Parla Gian Marco Viano di Monte Maletto: dalla sala di Cannavacciuolo e degli stellati alla vigna in Carema è stato un attimo. Per la 50Best è fra i 35 giovani che cambieranno la gastronomia

Pubblicato in: Personaggi
GianMarco Viano

di Raffaele Mosca

 

Gianmarco, innanzitutto complementi per questo riconoscimento. Te lo aspettavi?

No, non me lo aspettavo. Ho cominciato pochi anni fa – nel 2015 – sono all’inizio e non pensavo di meritare già premi e riconoscimenti. Fa piacere, però, perché in questa zona ci sono tanti giovani come me che hanno deciso di fare questo mestiere e stanno cercando di alzare l’asticella della qualità. E’ un bel riconoscimento per tutto il movimento che sta nascendo nel canavese.

 

Un movimento che, tra l’altro, è stato paragonato alla new wave del cinema francese. Ma in quanti siete a fare vino a Carema?

Allora, la DOC è nata nel ‘67, ma fino cinque-sei anni fa c’erano solo due cantine di riferimento: la cooperativa dei produttori di Carema e Ferrando. Prima c’era anche Morbelli, altra cantina storica del territorio, che però ha cessato l’attività nel 96’. Dal 2015 in avanti c’è stato una sorta di boom di ragazzi che hanno cominciato a recuperare vigneti in questa zona. Al momento siamo sei in più.

 

Bene. Tu hai cominciato lavorando come sommelier. La mia domanda è: cosa ti ha spinto a lasciare la sala per la vigna?

Be’ io non provenivo da una famiglia di viticoltori: mio padre aveva una ditta di rivestimenti esterni e mia madre era casalinga. Siamo estranei al mondo della viticoltura, ma appassionati di vino. Io ho fatto il perito elettrotecnico alle superiori, ma poi mi reso conto che quella strada non faceva per me. E allora ho deciso di fare il corso da sommelier, mi sono diplomato all’AIS e sono approdato in sala. Sono partito, ho fatto due anni a Londra e poi un anno a Villa Crespi e altri due all’Hotel Bellevue a Cogne. Ho sempre lavorato in ristoranti stellati e lì ho scoperto il mondo dei vini artigianali. I miei maestri sono sempre stati sommelier che non puntavano sui grandi nomi, ma sui piccoli produttori sconosciuti ai più. Pian piano mi sono fatto un’idea di ciò che è il vino buono e poi, a un certo punto, ho sentito l’esigenza di cambiare stile di vita. Ho vissuto un periodo di transizione tra sommellerie e viticoltura nel quale ho gestito la sala degustazione di Vajra, a Barolo. Lavorando in una struttura del genere mi sono avvicinato anche a vigna e cantina e mi sono reso conto che mi affascinavano anche più della sala.

E perché hai scelto proprio Carema?

Io sono d’Ivrea e Carema si trova a quindici chilometri da casa. E’ un paese e un’ area vinicola estremamente affascinante che mi ha sempre incuriosito. Per questo ho provato a prendere un piccolo pezzo di vigna. Ho chiesto ai vari contadini se c’era qualcuno che dava via la vigna e il caso ha voluto che ci fosse un ragazzo che aveva perso da poco il papà ed era in cerca di un acquirente per il suo vigneto. L’ho rilevato e mi sono lanciato senza alcuna base né teorica, né pratica. Non avevo mai preso in mano un decespugliatore: sono partito da zero. Per fortuna ci sono delle persone che mi hanno dato una mano: a partire da Maurizio, che tutt’oggi mi aiuta in vigna.

 

Quindi hai fatto un percorso di autodidatta

Assolutamente. E ho sempre cercato di rimanere fedele ai vini che mi piacevano e sui cui puntavo quando facevo il sommelier. Quindi vini con una gestione del vigneto senza prodotti sistemici e non manipolati in cantina. Qua a Carema fin da subito ho fatto a meno dei prodotti chimici e  ho usato coadiuvanti naturali come le alghe e gli oli essenziali. Ci son tante cose adesso che possono aiutare la difesa dai patogeni senza l’utilizzo di chimica.

 

Certo. E l’ esperienza in sala ti ha aiutato a trovare lo stile e la collocazione giusta per i tuoi vini?

Certo. Mi ha aiutato molto la conoscenza del vino non solo locale, ma di tutto il mondo. Il fatto di conoscere le più importanti aree vitivinicole e sapere cos’è che hanno fatto per posizionarsi ad un certo livello ti dà una visione più alta di quello a cui puoi ambire. Un conto è paragonarsi solo con il proprio vicino di casa e un conto è vedere e sapere quello che fanno in Borgogna e a Barolo. Ti permette sicuramente di avere dei parametri diversi.

 

Capisco. E cosa ti piace di più del tuo lavoro attuale e cos’è che, invece, ti manca della tua vecchia vita?

L’aspetto che mi piace di più è senz’ombra  di dubbio il contatto con la natura, l’osservare il comportamento delle piante. Mi affascina molto di più rispetto al lavoro in cantina, che trovo meno appassionante. Quello che mi manca è il contatto con il cliente: secondo me il sommelier deve essere un educatore ed è proprio quel rolo che mi manca. Vai a interfacciarti con persone che magari all’inizio sono parecchio restie a provare cose nuove, ma poi, guadagnandoti la loro fiducia, puoi fargli apprezzare vini diversi.

 

Come pensi che ti abbiano scoperto quelli della 50 Best?

Mah, ad essere onesto sono un po’ caduto dal pero. Non vorrei dire una cosa sbagliata, ma penso di essere stato segnalato dal sommelier dell’Osteria Francescana.

 

Magari è lì che hanno scoperto i tuoi vini

Probabile. Di certo è stato d’aiuto il fatto di essermi appoggiato a una distribuzione nazionale (Les Caves de Pyrene, ndr). E’ una scelta che può portare degli svantaggi economici, ti può far guadagnare meno, però dall’altro canto hai della gente che porta il tuo vino  in giro per i ristoranti che contano. Ottieni una visibilità che altrimenti non potresti mai raggiungere in poco tempo. Il tuo piccolo brand cresce di reputazione, no?

 

Pensi che questo premio avrà un impatto significativo sulle vendite dei tuoi vini?

Mah, riflettendo mi sono reso conto che è una cosa che sicuramente fa piacere, ma ti mette anche in una posizione complessa, perché se hai cento di richiesta non puoi fare cento: qui l’artigianalità è un obbligo e quindi, se avessi più ordini, non riuscirei ad accontentare tutti. Sicuramente io continuerò a fare il mio lavoro. Farò sempre poche migliaia di bottiglie e questa cosa qua non sarà di certo un volano per aumentare la produzione o alzare i prezzi.

 

Aldilà della 50 Best, chi sono stati i primi a credere nel tuo progetto?

I primi che hanno creduto nel progetto sono stati, per l’appunto, Caves de Pyrene, Fabio Zanzucchi, che ha portato i miei vini a New York e in Norvegia, e un importatore giapponese, Isato, che si è fermato a Carema per conoscermi quando ero agli inizi. Non avevo neanche i vini imbottigliati, era tutto in botte, e, nonostante questo, ha deciso di importarli fin da subito.

 

E i ristoratori? C’è qualcuno che ti ha supportato in zona?

Be’ in questa zona solo adesso i ristoranti cominciato a credere in noi. Il vino locale non ha un’immagine fortissima: quando ti proponi con certi prezzi nessuno crede in te, preferiscono piuttosto un Barolo o un Barbaresco. Adesso si stanno rendendo finalmente conto dei tesori che ci sono a distanza di pochi chilometri dai loro locali.

 

Cosa pensi in generale della situazione del vino in Alto Piemonte? La zona sta sicuramente riscuotendo un certo successo, ma cosa manca secondo te rispetto a Barolo e Barbaresco (se manca qualcosa)?

Sicuramente quello che mi viene da dire da canavesano è che noi al momento siamo esclusi dalla macro-area. La cosa importante sarebbe fare gruppo e forse da questo da punto di vista siamo indietro. La cosa che ho imparato nell’esperienza a Barolo è che, nonostante ci fossero tensioni tra i produttori, la regola era non parlare mai male del vicino. Bisogna lavorare per un progetto comune e di ampie vedute, andando oltre i campanilismi che non portano nulla. Noi, oltre al Nebbiolo, abbiamo anche l’Erbaluce, che in questo momento è motivo di grande tensione, perché loro giustamente vorrebbero utilizzare il nome Erbaluce, ma una parte di produttori canavesani ritiene che il nome debba essere utilizzato solo per i vini che si producono da queste parti. Questo tipo di dinamiche rendono difficile la cooperazione tra due territori che dovrebbero riunirsi sotto un solo nome e che, insieme, potrebbero competere con denominazioni come quelle che hai citato.

 

Prospettive per il futuro?

Andare avanti a Carema con il recupero di qualche vigneto, senza esagerare nell’ampliare l’azienda, perché voglio seguire tutto in prima persona senza delegare. In questo momento io lavoro anche per un’altra azienda più grande. L’obiettivo in futuro sarà vivere solo di Monte Maletto. E poi un altro obiettivo è fare gruppo con tutti i giovani e dare supporto. Abbiamo fondato un associazione chiamata “Giovani Canavesani” che ci permette di sostenerci a vicenda: ci si prestano i mezzi, ci si aiuta, adesso faremo una manifestazione insieme chiamata Re-Wine. Cerchiamo di rendere più dinamico un comprensorio che per molto tempo è stato fermo.

 

Credo sia questo che intende 50Best quando parla di “cambiare il gioco”

Si, ma di certo non è solo merito mio. Oltre a me ci sono almeno due-tre persone che si sono buttate in questo progetto Carema. Abbiamo cambiato un po’ l’immagine della viticoltura e del vino canavesano, che non è più il vino austero, acido, difficile da approcciare di un tempo, ma è un vino che, grazie a proprio a queste caratteristiche, se si ha pazienza, può dare grandi soddisfazioni. Bisogna saper aspettare perché, per esempio, un vino estremamente acido come l’Erbaluce non può uscire a Marzo: non dà il meglio in quella fase. E poi la determinazione del prezzo è stato un segnale molto forte, ma ci siamo resi conto che qua, con questo tipo di viticoltura, se non l’avessimo fatto, non ci saremmo mai resi indipendenti. Qui è tutto terrazzato, non si può fare nulla con il trattore. C’è un lavoro che deve essere valorizzato e retribuito. Ma tutto questo deve avere come risultato una certa qualità, perché se nel bicchiere il vino non parla c’è poco da fare. Insomma, il mio esempio, e quello di altri ragazzi come Vittorio Garda di Sorpasso, un altro giovane produttore di Carema, è stato fonte d’ispirazione per tanti ragazzi che si stanno avvicinando alla viticoltura nel canavese e che, quando hanno un problema, ci chiamano. E’ un messaggio forte che cerchiamo di mandare. Un altro obiettivo che abbiamo a cuore ultimamente è la valorizzazione del vigneto: il cominciare a pensare anche in questa zona ai vigneti singoli, ai Cru. In questi 20 ettari vitati ci sono molte sfumature, e quindi, secondo me, in futuro sarà importante andare ad ed esaltare i Cru e recuperare vigne che sono state abbandonate perché magari erano scomode, si trovano troppo in alto, e che ora come ora possono dare tanto.

Monte Maletto
Via Basilia 38

10010 Carema

 


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