Lievito madre o lievito di birra? Stefano Pibi: un falso problema!

Pubblicato in: La Pizza e basta
Stefano Pibi

di Giustino Catalano

Due giorni orsono ho avuto il piacere di pubblicare su Il Mattino e su questo sito, con il quale ormai collaboro da tempo, un articolo relativo all’uso del Lievito Madre nelle pizzerie, specificando che per grandi numeri, quali quelli che fanno la maggior parte delle grandi pizzerie, l’utilizzo del lievito madre fosse una fandonia per sprovveduti in quanto oltre un “x” numero era indispensabile l’utilizzo di una seppur piccola parte di lievito di birra.

Lo scopo principe del post è quello di far cadere una volta per tutte la demonizzazione che veniva perpetrata contro il lievito di birra che è il lievito naturale più antico dell’umanità e l’unico che con la sua dissolvenza produce una sostanza (chitanione) che è tra i più potenti antiossidanti conosciuti in natura.

Tale asserzione, estremizzata all’impossibilità di ottenere un prodotto di qualità con il solo lievito madre, ha innescato due reazioni distinte e contrarie. Da un lato i pizzaioli più famosi d’Italia, chi pubblicamente, chi in privato, mi hanno ringraziato nell’aver fatto chiarezza sulla cosa, dall’altro un certo numero di pizzaioli (probabilmente abituati a numeri più esigui) e di amatori casalinghi del lievito madre mi hanno attaccato, alcuni anche riempiendomi di ingiurie, senza che vi fosse uno straccio di discorso basato su una motivazione chimica o un dato di fatto certificato. Solo affezione, empatia e sentimentalismo verso un prodotto che nessuno demonizza ma che di sicuro è più idoneo, in un discorso che riguarda la pizza, ad essere adoperato per panificazione e lievitati dolciari che in ambiti come quelli della pizza in pizzeria.

A fronte di ciò devo però dire che ho anche ricevuto un paio di telefonate da operatori o amatori avanzati che adoperano il lievito madre. Un confronto di alto tecnicismo sia con Eduardo Ore che con Stefano Pibi. Sereno, rispettoso e fatto di tante spiegazioni e confronti su chimica degli alimenti, lievitazioni, reazioni e tecniche di cottura a seconda dei casi, passando tra W di farine, amilasi, idrolisi ecc… GRAZIE. Finalmente sostanza e non solo chiacchiere da isterici sulla soglia del manicomio.

Proprio a Stefano Pibi ho chiesto se aveva voglia di dire la sua e mi ha concesso questa intervista che spero sedi gli animi dei facinorosi, acquieti i portatori del nulla e faccia definitivamente tacere i “guappi di cartone”. Ve la riporto pari pari dopo avergliela fatta leggere e approvare.

Chi è Stefano Pibi?

Sono nato il 7 aprile del 1966 a Cagliari, dove vivo tuttora. Ho una laurea in ingegneria e lavoro nel settore ICT da tanti anni. Sono appassionato di cucina da quando ero ragazzino, con gli anni ho imparato a apprezzare le materie prime più genuine, la particolarità dei prodotti artigianali, sia che si parli di birre che di formaggi, salumi o lievitati: la mia ultima più grande passione. Aldilà della cucina, che continuo comunque a esplorare, ogni minuto libero lo dedico alla panificazione.
Vivendo in Sardegna, ho iniziato a sperimentare con gli sfarinati di grano duro, che trovo praticamente a km 0, e con ricette della mia terra. Mi piace però utilizzare anche farine di grano tenero, magari provenienti dalla macinazione di grani antichi.
Prendo spunto dalla tradizione ma applico quelle tecniche di panificazione moderna che tendono a salvaguardare la materia prima in termini di profumi, sapori e valori nutrizionali.
Prediligo l’utilizzo della Pasta Madre ma senza estremismi.

Lievito madre, lievito di birra o tutt’e due?

Bel dilemma, se ne leggono di tutti i colori. Vorrei dire la mia e prendo spunto dal tuo articolo che deve essere contestualizzato al discorso pizzerie e pizzaioli professionisti, parlo dei veri professionisti, quelli che il lievito di birra lo sanno usare! E’ vero infatti che in questi ultimi anni, il lievito di birra è diventato sinonimo di demonio, veleno, quasi al pari delle farine 00. Ma accidenti, così non è, e la colpa di questa demonizzazione è dovuta a chi facendo un uso errato del lievito di birra, ha fatto in modo che la maggior parte delle pizze in giro per l’Italia, sia, per usare un eufemismo, poco digeribile. Eh si! Perchè se se ne usa troppo e non si da il giusto tempo di maturazione e lievitazione a un impasto, il prodotto che mangeremo sarà acqua+farina=colla! Quindi non è il lievito di birra quello che non digeriamo la notte, ma il glutine e i carboidrati complessi che se non predigeriti dai lieviti, risultano indigesti. Il nostro organismo chiede acqua per provare a sciogliere l’ammasso che abbiamo nello stomaco e, quindi, no, fidati, non sono le acciughe che ci fanno bere tanto!Comunque, dicevamo, a causa di questo uso spregiudicato del lievito di birra, tutti a dire che allora la pizza deve essere fatta con il lievito madre, ormai considerato la panacea di tutti i mali! Il prodotto digeribile per eccellenza, dal buon sapore, dagli aromi inconfondibili.

Ne siamo sicuri?  Se così è, come mai la maggior parte della gente associa ai prodotti con lievito madre l’inconfondibile gusto di acido?

Inconfondibile???? Un buon prodotto realizzato con un lievito madre, anzi il Lievito Madre, curato, stabile, conservato alla giusta temperatura, in ambiente controllato, alla giusta idratazione e alimentato con le farine adatte, non saprà mai di acido! Se sa di acido c’è qualcosa che non va, te lo garantisco.

Quindi quale lievito preferire?

Beh, secondo me si possono ottenere degli ottimi prodotti con entrambi i lieviti, basta usarli opportunamente. Senza voler scendere nel troppo tecnico e sperando che i lettori perdonino la mancanza di rigorosità scientifica, occorre sapere che il lievito di birra in cubetti, fresco o secco, come lo troviamo normalmente in commercio, è una concentrazione di miliardi, di un ceppo selezionato, di Saccharomyces Cerevisiae (presumibilmente da Cerere la dea del grano e non dalla birra) che si trova in natura (in grandi quantità sulla superficie degli acini d’uva). In realtà ci sono diversi ceppi più o meno adatti alla panificazione, birrificazione o vinificazione. Insomma, tutti questi saccaromiceti lavorano per un unico scopo, nutrirsi, riprodursi e facendolo producono anidride carbonica e alcol che poi in cottura sono le sostanze che fanno gonfiare i nostri lievitati.
Nel lievito madre le cose vanno diversamente, questo nasce dalla contaminazione spontanea di acqua e farina (c’è chi aggiunge miele, frutta, yogurt, sterco di cavallo, etc. etc.).

Contaminazione da parte di chi?

Ma da parte di batteri, alcuni anche patogeni, e lieviti selvaggi, tra questi anche il famigerato lievito di birra. Insomma, dopo questa contaminazione, dopo successivi rinfreschi e dopo un opportuno periodo in cui lieviti e batteri (lactobacilli, candide, altri) si mettono d’accordo, si ottiene il lievito madre. In pratica in circa 20 giorni, i lattobacilli a produzione lattica e quelli a produzione acetica, fanno piazza pulita dei batteri patogeni, che mal sopportano l’ambiente acido, e iniziano a lavorare in associazione mutualistica con i saccharomyces. Analizzando il lievito madre si nota che la numerosità di saccharomyces rispetto ai lactobacilli è decisamente a sfavore dei primi e, tra i saccharomyces, il cerevisiae è ancora in minoranza! In ogni caso, un lievito madre, inserito in un impasto di acqua e farina, lavora innescando processi più complessi che coinvolgono i diversi lactobacilli e i lieviti. L’operatività di questi signori dipende da tantissimi fattori (idratazione, temperatura, tipo di farine, presenza di zuccheri, grassi, etc. etc.) che se non controllati possono portare a prodotti discutibili ma che se governati a dovere, restituiscono dei prodotti di eccezionale qualità.

Detto questo c’è il problema di adottare un lievito o un altro in pizzeria. Quale?

Beh! allora qui le cose si complicano un pochino. Pensa di dover fare 1000 pizze al giorno e di non poter rischiare un fallimento, siamo proprio sicuri che sceglieresti il lievito madre? Personalmente non saprei, e lo dico da pasta madrista convinto. Proverei con il lievito madre, certo, ma non disdegnerei il lievito di birra, magari ne userei percentuali “omeopatiche” e rispetterei gli opportuni tempi di maturazione dei prefermenti e di lievitazione degli impasti. E per opportuni non intendo 12, 24, 48, 72 ore a prescindere, ma opportuni in funzione dei fattori di cui sopra. Per le farine ad esempio, ce ne sono che richiedono 24 ore, altre 48 e altre 72 ore, basta conoscerle e sapere cosa si sta impastando!

Nelle pizzerie napoletane si fanno quei numeri che dicevi, salvo che non sei uno piccolino (200-300 pizze a sera).  Quali alternative allora per chi vuole adoperare il lievito madre ma non intende correre questi rischi che mi pare di capire sono elevati?

C’è un’alternativa, ossia la lievitazione mista, ossia una piccolissima percentuale di lievito di birra (da 0,1% a 1%) unita al lievito madre, il cosiddetto metodo dello starter. E qui si apre un’altra questione atavica tra due scuole di pensiero: la prima, a favore, sostiene che il lievito di birra lavora all’inizio ma poi cede il passo al lievito madre, da li il nome di starter; la seconda, contro, che sostiene che in presenza anche di piccole percentuali di lievito di birra, il lievito madre praticamente non lavora e chi si occupa di tutta la lievitazione è il super (C)attivo saccaromiceto. Devo porre la questione a qualche amico microbiologo! La risposta per i favorevoli potrebbe essere che se è vero che il lievito di birra parte prima, è pur vero che appena il lattobacilli del lievito madre iniziano a lavorare fanno regredire il lievito di birra. Potrebbe essere la spiegazione per cui in un lievito madre, che ha comunque una piccolissima percentuale di saccharomyces cerevisiae, questo non si riproduca a livelli esagerati e anzi rimanga sempre in piccolissime percentuali. Cosa che invece non accade in un impasto in cui ci sono solo acqua e farina dove non essendoci “concorrenti”, il lievito di birra si riproduce come e quanto vuole anche a partire dalle stesse piccolissime percentuali. Ma, ripeto, chiederò a qualche amico microbiologo del settore.

In conclusione?

In conclusione, secondo me, si possono fare ottime o pessime pizze con il lievito di birra, con il lievito madre e a lievitazione mista.

Forse dovremmo fare più informazione e spiegare il perché delle nostre scelte senza per forza demonizzare quelle degli altri.

E se avessi una pizzeria, e decidessi di adottare il lievito di birra o la lievitazione mista, lo direi con orgoglio, ne userei meno dell’1% e spiegherei le mie motivazioni.

Stessa cosa se decidessi di adottare il lievito madre!

Ripeto, secondo me dobbiamo fare cultura, non controinformazione! Un cliente soddisfatto e educato, saprà riconoscere da solo una pizza fatta male, sia essa con il lievito di birra o con il lievito madre e, alla fine, la professionalità dei migliori, qualsiasi scelta facciano, sarà premiata!

Ti faccio un ultima domanda che ho posto anche ad Eduardo Ore dicendoti anche cosa mi ha risposto. Quante pizze massimo si possono gestire con un impasto con solo lievito madre? Ti premetto che Ore mi ha risposto: ”250 massimo 300, oltre interviene anche una difficoltà sulla gestione del forno e delle temperature”. Tu che mi dici?

A questa purtroppo non ti posso rispondere con certezza. Ti direi che in teoria non c’è limite, ossia in linea di principio se ne puoi fare una ne puoi fare mille. Sicuramente i rinfreschi del lievito madre non sarebbero semplici e se per un qualsiasi motivo il nostro lievito madre avesse un problema, beh, avremmo qualche intoppo in produzione. Alla fine credo che questo sia la maggior remora per la maggior parte dei pizzaioli e non solo, ma non voglio aprire altri dibattiti, per ora. In questo senso, saggiamente dico io, in alcune pizzerie si è scelto di affiancare alle pizze con lievito di birra, anche quelle con lievito madre ma senza sostituire del tutto e minimizzando il rischio. Per il resto, immagino l’adozione della tecnica del freddo per evitare sovralievitazioni o acidificazioni della pasta e tutte le tecniche che comunque si adottano anche con il lievito di birra per poter gestire così tanti panetti.

 

Nel ringraziare Stefano Pibi pubblicamente della sua testimonianza a favore del lievito madre, in sintesi, rilevo che anche un deciso fautore dell’uso del lievito madre riconosce quell’ingestibilità su grandi numeri alla quale mi rifacevo.

Del pari, ed è forse proprio questo il punto, da competente dei processi afferenti la lievitazione, riconosce una demonizzazione del lievito di birra (che è presente anche nel lievito madre!!!) fondata su errate interpretazioni di indigeribilità di pizze semplicemente non lievitate.

In ultimo riconosce un suo uso come starter che è poi quello che accade nella maggior parte delle pizzerie italiane che dichiarano di far impasti con il lievito madre ma, in presenza di grandi numeri, non disdegnano di adoperare la tecnica mista, non dichiarandolo. Ed era qui il nocciolo della vicenda da emarginare ai lettori.

Per dirla tutta in una sola frase il lievito di birra non fa male, se adoperato bene nel panorama pizza dà un eccellente prodotto altamente digeribile. Cosa che con la pizza napoletana avviene da sempre.

E qui, onde evitare di beccarmi altre ingiurie gratuite, che non intendo più tollerare, aggiungo che quella famosa pasta di riporto che si adoperava sino alla fine degli anni cinquanta e molti chiamano criscito, altro non era che l’impasto della sera prima che per non buttarlo si rimescolava nell’impasto nuovo.

Tale pratica, che oggi non si adopera più, non comportava il non uso del lievito di birra perché in presenza di un lievito madre (non lo era!) ma semplicemente un recupero che acidificava ulteriormente l’impasto e fungeva da coadiuvante alla lievitazione che, vale la pena di dirlo, agiva su farine deboli il cui W (forza della farina) non era come oggi oscillante tra 170-210 ma al massimo di 90, essendo i terreni coltivati a frumento in tale epoca poco azotati. E quindi più agevole ad una lievitazione rapida.

Per chi avesse ulteriori dubbi sia sul Lievito di Birra, sia sulle W (che viste freddamente così come numeri non significano nulla!) può chiedere anche al Prof. Dario Bressanini, che a mio avviso, in materia rappresenta la “Cassazione”.

Ora apriamo le danze dei commenti, sperando che abbiate letto tutto prima di riempire la bacheca di affermazioni affettive, prive di contributi tecnici o quantomeno vicini a tale modalità di conversazione e dialogo, che auspico civile e rispettoso delle idee altrui a prescindere dal proprio credo.


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