Nicolas Joly e Luigi Moio, Fede e Ragione: prove di incontro a Terre del Principe

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Martedì Nicols Joly è stato ospite dai nostri amici dell’Ais Caserta all’Enoteca La Botte. Nel pomeriggio il profeta della biodinamica ha visitato Terre del Principe di Manuela Piancastelli e Peppe Mancini dove ha incontrato Luigi Moio.
Abbiamo chiesto a Manuela, bravissima collega prima ancora che bravissima produttrice di raccontarti questo incontro.

di Manuela Piancastelli

Un incontro di quelli che non si dimenticano. Fra Nicolas Joly e Luigi Moio. Joly era a Caserta per una degustazione, in serata, di Triple A all’Enoteca La Botte ed ha accettato in mattinata l’invito a venire a Terre del Principe, a scoprire un territorio magico – l’Alto Casertano – dove uomo e natura sono ancora amici fra loro e dove i vini ne sono lo specchio preciso. Con me e Peppe c’era naturalmente Luigi Moio, anche lui aveva piacere di conoscere personalmente il padre della biodinamica.

Ed altri amici: Mario Merola, Enzo e Marco Ricciardi, Francesco De Paola, Stefano Bellotti. E se alcuni temevano lo scontro anche violento fra fede (Joly) e ragione (Moio) , fra filosofia (ancora Joly) e scienza (ancora Moio),  io ero certa, invece, che non solo non ci sarebbe stato scontro ma addirittura incontro su molti punti. Come accade sempre fra anime grandi. E così è stato.

Nicolas Joly è un uomo affascinante, carismatico, estremamente simpatico ed aperto. Nulla a che vedere con alcuni epigoni da integralismo religioso di certi suoi adepti. Sotto il nostro pergolato di uva fragola, davanti a un bicchiere di Fontanavigna 2010, s’inizia parlando dell’enologo e del suo ruolo.

Chi è  l’enologo? “Non certo uno che aggiusta, con approccio interventista, vini di scarsa qualità, che adopera la chimica in cantina, che non tiene conto della qualità delle uve” dice Moio “ma una persona che aiuta a costruire un progetto, perché il vino è progetto, che nasce in vigna e prosegue in cantina. Progetto di vita. Perciò, sin da quando mi sono diplomato enologo nel lontano 1979, detesto la parola winemaker che significa fabbricante di vino, dà un senso di materialità, riporta a un modello che non mi piace. Viticoltura ed enologia sono un tutt’uno, ci si prepara per anni ad avere un obiettivo, si preparano le uve per quel progetto”. Nicolas Joly è d’accordo, naturalmente. “L’enologo è come un genitore ansioso che consiglia i figli: fa’ questo, fa’ quello, poi a un certo punto i figli crescono e vanno per conto loro”. Il ghiaccio è rotto e i due si sorridono.

D’altra parte ci sono tante cose che non si possono non condividere con la filosofia naturista di Joly che però, aggiunge Moio, va filtrata dalla ragione, dalla scienza, altrimenti cadiamo nella fede, nella religione. Armonia con la natura, sostenibilità, salvaguardia dei suoli: quale piccolo vignaiolo attento alla sua terra, che vive nella vigna, che soffre dei suoi problemi, che aspetta per un anno che quei frutti si preparino a diventare un vino, un grande vino, non vuole tutto questo? Peppe ed io, ad esempio, non usiamo diserbanti, concimi chimici, piantiamo favino ed erbe e facciamo il sovescio, nelle nostre vigne ci sono insetti, api, coccinelle, lucciole, volpi, lepri, cinghiali, nidificano quaglie e uccelli. Ci sono intorno boschi, uliveti, alberi da frutta. In una parola una biodiversità ricca, anzi ricchissima e rigogliosa. Vedere per credere. Che cosa allora ci divide dalla biodinamica?

Me lo sono chiesta spesso ieri, quando le nostre posizioni sembravano così vicine eppure a tratti così lontane. Certo, ad esempio, l’uso dei trattamenti fitosanitari: noi facciamo lotta biologica integrata, a volte, coi sistemici.

Joly dice: “Io non li uso mai, io proteggo le viti solo con prodotti naturali, ad esempio combatto lo oidio con il latte, uso contro altre malattie delle tisane”. Ribatte Moio: “A me sta molto a cuore la salvaguardia dei suoli ma ci sono dei momenti in cui l’uva va protetta da attacchi fitopatogeni. Se sto male io mi curo, non mi lascio morire. In natura l’uva può diventare cibo per altri organismi, un virus che ci attacca in una malattia cerca di fagocitarci, io dico che in quelle condizioni l’uva va salvata con un farmaco. Una cosa è proteggere le uve, un’altra uccidere il suolo con i diserbanti”. Joly aggiunge, da uomo intelligente: “Io faccio così a casa mia, da me funziona…”. E anche Luigi si chiede, perché solo gli stupidi non hanno dubbi, quali principi attivi siano contenuti ad esempio nel latte in grado di inibire i processi patogeni. E resta a ragionarci su.

Terroir e vino: quanto incide veramente il terroir su un vino? E soprattutto quali soni i misuratori, gli indicatori di un terroir in un vino? Per Joly il terroir è tutto e, dice, “se spingi molto a livello tecnologico omologhi tutto e distruggi l’effetto terroir”.  Moio è d’accordo ma – aggiunge estremizzando – se un vino è difettoso, ossidato, ridotto, non si esalta il terroir perché i difetti sono eguali ovunque. Un salame fatto male diventa rancido nello stesso modo in Piemonte o in Sicilia e quel difetto, paradossalmente, omologa”. Per Joly invece anche “un difetto può diventare espressione personale ed elemento rappresentativo di un certo vino”. Qui non ci sono punti d’incontro.  E quindi si arriva ai lieviti. Poiché stiamo bevendo Le Sèrole (per i bianchi usiamo lieviti selezionati mentre per i rossi lieviti indigeni) Joly attacca: “Un lievito che non sia indigeno, che non sia nell’ambiente, depotenzia il terroir che è invece l’elemento più importante in un vino”. E Moio: “Il lievito selezionato ci dà solo maggior sicurezza di una buona partenza di fermentazione. Non ne ho bisogno in caso di uve aromatiche con un corredo molto ricco di profumi (dal sauvignon blanc al traminer aromatico, dal riesling al moscato) mentre mi aiutano a far emergere, in uve con pochissimi aromi varietali,  proprio le sottili sfumature che, se in equilibrio, mi riconducono a una determinata vigna. E aggiunge, polemico: qui ogni cosa che ci viene detta da qualche straniero la applichiamo pedissequamente…” E Nicolas Joly, divertito: “Questo succede solo quando ad ascoltare c’è un idiota!!!!”

E si stringono la mano ridendo. E aggiungono, quasi in coro: “Come si fa a scrivere in etichetta che fra i sentori tipici del terroir del Beaujolais,  c’è quello di banana che è un aroma essenzialmente di origine fermentativo e quindi ubiquitario?”  Il discorso sulle temperature di fermentazione, che sta per iniziare, viene interrotto dall’arrivo a tavola delle bistecche alla brace.  Gong di tregua. E qui m’infilo io.

Nonostante abbia molte riserve mentali contro gli integralisti (ma non contro Joly che non lo è affatto), accarezzo l’idea di usare il metodo biodinamico per Vigna Piancastelli. Di fatto già condivido in larga parte la filosofia ma, leggendo “Il vino fra terra e cielo” mi sembra impossibile concepire una vigna in biodinamica senza avere il ciclo chiuso, senza produrre il grano per gli animali il cui sterco dovrò usare, senza poter controllare le falde acquifere e soprattutto avendo intorno altre vigne in conduzione tradizionale. 

Joly: “Puoi farlo tranquillamente, puoi anche non trasformare la conduzione dell’intera vigna, qui intorno il territorio è perfetto, non ha importanza se non produci l’intera filiera, perché hai un ecosistema intorno a te che già funziona. Qui tutto è bellissimo, sano. E questo basta!”. Da Squille, dove è l’azienda, ci trasferiamo nella Bottaia storica a Castel Campagnano, mille anni di storia, mille anni di vino prodotto e conservato  a quindici metri di profondità.

Nicolas Joly è incantato: “Qui c’è già tutto, tutto questo è assolutamente biodinamico perché temperature, umidità, l’anima di passato millenario già si imprimono nei vostri vini”.  Alza gli occhi, ride, apre le braccia: “E’ fantastico!!!”. Assaggiamo dalla barrique il Pallagrello Nero e il Casavecchia, annata 2011: resta maggiormente colpito dalla personalità del Pallagrello Nero, unico, differente. “Un vino va sentito col cuore” – dice. E io gli aggiungo: “Di sicuro noi lo facciamo con tutto il cuore”.  E mi ricordo di Luigi Veronelli quando scrisse di noi: “Castel Campagnano ha tutto, proprio tutto per eleggersi a cru. Mancavano due persone con l’anima della terra. Ora ce li ha”.

E abbracciando Nicola Joly, mi sembra di riabbracciare lui. E mi si riempiono gli occhi di lacrime.


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