La critica a ristoranti e pizzerie? La vera competenza è di pochi anche se tutti pensano di capirne. Proprio come il calcio

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

di Marco Contursi

“La critica avulsa da un “comune sentire”, spesso dovuta a un atteggiamento di superiorità “culturale” che molti critici hanno, è semplicemente inutile e persino dannosa. Molto ha a che vedere con l’atteggiamento di superiorità “culturale” che molti critici hanno, e che finisce per far valutare il successo di pubblico come qualcosa di volgare e inadeguato, in sostanza poco importante nella formazione del loro giudizio, che scade inesorabilmente verso l’autoreferenzialità” (Daniele Cernilli)

“Non postate consigli di critici gastronomici professionisti, sono quasi tutti poco obiettivi poiché prendono soldi, noi ci fidiamo solo del nostro palato” (dal gruppo facebook di una pagine di “buongustai”).

Queste parole di Daniele Cernilli, uno dei maggiori giornalisti enogastronomici italiani, e le altre prese dalla bacheca di facebook di un gruppo di appassionati di gastronomia campani, mi hanno fatto riflettere.

Ha ragione Cernilli? Hanno ragione i buongustai ? E soprattutto chi scrive di cibo, perché e come lo fa?

Premetto che il termine critica gastronomica, oggi, coincide con quello di consigli gastronomici, poiché la critica dura  e cruda, quella che faceva scrivere anche recensioni catastrofiche su un locale, oggi non esiste quasi più, anche per colpa di continui contenziosi legali che spaventano gli editori, e ci si limita a consigliare posti che si ritengono validi.

Premetto altresì che quando si scrive di gastronomia la distinzione non deve essere fatta tra giornalisti e blogger, ma tra chi ha studiato il cibo e fatto esperienze in merito e chi no.

Premetto altresì che io scrivo per trasmettere una emozione che il cibo mi ha comunicato, senza prescindere dal discorso sulla qualità di quello che mangio o comunque, specificandolo chiaramente quando, il giudizio di piacevolezza di un pasto esula, molto o parzialmente, da quello che ho mangiato. Per capirci, se sto a cena con Monica Bellucci, possono pure servirmi un vino che sa di tappo, io starò comunque bene, ma scriverò che il vino era difettato, pur comunicando l’emozione di berlo in compagnia della splendida attrice.

Premesso tutto ciò, dico subito che non mi trovo molto in accordo con Cernilli, poiché se è vero che chi scrive di gastronomia non deve arroccarsi su posizioni elitarie, allo stesso modo credo fermamente che la critica DEVE essere avulsa dal comune sentire. E lo deve essere, perché dovrebbe essere fatta solo da persone competenti mentre la maggior parte delle persone ha poca conoscenza del cibo, avendo però la presunzione di capirne.

Altrimenti, facciamo scrivere la signora Rossi, casalinga come tante, che continua ad usare olio estero credendo che sia buono perché di marchi conosciuti o il tonno pinne gialle perché una pubblicità le dice che è pregiato, mentre è tra le specie più comuni di tonno.

La massa affida il suo giudizio ad un gusto non educato da corsi e degustazioni e attribuisce il concetto di “buono o non buono” a parametri quali la similitudine con quello che ha sempre mangiato, la risonanza mediatica di un locale, l’ambiente, il prezzo. Tutte cose che sicuramente possono concorrere a formulare un giudizio ma che mancano del requisito fondamentale, ossia: Capirne di cibo.

Ma cosa significa capirne di cibo? Significa saper riconoscere le caratteristiche ed i difetti di un vino o di un olio, se un salume è stagionato correttamente, se una birra ha subito fermentazioni anomale, se un caffè ha avuto una eccessiva tostatura ecc.

Significa in pratica aver studiato il cibo, sia teoricamente che praticamente. E la massa non lo fa.

Vi faccio un esempio chiaro. Quando facciamo dei corsi sull’olio o sui salumi, nella prima lezione faccio provare un olio rancido e dei salumi di qualità molto scadente e tutti li trovano ottimi, poiché le persone purtroppo sono abituate a usare olio scadente e salumi da 1 euro al panino. Anzi, l’olio di qualità, amaro e piccante, viene ritenuto poco piacevole perché “pizzica in gola”. Idem dicasi per un salume stagionato che viene definito “asciutto”.

Chi scrive di questi argomenti DEVE quindi essere avulso dal comune sentire poiché il comune sentire è dettato dall’ignoranza sulla materie prime e sulle tecniche di cottura.

Io che scrivo, ti devo dire quale è un olio buono, poi se a te piace l’olio rancido, continua pure a usarlo, ma io il mio compito corretto di  comunicatore di cibo, l’ho fatto.

Diceva Schopenhauer: “La Massa ha scarsissima capacità di giudizio e assai poca memoria”. Con l’aggravante, aggiungo io, di avere la presunzione di capirne e magari oggi di scriverne, magari incontrando il favore di molti perché sentono, chi scrive, simile a loro, quando di simile c’è solo la stessa ignoranza.

Questo fenomeno, di blogger incompetenti che scrivono, ma anche giornalisti sia ben chiaro, magari con stile accattivante di cibo senza capirne una H e magari sono seguiti da numerosissimi fans che li osannano come competenti di cibo, è assai frequente in rete. C’è chi ci ha costruito un business redditizio. Anche perché il fenomeno dei bloggers incompetenti ma seguiti, è sponsorizzato dalle grandi aziende che vogliono che le persone restino nella loro ignoranza, perché se tutti capissero, ad esempio, che la carne di un pollo allevato bene, deve essere scura e che si attacca all’osso, chi comprerebbe più i milioni di polli allevati in gabbie minuscole?

D’altronde come ha detto Umberto Eco: “I social media hanno promosso lo scemo del villaggio a detentore della verità, dandogli lo stesso diritto di parole di un Nobel”, e magari anche più seguito, aggiungo io, poiché l’uomo medio si identifica nel mediocre, non in chi ne sa più di lui. E questo vale in tutti i settori, altrimenti non si spiegherebbe il successo di alcuni personaggi del mondo dello spettacolo, tronisti e company che pur non sapendo recitare come un Carmelo Bene o cantare come un Bocelli, riempiono le discoteche con migliaia di persone. E di esempi simili ce ne sono moltissimi, Basti pensare che sta spopolando in rete un ragazzotto paffuto che prende 1500 euro a serata per dire “Saluta Andonio”, in discoteche con decine di persone che vanno a farsi foto e video con lui.

Ecco, io finche scrivo voglio essere avulso da queste persone, da come intendono il cibo e la vita in generale.

Voglio essere avulso dal comune sentire.

Probabilmente non avrò migliaia di followers che mi osannano ma mi bastano i miei “ 24 lettori” che però andranno in locali, grazie alla mia segnalazione, dove il cibo rispetta i paramentri di qualità, per uno che il cibo lo studia da 20 anni.

p.s. …..i miei lettori sono 24, 1 in meno di Manzoni.


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