Il Fiano Minutolo si presenta: ospite nei Campi Flegrei di Cantine Babbo

Pubblicato in: Eventi da raccontare

di Annito Abate

Me ne vado ed ancor permangono il sapore ed i profumi della serata a Villa Gitana sul colle dello Scalandrone a Pozzuoli. Chiudo gli occhi mentre scendo la lignea scalinata che mi porta all’auto e che, fedele come i cavalli di una volta, mi ha aspettato rivolta verso il meraviglioso paesaggio che, fino al tramonto, si era potuto scorgere tra il Lago di Lucrino e quello d’Averno.

Il pietrisco del parcheggio non era riuscito ancora ad assorbire tutta la pioggia che, copiosa, era scesa a bagnare la Terra Flegrea e l’acqua, insinuatasi tra la vegetazione collinare, aveva contribuire a restituire, complici i liquidi lacustri e marini, tutti i profumi balsamici della macchia mediterranea.

Minutolo, portainnesto antichissimo, meno vigoria, clone 420 A; ma, forse, è il caso di andare in ordine!

Grazie Marina Alaimo perché, anche questa volta, sei riuscita ad organizzare, con l’abilità di sempre, la terza cena del ciclo di eventi dove uomini, vini e territori si sono potuti incontrare per scambiare opinioni ed ospitalità in questo connubio, simposiarca e direttrice di un’orchestra fatta di musiche di parole, armonia di cibi e vini in questa notte di aprile, giovedì 19 per la precisione.

Compagnia a sinistra e convivialità a destra di ognuno di noi, gli ospiti che aleggiavano leggiadri nella sala e che hanno stimolato molti degli interventi dei presenti, uniti dalla voglia di provare emozioni e dalla curiosità di scoprire le eccellenze che la nostra meravigliosa penisola sa regalare: i vini dei Campi Flegrei campani ospitano quelli della Valle d’Itria pugliesi, la Falanghina ospita, nei calici (non gli stessi), il Fiano Minutolo, le storie dei viticultori, quelle de “Le Cantine Babbo” si intrecciano con quelle de “I Pàstini”, il campano suolo sabbioso e vulcanico si confronta con quello pugliese calcareo.

Parola d’ordine, ormai, forse, un tantino ab.usata … TERROIR … che, se ben adoperata non rischia l’inflazione.

Si è instaurato un dialogo tra culture territoriali affini ma differenti, ognuna con il suo precipuo bagaglio di storia, ma soprattutto di geografia, di racconti, di esperienza sul campo e di tempo e sudore per far arrivare, sulla tavola, emozioni vere.

I vini sono visioni, profumi, aromi ma soprattutto sapori, equilibri ed armonie, come quelli ricercati nelle preparazioni dello chef Antonio Babbo di Villa Gitana, piatti che li hanno accompagnati durante la cena, conditi con il sorprendente ingrediente della cultura che ha fatto da sotto.fondo per tutto il tempo; con ritmo, a scandire le portate, le immagini di Lino Carparelli, enologo e produttore della Cantina di Puglia insieme a Nicola Campanile, giornalista e presidente dell’associazione Radici Wines … “Vs” … Vincenzo Mercurio, enologo della Cantina della Campania e Rosario Mattera, storico del territorio flegreo e presidente dell’associazione Malazè; interventi sagaci e mirati di Luciano Pignataro che hanno orientato la bussola del territorio, dei suoi frutti e del suo riscatto verso destinazioni, oggi percepibili, i cui lidi sembrano, però, ancora un tantino lontani da raggiungere, genius loci tutto in divenire … «amo i bianchi che invecchiano perché possono creare un distretto vitinicolo, il minutolo regge bene il tempo» dice in apertura mentre cominciavano ad uscire le prime pietanze ed i calici vuoti si tingevano di rosa.

Ed è vero!

Da giovane questo vino-vitigno si traveste da aromatico “moscato” e con l’andar del tempo si arricchisce di mineralità, di idrocarburi, travestendosi da semiaromatico “riesling”. Il suo enologo-produttore, narrandone le sue gesta in vigna, ci ricorda che il fiano minutolo ha le stesse variazioni comportamentali del sauvignon, quello bianco ovviamente. Nella Cantina, in Puglia si sono fatti una domanda sulla quale stanno anche basando una ricerca: le variazioni dipendono dalle epoche di vendemmia (si è scoperto che anche una variazione, anticipata o posticipata di 48 ore ha influenza) o dalle condizioni climatiche e ambientali? Molto interessante la cosa, come interessante è stato constatare che il vino, versato nei nostri bicchieri con il primo ed il secondo piatto, è cambiato da un anno all’altro (millesimo 2009 differente da millesimo 2010) con evidenti “spostamenti” aromatici, pre.cursori di sentori che, a distanza di più anni, hanno rivelato colori, profumi e sapori che sono riusciti a sorprendere lo stesso vigneron&enologo (si legga qui della storica verticale decennale “alla cieca”, tenutasi a Bari con un 2003 che ha lasciato il piacere al palato, e nella mente, dei fortunati partecipanti). E chissà che la cosa non ha portato anche alla sperimentazione del “piede franco”, ovvero, di talee europee portate direttamente in produzione in vigna, più resistenti alle malattie, quindi con una qualità che si può considerare, oggettivamente, più condivisibile e che, soprattutto, garantisce una maggiore percentuale di arrivi di uve sane per la vinificazione, cosa sempre buona e giusta.

Mentre, quindi, il piedirosso rosato faceva emergere dai calici tutta la sua CO2, nome propiziatorio ed evocativo, “Montenuovo”, alla sua seconda vendemmia (vino spumante extra-dry rosè da uve piedirosso, 12% vol. delle Cantine Babbo) ed emergevano tutti i suoi sentori fruttati, ma anche una delicatissima nota speziata, il candore della mozzarella di bufala campana (quella DOP) unita alle più fiammeggianti e variegate tinte del crudo di gamberi ed alle più solari tinte dei pezzetti di cantalupo ci dava il Benvenuto.

 

Messico e nuvole? No, vigne e Trulli che scorrevano in diapositive mentre Lino Carparelli dipanava la sua storia produttivo.enologica che comincia agli albori del terzo millennio. Il suolo pugliese calcareo, con sottosuolo carsico per la presenza di acque sotterranee, è stato il basamento tettonico per lo sviluppo di questa eccellenza territoriale. La zona, equidistante tra due mari, particolarmente vocata per i “bianchi” ha lottato sulla “deriva”, tutta commerciale, che avrebbe portato all’impianto di “rossi”. La voce dei contadini del posto, che quando si tratta di terre, la storia ci insegna, si fa sentire, ha urlato “NO ALLE UVE NERE, SI ALLE UVE BIANCHE, SE AUTOCTONE!”, questa volta, però, il “padrone” era già consenziente ed, in piena zona di Locorotondo DOC (già abituata a verdeca, bianco d’Alessano, bombino bianco ed, appunto, fiano minutolo), nel 2003, si è raggiunta la prima vendemmia a frutto del “minutolo” che i coltivatori indigeni solevano chiamare “fiano” e che ha portato ad un vino in purezza, ancora Igt, credo per poco. «Con il loro aiuto, il più giovane, allora, aveva 80 anni, è iniziata una ricerca dei vecchi vitigni della zona» racconta Lino Carparelli, sul cui volto sembra comparire una lacrima quando dice che sono tutti scomparsi … «siamo stati i primi a reimpiantare vigneti in Val d’Itria, 12 ettari tutto a bianco, di queste uve a grappolo piccolo, spargolo e di colore rosa, a maturazione tardiva, una varietà “fastidiosa” dalla buccia sottile» … rifletto e penso che l’estinzione è sempre legata alla difficoltà del propagarsi della specie e che solo la “fortuna” e l’amore, in genere, salva dall’estinzione … chissà quale del miliardo di combinazioni biologiche ed elettrochimiche ci ha salvato, come specie umana, dall’affermazione di altre “varietà” … sto divagando? E vero! Ma è vero anche che il fiano minutolo non c’entra nulla con il fiano di Avellino, il primo che ha molto a che vedere con gli aromi primari, il secondo, dicono, neutro che sa regalare vini eccezionali.

Sull’onda delle parole, silenzio in sala, solo qualche tintinnio di qualche posata, compare l’Incanto Flegreo: tartarre di palamita con mela verde croccante, cannolicchi gratinati, arancino di mare e genovese di polpessa che io, ho consumato in ordine, da sinistra verso destra in abbinamento con il Sintema 2010, falanghina dei Campi Flegrei della Cantine Babbo. 4 sapori x 4 sorsi, dalla sapidità alla spiccata tendenza dolce della cipolla ripassata nell’octopus vulgaris, viene consumato anche l’antipasto e la curiosità sale, nella sala, per l’imminente mescita del nettare di Puglia.

«Iniziammo una selezione massale con innesto sul campo e barbatelle selvatiche», continuano parole ed immagini dell’enologo produttore, «un colore per ogni varietà, fu segnata pianta a pianta, una traccia per evitare le difficoltà di andare a rin.tracciare le marze nel periodo invernale per effettuare gli innesti sul campo, un risultato dalle mille incognite incoraggiato, però, dagli amici e fedeli contadini»

Gli Spaghettoni con vongole, pomodorini e salsa di fave al finocchietto selvatico vedono il primo abbinamento con il vino, Rampone minutolo 2010 igt Valle d’Itria dei F.lli Carparelli, finora solo narrato, il Primo, appunto, e, a seguire, Pescatrice su zuppetta di ceci al rosmarino, in abbinamento, Rampone minutolo 2009 igt Valle d’Itria dei F.lli Carparelli, il secondo.

L’uva a maturazione tardiva, metà di ottobre, la forte escursione termica che rallenta il processo di maturazione, ovvero lo “accompagna” per regalare poi una bella spalla acida e tanti profumi, le condizioni meteorologiche favorevoli, una “delicatissima” vinificazione che interviene solo sul controllo delle temperature di fermentazione e su altri pochissimi fattori, l’importantissimo indicatore aromatico della cultivar, ci hanno regalato profumi articolati ed eleganti, fiori e frutti, note balsamiche ma soprattutto una grande freschezza ed anche sapidità che si è fatta sentire soprattutto nell’annata 2009 quale evidente differenza, già descritta in precedenza, dove le note aromatiche del moscato, la salvia, si stemperano, aiutate dal tempo, in quelle di frutta candita, già si avverte il sentore di idrocarburo, anche il colore, a far sentire la sua importanza, è più carico, le tonalità verdoline diventano più calde e si fondono con i gialli lontani, però, dal raggiungere i colori dell’oro. Il sorso è fresco ma rilascia, latente, una nota sapida con aromi di bocca lievemente agrumati. L’aromaticità. sempre presente, a tratti spicca di più, quasi a ricordarci che il tempo passa … ed essa sa cambiare e maturare.

Il finale della serata, lungo ed intenso, è un “percorso di sapori dolci”: un fondo, tutto tattile da tirare su con il cucchiaio, cioccolato bianco con granella di nocciole, a me sono capitati frutti secchi di discreto spessore e zuppetta di fragole, una stecca di cacao amaro ed una foglia di menta avvolta dallo zucchero ad armonizzare la preparazione, donandole tendenza amarognola ed aromaticità. Un piatto molto equilibrato, in abbinamento un cocktail di fragole e Malazè, spumante di falanghina dei Campi Flegrei.

 

Leggere la storia di queste Cantine pugliesi è molto diverso dal sentire la voce ed i racconti di chi gli ha dato vita, una emozione molto differente.

I pàstini, dal latino “pastinum”, ovvero zappa da cui ne è derivata l’epressione di “terreno destinato alla vite” … «è la terra prima di essere vigna», racconta con instancabile semplicità Lino Carparelli «oggi quindi un pàstino, tra qualche generazione … una vigna».

 


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