Jay Rayner a Le Cinq, ovvero come un inglese distrugge un tre stelle francese

Pubblicato in: Curiosità
Jay Rayner

Jay Rayner è il noto critico gastronomico del Guardian, affilatissimo e istrionico giornalista e scrittore che il pubblico italiano ha avuto modo di conoscere l’anno scorso grazie alla pubblicazione del suo ultimo lavoro «I dieci comandamenti del cibo», uno spassosissimo libro sulle leggi della tavola dove il critico inglese gioca – ovviamente – a fare la parte di Mosè.

Questa volta nella sua rubrica domenicale sul Guardian è finito Le Cinq,  il tre stelle parigino gioiello tra i gioielli dell’hotel superlusso George V, vero e proprio albergo dei record, nel 2017 unico in Europa a poter vantare un locale con tre stelle Michelin (proprio Le Cinq) e altri due con una (L’Orangerie e Le George).

Una recensione che è una stroncatura totale, severissima, senza appello, che – lo diciamo forte e chiaro – non ci trova minimamente d’accordo, perchè adoriamo la nuova cucina di Le Cinq, come abbiamo scritto dopo la nostra ultima visita qui,  che ha svecchiato quella ormai museale di Eric Briffard. Capiamo l’astio innanzitutto estetico del critico dal tagliente umorismo ebraico verso il cattolicissimo e opulento ristorante di lusso papista. Ma tutto quello che non è piaciuto a Rayner a noi è sembrato invece positivo a cominciare dalla leggerezza dei piatti, dalla freschezza e dai toni amari che indicano un allineamento alle tendenze internazionali più avanzate della cucina contemporanea. Ciononostante ammettiamo che lo stile e la verve stilistica del critico britannico meritano le lettura.

Un pasto terribile. Il peggiore consumato in 18 anni di critica gastronomica al Guardian. «Chissà quanto duramente dovrò lavorare per dimenticare questa esperienza», scrive della sua esperienza a Le Cinq Jay Rayner.
Eppure, ammette, la scelta di un ristorante lussuoso l’aveva fatta proprio perchè irritato dai tanti commenti dei lettori che si lamentano dei posti troppo cari, a prescindere da come si mangia. E in effetti, chi lo conosce e lo segue sul Guardian sa che sotto la sua penna passano i grandi chef così come i pub sperduti della campagna inglese.

Ma bisogna dire, che leggendo questa colossale stroncatura,  già dall’inizio si avverte che non è nato nessun feeling tra il critico e la sala, per niente catturato dall’atmosfera dell’elegantissma sala da pranzo nè dal lusso degli arredi – che anzi manda esplicitamente al diavolo. Men che meno viene sedotto dal servizio super professionale, infastidito anzi dalla presentazione partecipata dei piatti, tanto da ingaggiare, al momento del dessert, una discussione con uno dei camerieri sulla presenza della salsa al prezzemolo sulla cheese cake (che gli verrà tolta dal conto).

Tutto inizia con il siparietto con il menu senza prezzi che viene consegnato alla signora che lo accompagna, seguono proteste e finalmente entrambi possono leggere che al cambio attuale hanno di fronte piatti che mediamente costano circa 121 sterline ciascuno. Certo, ci sono canapés, amuse-bouches, pre dessert, brioche finale, eccetera eccetera, ma in un posto così ci devono essere, puntualizza impassibile Rayner.

E così, inizia a colpire duro. Partendo dalla sfera di gelatina con la quale inizia il pasto, che a lui ricorda una protesi di silicone di una tetta di Barbie. Qui ci sono sfere dappertutto, dice ad un certo punto, la sferificazione è la loro unica grande idea, peccato che è stata di Ferran Adrià venti anni fa. L’altra critica forte alla cucina riguarda l’acidità: «perchè non è l’acidità aromatica luminosa e lieve dello yuzu, per dire» ma è solo affilata e tagliente. E anche i toni dell’amaro e del bruciato sono ritenuti eccessivi. Quando arriva il piatto di cipolla gratinata si aspetta qualcosa che gli ricordi la zuppa di cipolle francese, invece secondo lui si tratta di un piatto nero, scuro e amaro come un incubo.

La cottura del piccione viene chiesta ‘medium’, invece viene servito talmente rosa che sembra che possa essere rianimato per riprendere a volare da un momento all’altro.
Anche l’agnello, un piatto da 95 euro, non lo convince per nulla. Il cous cous che lo accompagna non ha sapore, il purè è gommoso, la sferificazione lo infastidisce, il resto non è nulla di che e poggia su una salsa triste ed eccessivamente ridotta.

Sui dessert abbiamo già accennato qualcosa. Bocciati anche quelli.
Infine, il pezzo si chiude con le fotografie che lo stesso Rayner ha scattato con il suo Iphone7 sul «luogo del delitto» come chiama lui Le Cinq. Eccezionalmente pubblica i suoi scatti in quanto, spiega, la direzione dell’Hotel non ha autorizzato il fotografo del giornale come accade di solito, ma ha fornito solo le proprie foto stampa (e solo di pochi piatti, aggiunge Rayner). Ovviamente secondo noi la proprietà dell’albergo ha agito correttamente a non rilasciare il permesso a fare foto che non avrebbero rispecchiato le descrizioni del pasto consumato e che non sono in alcun modo dovute,  tanto più che – come accaduto a noi – in sala nessuno vieta di scattare foto ai piatti.

Per chi volesse leggere il testo integrale, ecco il link alla recensione sul Guardian:

Le Cinq, Paris: restaurant review


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