Giorgio Gianatti, l’uomo del Grumello

Pubblicato in: I vini da non perdere
Sondrio visto da Montagna in Valtellina

di Simona Paparatto

Il Nebbiolo sceglie pochissimi territori elettivi ove decide di mostrarsi totalmente, svelando le sue superbe e carismatiche doti. Uno di questi luoghi è la Valtellina, in Lombardia. Qui è conosciuto come Chiavennasca e cresce in un contesto unico.

Situata nel distretto di Sondrio, la Valtellina è posizionata a nord del lago di Como, il Lario, che funge da mitigatore termico. Protetta a Nord e ad Est dalle Alpi Retiche, che fanno da confine con la Svizzera e a Sud dalla catena delle Alpi Orobie, viene racchiusa in una specie di anfiteatro e solcata dal fiume Adda. La Breva (vento caldo ed asciutto proveniente dal Lario), ed il Favonio (vento freddo e violento del nord), creano una ventilazione intensa e costante, riducendo al minimo l’umidità. La disponibilità di luce è elevata, con il sole che si impone da est verso ovest, producendo energia attiva per le attività di fotosintesi. I terreni sono magri e poco profondi, spesso di riporto, originati dalla rottura dei graniti (gnaiss) e favoriscono il completo deflusso delle acque superficiali. Sono terreni sabbiosi, limosi, acidi, silicei e salini, con poche argille e senza calcari. Le pendenze arrivano sino all’80% ed oltre. In questo contesto geologico, le viti sono spesso in stress idrico: non è raro che le radici s’infilino nella roccia viva per trovare acqua e nutrimento: corrono e si innervano all’interno di essa, donando ai vini, ampi profumi, che sono autentica espressione del territorio. Sono 908 gli ettari vitati, dislocati in 52 chilometri di lunghezza, da Berbenno a Tirano, dedicati alla viticoltura d’eccellenza, fatta di terrazzamenti, tutti sul versante retico, (mentre quello orobico ospita coltivazioni di alberi da melo e poco altro, restando esposto all’ombra per la maggior parte della giornata). Di primo acchito, non sembrerebbe affatto un territorio adatto alla viticoltura, ma nel corso dei secoli è stata la volontà ferrea dell’uomo che, attraverso radicali modellamenti, lo ha valorizzato con grande maestrìa, plasmandolo ed ottenendo 2500 chilometri di terrazzamenti, ad altitudini che vanno dai 300 ai 700 m slm, con orientamento est-ovest longitudinalmente alla catena montuosa e conseguente esposizione a sud. Seguendo il versante retico da est a ovest, si individuano le MGA: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella, facenti capo alla denominazione Valtellina Superiore DOCG, nata nel 1998. È proprio nella sottozona del Grumello (dal latino grumus che significa altura, ma il riferimento è anche alla parte scheletrica del terreno), appena sopra Sondrio, che si trovano gli appezzamenti di Giorgio Gianatti, conosciuto anche come l’uomo del Grumello.

Il Cru Vigna Sassìna, la sua vigna, è appena sotto il Castello de Piro al Grumello detto Castel Grumello (Bene FAI dal 1990, è una fortezza edificata tra il XIII ed il XIV secolo dal ghibellino Corrado De Piro, posto su una parete rocciosa delle Alpi Retiche: grumo). Da qui si gode un meraviglioso panorama di Sondrio, del versante orobico e del fiume Adda. Questo è il luogo da cui nascono Nebbiolo delicati e floreali, ma anche varietà storiche valtellinesi, come Pignola (ad elevata vigoria; le sue uve mature presentano sapidità e alto grado zuccherino; Rossola (vitigno rustico e resistente al freddo caratterizzato dalla buona tenuta dei valori di acidità in vendemmia) e Brugnola (alta acidità e colore intenso: analisi eseguite sul suo DNA, ne hanno confermato l’identità genetica con la Fortana).

Classe 1962, nel 1978 Giorgio, all’età di 16 anni lascia la scuola, trovando “più comodo seguire il lavoro in vigna con papà, perchè era già lì, a portata di mano” anche se non sente questa grande passione!  Alla fine del 1979 il padre si ammala e, ricoverato per tre lunghi mesi, lascia Giorgio solo a mandare avanti l’attività. Inizia ad occuparsi della vendita del vino sfuso: “era periodo di crisi e grossa parte del vino si vendeva cosi”. Porta a termine buone operazioni di vendita, con diversi compratori, tra i quali ricorda il grande enologo e all’epoca direttore della Nino Negri di Chiuro, Casimiro Maule. È il 1980 e Giorgio scopre, in questo modo, la gioia di fare il vitivinicoltore.

Due ettari e mezzo che lavora da solo, passandovi quasi tutto il tempo: “potrei chiamare per nome ogni singola pianta”. La vigna più vecchia ha 70 anni. “Una vigna acquistata nel ’94 era un vigneto abbandonato; un’altra nel 2011. Sono vari appezzamenti di età differenti che stanno insieme come un piccolo puzzle”. L’uva che riesce ad ottenere è sanissima. Adotta una viticoltura a basso impatto ambientale, basata sulla lotta integrata, con il metodo della confusione sessuale contro la Tignola e la Nottua (insetto che rimane larva: in primavera, al germogliare le gemme, nella notte si arrampica sulla pianta, mangiandola). È un metodo che si basa sul rilascio di un ferormone in grado di compromettere la capacità ricettiva del senso dell’olfatto negli individui maschi dell’insetto. Questo fa sì che gli accoppiamenti si riducano drasticamente, ritardando quelli potenziali. Utilizza pochi altri trattamenti: zolfo e poco rame. Le viti sono coltivate su ripidi filari disposti a Rittochino, seguendo il senso della pendenza in direzione nord-sud, ortogonali all’asse principale della valle, per consentire alla pianta di godere della massima irradiazione solare.

Dirada, anche se ricorda che suo padre, avendo fatto la guerra, non amava buttare l’uva …  Non sfalcia perché “l’erba aiuta il terreno”. Ogni tanto in vendemmia, è l’elicottero che trasporta: ne ha avuto bisogno anche per piantare una nuova vigna in forte pendenza, nel 2003. Pulisce i grappoli con gran cura. L’Archetto Valtellinese (Guyot modificato in cui il capo a frutto, invece di essere disteso sul filo portante, viene curvato verso il basso, legato al filo sottostante e poi ripiegato verso la base del ceppo), è il sistema di allevamento utilizzato da Giorgio, “perché il Nebbiolo ha bisogno di aria”!

Sfrutta tutti gli spazi in un insistere di impalcature e muretti a secco per contenere il terreno. Ricostruisce egli stesso i muri che spesso crollano, da perfetto custode di questo grande valore, divenuto Patrimonio UNESCO nel 2014. Sì, perché ogni terrazzo è un “piccolo mondo dell’ingegneria”.

La cantina ha sede nell’ antico borgo di Montagna in Valtellina, in località Paini. Le botti utilizzate sono: rovere di Slavonia, la tipica Valtellinese di castagno e le austriache. Per ogni vino esegue passaggi in ognuna di esse, che sono state rimesse a nuovo così come i locali di lavorazione. Giorgio dice che il vino necessita di riposo iniziando dalla permanenza nelle botti d’acciaio: 6 mesi per il Rosso di Valtellina e 18 mesi per Grumello e San Martino. Per mantenerlo pulito nei tini, non fa nessuna chiarifica ma, esegue diversi travasi giornalieri. Dall’acciaio al legno: 18 mesi in Castagno per il Rosso di Valtellina e 18 mesi in rovere francese, per Grumello e San Martino. Prima di essere posto in commercio, il vino sosta in bottiglia per ulteriori 6 mesi. Il fatto che le botti siano vecchie anche di 40 anni, aiuta il vino a maturare senza eccessiva cessione di aromi: il legno addomestica il Nebbiolo, rendendo il tannino estremamente gradevole ed aggraziato, senza alcuna ossidazione. Pulizia e manutenzione costanti per questi tini, che sono pochi, quindi facilmente gestibili.

Strano come, nell’era del web, dei social, e dell’esasperante apparire, ci sia qualcuno che, pur essendosi fatto conoscere, non possieda un profilo Instagram e che ami stare tutto il tempo da solo nel suo vigneto, senza aver bisogno d’altro! Giorgio Gianatti, un uomo modesto, autentico, che mi ha stupita per la sua amichevole accoglienza e per una spontaneità verace. Con sacrificio, con grande determinazione e caparbietà, è stato in grado di trasmettere al vino l’unicità e la magia di un territorio che, anche se spesso aspro e contrastante, egli onora ogni singolo giorno, semplicemente rispettandolo!

Di seguito propongo parte della mia degustazione

Valtellina Superiore DOCG 2013 Grumello Nebbiolo Chiavennasca. T.A.13% vol. Resa 80 q.hr. La particolare posizione con sole a mezzogiorno dei vigneti, posti ad un’altitudine di 350/450 m slm, su terreno sabbioso, permette un’ottima maturazione delle uve che, raccolte agli inizi di ottobre, vengono vinificate secondo un processo di macerazione-fermentazione di circa 10 giorni. Dopo un passaggio in fusti d’acciaio per 18 mesi, il vino matura in botti di rovere di Slavonia per ulteriori 18 mesi. Successivamente, messo in bottiglia, viene lasciato a riposo per 6 mesi prima della commercializzazione.

Granato limpido e trasparente, dai tenui riflessi aranciati. Di delicata finezza olfattiva varietale, espressione del territorio! Subito impattante l’impronta floreale, parte di un corredo aromatico di grande intensità, con sensazioni officinali di genziana, zagara, seguite da glicine, viola e rosa. Fragranti e polpose le percezioni di frutti rossi: prugna, ciliegia, lampone, fragola.  Le spezie (chiodi di garofano, pepe nero, cannella), lievi, ma persuasive, sono seguite da suggestioni d’incenso. Al gusto è caldo e suadente. Il tannino, di ottima fattura, è integro, sferico, levigato e va di pari passo con un’innata freschezza mentolata, agrumata, che lo rende appagante. Importante, complesso, ampio e morbido, è dotato di audace persistenza e complessità retro-olfattiva, con un riverbero della freschezza e significativi ritorni mentolati e dell’agrume. Equilibrato ed armonico, si rivela un vino dai tratti avvolgenti, sinuosi e seducenti, con grande profondità di beva. Taròz con manzo brasato

Valtellina Superiore DOCG 2011 Grumello San Martino. Nebbiolo Chiavennasca. T.A.14% vol. Le uve sono raccolte in cassetta e fatte appassire per 40 giorni, quindi fermentate per 2 settimane. Dopo un passaggio in fusti d’acciaio, il vino matura per circa 15 mesi in botticelle di rovere di Slavonia dalla capacità di 550 litri. Successivamente viene messo in bottiglia e lasciato a riposo per almeno 8 mesi prima di essere commercializzato.

Granato trasparente, tendente all’aranciato. Grande apertura floreale e superba eleganza all’olfatto, dove si rivela generoso e prorompente: sinuosi sono i profumi di glicine, violetta di bosco, rosa fragrante e genziana (che tanto è presente in questi luoghi). Il frutto, (marasca, fragolina, prugna), è maturo e croccante. Incisive si rivelano le note agrumate di cedro, bergamotto, limo, seguite da un effluvio balsamico sorprendente, con sfumature di erbe aromatiche che si fanno sentire poco per volta. Grande ricchezza anche nella speziatura: chiodi di garofano, pepe, noce moscata. Poi resina e cuoio. In bocca si rivela dinamico: l’impronta minerale, sapida, affianca il tannino energico, deciso, levigato, che si allarga al palato con finezza ed equilibrio perfetti. Caldo, di gran corpo e struttura. Dal finale dissetante, con un ritorno del sapido e della freschezza agrumata, che rendono la beva conturbante e godibile. Tagliata di cervo ai mirtilli

Oltre ai miei vini, un bianco che mi piace bere è il Moscato, poi i Barolo ed i Nebbiolo dell’Alto Piemonte. Non amo il legno eccessivo, ma i profumi…

 


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