di Cosimo Torlo
Il poeta e scrittore lucano Rocco Scotellaro, nella sua inchiesta sulla cultura dei contadini del Mezzogiorno – Contadini del Sud -, raccontava che il bufalaro (la persona dedita all’allevamento del bufalo) conosceva le sue bufale singolarmente, come se fossero “cristiani”. Tanto è vero che ad ognuna di esse dava un nome. “Contessa“, “Amorosa“, “Cambiale“, “Monacella“, “‘A malatia“, “‘Ncoppe a paglia” questi erano solo alcuni esempi di nomi che il bufalaro assegnava ai suoi animali che scaturivano dalla realtà che esisteva all’interno dell’allevamento.
Tutto questo mi è ritornato in mente stamane, nel corso del primo appuntamento italiano del “Bufala & Wine Wedding” lanciato dal Consorzio di Tutela della Mozzarella di bufala campana doc che si è tenuto a Torino presso il mio TorloVini WineBar & Coffee.
Essendo nato ad Eboli mi ricordo che da bambino, quando in estate da Torino si tornava al paese, la mozzarella di Bufala di Paestum non era così famosa come lo è oggi in Italia e nel Mondo, ma al paese era un piatto che ogni giorno era sulla nostra tavola. E ricordo che si andava direttamente nei caseifici, in particolare quelli sulla statale tra Battipaglia ed Agropoli, confinanti con i templi e con le spiagge. Le bufale ai miei occhi di bambino erano animali maestosi, il bufalaro ci accompagnava a vedere gli animali. ma il loro muoversi lento e quasi annoiato al caldo d’agosto non incutevano in me nessun timore.
Fin da allora il piacere nel mordere una squisita mozzarella di bufala di Paestum è rimasta in me invariata, anzi a dire il vero con il tempo il piacere è cresciuto, di pari passo con la crescita qualitativa della produzione di questo straordinario formaggio italiano.
I caseifici non sono più quelli di allora, oggi sono aziende all’avanguardia sia nell’allevamento e la cura delle bufale, che nella produzione e nella lavorazione del latte, ed il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, un successo che non conosce confini, dove oltre alla produzione della mozzarella si produce con il latte bufalino la ricotta, formaggi, gelati e yogurt di straordinario gusto e sapore. Molto interessante è anche la produzione di carne di bufalo.
Ma torniamo alla degustazione, presso il WineBar si sono dati appuntamento un folto gruppo di appassionati del prodotto, da amici giornalisti, ristoratori, fino a semplici gourmet. Un giusto mix di competenze che ha reso molto interessante la prova, che si è svolta degustando i fantastici bocconcini del caseificio Barlotti di Paestum con quattro vini tipici piemontesi.
I vini presentati sono stati serviti alla cieca e svelati solo alla fine, quando si è data notizia del vincitore.
Nell’ordine i vini presentati sono stati un bianco classico della Provincia di Torino, l’Erbaluce 2010 dell’az. Orsolani di Caluso, a seguire una Freisa 2010 dell’az. Pelissero di Barbaresco (CN), un Dolcetto – Monferrato “Trevigne” 2010 dell’az. Franco Mondo di San Marzano Oliveto (AT), ed il Rosé Metodo Classico dell’az. Vigne Regali di Strevi (AL)
A vincere questa singolare sfida è stato il Dolcetto d’Asti 2010 che ha superato di un soffio il Rosè Metodo Classico dell’az. Vigne Regali. Un risultato forse inaspettato, ma il bello di queste “sfide” è che spesso i risultati sono una sorpresa e fonte di discussione, che è ovviamente avvenuta tra i partecipanti alla fine della degustazione.
Il Dolcetto “Trevigne” ha un bel colore rosso granato, con riflessi che virano sul purpureo e sul viola. Il profumo è fresco, fruttato nel quale si avvertono sentori di violetta e more. In bocca ha un buon corpo, tannini finissimi che lo rendono molto duttile negli abbinamenti gastronomici.
A Napoli il prossimo 10 Marzo a rappresentare il Piemonte sarà dunque un Dolcetto, un vino che nonostante il nome fa parte a pieno titolo della famiglia dei vini rossi piemontesi, da consumarsi preferibilmente giovane e con una temperatura anche di qualche grado sotto la temperatura ambiente.
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