Il Natale di Nunziatina: accio e baccalà

Pubblicato in: La stanza di Carmen

Di Carmen Autuori

<<C’era la miseria in quei Natale. Ma mica solo quelli della guerra, anche per molti anni dopo. Però a noi alla Vigilia non è mancato mai il baccalà, tranne nel 1943, l’anno dei bombardamenti, quando Eboli fu distrutta e pure casa mia>>.

Era da tempo che volevo parlarvi di Nunziatina ‘a lattara, al secolo Annunziata Vignes, classe 1928, da sempre punto di riferimento della comunità ebolitana che ancora oggi, grazie alla sua incredibile capacità di analisi e di sintesi, ne costituisce la memoria storica.

Quale occasione migliore, allora, di un racconto di Natale dove i protagonisti non sono le quattro Piccole Donne uscite dalla penna della Alcott, ma il baccalà, lo spirito di comunità scevro da ogni pregiudizio, ed il grande cuore di Nunziatina.

Ma andiamo per gradi.

Nunziatina ha vissuto due vite. Nella prima era, la ‘bimba tabacchina’ come tante della Piana del Sele, descritta in “Vignessella. ‘A figliola ‘e Portaruana” della giornalista Laura Naimoli, in un racconto, che è stato anche teatralizzato, per piccoli lettori e non solo. Poi l’incontro con il suo amato Giovanni, lattaio di professione, le permise di cambiare vita e, nel 1954, di aprire una latteria a Porta Dogana nel cuore del centro antico di Eboli, dove era nata e cresciuta.

Dire latteria, però, è riduttivo. Da Nunziatina non si andava solo per comprare un ‘misuriello’ (i brick erano al di là da venire) di latte ma anche la pasta, rigorosamente Pezzullo, il pane di Matonti (uno dei primi forni ebolitani), le ‘colazioni’ (quelle che oggi chiamiamo panini) farcite con la mortadella, i sottoli preparati nel retrobottega e, se si era fortunati, anche con qualcosa di pronto come il soffritto in inverno e la ciambotta in estate  oppure con il ‘ciauliello’ – dal 2020 Prodotto Agroalimentare Tradizionale – una sorta di zuppa realizzata con pomodori e zucchine seccate al sole, olive nere, insaporita da una densa salsa di concentrato di pomodoro.

Spesso la ‘spesa’ giornaliera era solo il pretesto: andare nella bottega significava poter confidare un segreto, chiedere un consiglio, dirimere una controversia, confidare una gioia e, molto più spesso, un dolore, sicuri di poter trovare non solo una parola di conforto, ma anche la soluzione materiale al problema che il più delle volte era proprio la mancanza di cibo, soprattutto a Natale.

A frequentare la latteria erano umili mamme di famiglia, esponenti del clero e delle forze dell’ordine (lei le chiama ‘le guardie’ con lo stesso tono rispettoso che usava settanta anni fa), ma anche Graziella, Cristina, Rosaria ‘a minigonna, Ass’ Copp, ‘Ndunett ‘a napulitan, Geppina, Rosetta ‘a mutilata che, dopo l’abolizione delle case chiuse nel 1958 grazie alla Legge Merlin, continuavano a fare ‘la vita’ a Porta Dogana, nei pressi della bottega.

<< Erano povere sventurate – mi racconta Nunziatina, elencandomele ad una ad una  -, costrette dalla fame a fare il mestiere più antico del mondo. Molte di loro avevano i figli in collegi lontani da Eboli e dalla vergogna. Natale era il periodo più triste sia perché diminuivano, gli ‘affari’ sia perché erano ancora di più abbandonate alla loro solitudine. Non che i nostri Natale fossero ricchi, ma un pezzo di baccalà non mancava mai la sera della Stella. All’epoca si cenava molto presto, diciamo intorno alle quattro del pomeriggio, perché poi ci si riuniva per giocare a tombola. La casa profumava di scorze di mandarino che segnavano i numeri usciti dal ‘panaro’ in attesa della messa di mezzanotte. La cena era a base di spaghetti con le alici salate, baccalà all’insalata con le papacelle e  fritto. E poi c’era la zuppa di accio (sedano) e baccalà che, essendo molto brodosa e quindi adatta ad essere accompagnata da una bella quantità di pane, saziava tutta la famiglia. I dolci? Non avevo il tempo di farli, me li regalava tutto il quartiere perché io ero impegnata in bottega. D’altra parte a  Porta Dogana era sempre un via vai di pentole e ‘cannatielli’ (pentolini), non solo a Natale. Noi eravamo una vera comunità”.

La zuppa di accio e baccalà serviva non solo a placare l’appetito della famiglia: ogni ventiquattro dicembre, di buon ora, Nunziatina preparava un enorme pentolone di coste di sedano bollite con l’aglio ed il peperoncino a cui aggiungeva qualche pezzettino di pesce così da poterla distribuire, insieme ad un fragrante pezzo di pane, alle ‘povere sventurate’ che alla spicciolata ma sempre con tanta dignità potevano vivere il Natale. Quello vero, fatto di amore, di condivisione, di accoglienza e pure di baccalà.

La ricetta che segue è stata da me rivisitata, sempre con il permesso di Nunziatina. Il piatto si presenta meno brodoso e può essere accompagnato da crostini di pane. Se poi volete renderlo più scenografico, ritagliate delle stelline da una strato di polenta ben soda che decorerete con qualche chicco di melograno. Può essere un gustoso antipasto da affiancare a quelli che preparate di solito.

Accio e baccalà

Ingredienti per 4 persone

400 g di coste di sedano meglio se bianche

4 filetti di baccalà già ammollato

2 spicchi d’aglio

1 peperoncino piccante

Farina

Olio evo

Sale

Mondare le coste di sedano dai filamenti e ridurle a dadini piuttosto piccoli. In una capace casseruola soffriggere l’aglio ed il peperoncino, finemente tritato, con un abbondante giro d’olio.

Aggiungervi il sedano, un bicchiere di acqua tiepida e lasciar cuocere, a fiamma dolcissima, per almeno un’ora. Qualora ve ne fosse bisogno, allungare con altra acqua. Il tutto deve ridursi a crema.

Trascorso il tempo, infarinare i tranci di baccalà perfettamente asciutti e adagiarli sulla crema di sedano nella casseruola. Coprire e far andare, sempre a fuoco basso, per altri 15 minuti con il coperchio senza mai girare. Servire caldo contornato da crostini di pane oppure da stelline di polenta e chicchi di melograno.

 


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