freschezza.

Per annullare la cristallizzazione basta riscaldare il miele a circa 40 gradi a bagnomaria, ma bisogna tener presente chi il riscaldamento provocherà l’evaporazione di alcuni componenti volatili, con una conseguente perdita di aroma e sapore. Questa perdita, che dipende dalla temperatura, accade naturalmente col passare del tempo. Un vasetto di miele in frigorifero a meno di 10 gradi si manterrà per anni, il solito vasetto nella credenza (a 20 gradi) si manterrà per circa un anno, e a 30 gradi soltanto per pochi mesi. E’ importante sottolineare che il miele non perde la sua commestibilità, ma diventa semplicemente dolce, come uno sciroppo prodotto da zuccheri raffinati. Pertanto, un vecchio barattolo di miele che non da più piacere sul toast potrà servire benissimo in un dessert.
Ho preso questi appunti nel corso di una presentazione dedicato ai mieli che è terminata con una degustazione: abbiamo cominciato con un delicatissimo miele d’acacia, seguito da uno sferzante miele agrumato, poi un miele di melata cremoso, quasi maltoso, a seguire un miele di dente di leone dotato di notevole opulenza, un amaro miele di castagno, un pezzo di favo da degustare, ed un ricco miele millefiori alpino. Sette mieli straordinariamente diversi, seguiti da un ultimo miele abbastanza dolce e prevedibile, quasi insipido al confronto degli altri – un miele commerciale, e assaggiandolo ho capito perché la UE, che tiene più conto di quanto non dovrebbe dei desideri degli industriali del cibo, abbia proibito la dicitura Vergine.
Quando scegliete un miele, indirizzatevi sul prodotto di un apicoltore anziché su un miele commerciale; la differenza del suo sapore val bene la differenza di prezzo. E se l’apicoltore ha più mieli, assaggiateli tutti. La loro variabilità è affascinante.

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