di Carmelo Corona
The dark side of the food…
Parafrasando il grande Alex Bergonzoni: “Io sono stanco! Sono stanco dell’umanità. Basta! L’essere umano deve essere sovraumano. E pretendere di voler cambiare. Bisogna superare la paura! La paura è quella di essere immodesti. La paura è quella di essere superbi.
La paura è quella di essere giudicati. La paura è quella di non riuscirci. Superato questo, si può cominciare”. Sulla scia del vigoroso messaggio di uno dei più grandi attori di teatro del nostro tempo, prendo la palla al balzo, e m’incazzo. Stavolta la globalizzazione ha veramente (vi prego, consentitemelo) rotto i coglioni.
Prima la mozzarella blu (acquistata a Napoli ma prodotta in Germania), poi la mozzarella blu di Granarolo, adesso la ricotta rossa (acquistata ad Olbia ma prodotta nel Nord-Italia) e per il futuro, cosa dobbiamo aspettarci: il pecorino fresco ucraino che diventa viola?
Adesso basta. Basta. Ma non siete stanchi di assistere a questi ridicoli e spiacevoli episodi, che hanno come unica conseguenza quella assurda, ridicola globalizzazione fortemente voluta ed innescata dalle odiose e distruttive multinazionali? E a cui tutti i produttori, grandi (industriali) e piccoli (artigianali) hanno avvertito l’obbligo di uniformarsi, o meglio, adeguarsi? Mi rendo conto che sto giocando con il fuoco e che ciò che sto dicendo è altamente provocatorio. Ma lo dico chiaro e tondo: io me ne fotto. Smettiamola con le solite analisi perbeniste e concediamoci per un attimo una riflessione “ad absurdum”: ma non sarebbe meglio se ognuno di noi si limitasse ad acquistare i prodotti tipici alimentari ed artigianali del proprio specifico territorio?
E cioè, il siciliano il proprio caciocavallo, il sardo la propria ricotta, il toscano la finocchiona ed il lombardo il proprio provolone? Ma dove cazzo è scritto che, la mozzarella di bufala o il tartufo di Alba, devono per forza arrivare a New York, tutti i santi giorni? Ognuno consumerebbe i prodotti del proprio territorio, tutti di alta qualità, non si darebbe luogo a quel forsennato, assurdo sistema logistico che inquina il pianeta consumando petrolio e i suoi derivati e che, in ragione del profitto infinito, porta i produttori ad “uscire dal seminato”. Pensiamo di essere in un’era di “progresso”, ma è solo pura e stupida illusione.
Il vero progresso sarebbe stare fermi. Tutti. Persone e prodotti. Il grande filosofo contemporaneo francese Serge Latouche parla di RILOCALIZZAZIONE. La verità è che la globalizzazione, ha talmente “ubriacato” gli operatori, con il suo infinito “orizzonte del profitto” che ha fatto perdere di vista quello che dovrebbe essere il fine ultimo di un qualunque produttore, piccolo o grande: conservare, “tenere vivo” quell’immenso patrimonio di tipicità territoriale! Auguriamoci che almeno l’umile ed orgoglioso artigiano non la perda. La testa.
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