Pizza napoletana: siamo contro l’integrale perché non siamo integralisti

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista
Pizza Margherita

La Margherita

Domenica abbiamo lanciato un post in puro stile goliardico pre ’68: sotto forma di finta ordinanza sindacale mettevamo un po’ alla berlina la moda della farina integrale nella pizza. L’emoticon finale che ride avrebbe dovuto essere un segno chiaro di scherzo, un gioco retorico di spingere su un paradosso per rovesciare un altro paradosso: è che cioè nella pizza ci voglia per forza una quota di integrale altrimenti non è buona sul piano salutare oltre che sul gusto (su questo aspetto per la verità si insiste meno).

Su Facebook il post ha avuto centinaia di like e condivisioni, ma ho visto anche qualche reazione sopra le righe da parte di chi invece, per ruolo e lavoro, dovrebbe essere più misurato nei toni e avere una prospettiva storica.

Il nodo della questione infatti non è che o è pizza napoletana o pizza non è. Ma, bensì, che la pizza napoletana, per la sua evoluzione, è incompatibile con certe farine che, se usate, la trasformano in un’altra cosa che io chiamo focaccia e che altri chiamano pizza, ma non è questa la questione.
La verità invece è che in un mercato normale ognuno può sperimentare quello che ritiene di fare. Mi viene da ridere però quando si esibiscono proclami con una farina e poi si scopre che per il restante 80% si lavora con una 00. Ecco, questa è la serietà commerciale che manca.
Ora è indubitabile che alcune questioni sono però oggettive.

1-La pizza è nata a Napoli ed è stata fatta in Italia per decenni solo da pizzaioli napoletani. Si tratta di un modello identitario che si è ovviamente evoluto nel tempo e che ha avuto una grande spinta proprio negli ultimi dieci anni grazie ad una serie di concause, tra le quali l’alleggerimento dello stile di vita, la crisi economica, il miglioramento dei prodotti. Oggi le migliori pizzerie napoletane tengono in piedi l’economia delle dop, delle igp, dei piccoli produttori non certificati  e dei presidi slow food.

2-L’unico riconoscimento da parte di istituzioni pubbliche è riferito alla Stg  pizza napoletana che non prevede la farina integrale

3-Il modello che si sta affermando con forza in Italia e nel Mondo è proprio quello della pizza di stile napoletano, può non piacere ma è così. Negli Usa, in Cina, in Giappone è un vero boom.

4-Ovviamente, se chiamiamo pizza qualsiasi lievitato cotto nel forno, siamo in presenza di tanti altri modelli: quello brasiliano, la New York Style, le pizze di autore buonissime come quelle di Bosco, Biliali, Pepe e Padoan. Ci sono poi almeno altri tre modelli territoriali importanti ma non diffusi come quello napoletano. La pizza romana, la pizza barese, la pizza di Tramonti. Poi ci sono le pizze di origine rurale, che erano prove di pane e venivano cotte in forni per pane e non per pizza come in Cilento e in tutto l’Appennino Meridionale. E quelle cotte in teglia nelle case e in panetteria.

Nel corso di 12 anni questo blog ha parlato di tutto e di tutti senza fare classificazioni e soprattutto rispettando tutti i modelli, ma tendendo conto però che il vero grande fenomeno in espansione è quello della pizza napoletana.

Nel vino come nel cibo noi non siamo integralisti. Non pensiamo che un piatto di tortellini per essere sano debba avere la crusca nel brodo o che nel brodetto marchigiano, nel tajerin piemontese, nello strudel o nella cassata siciliana ci debba essere qualcosa di integrale altrimenti è dannoso alla salute.
Sono stupidaggini, vero? Eccome se lo sono.
E allora perché pensarlo per la pizza? Ci sono modelli di pizza, soprattutto quelli di origine rurale, che usano la farina integrale perché quella raffinata è stata una conquista. Era, ed è, considerata molto più preziosa e adatta per certe preparazioni.

Queste verità così banali sono state messe in discussione da un marketing aggressivo che ci vuole tutti senza glutine anche se non celiaci, con la crusca e con il lievito madre. Un dibattito simile a quello degli ultimi vent’anni nel vino. Vuoi farlo senza solfiti aggiunti? Non in barrique? Solo con lieviti indigeni? Ottimo, se mi piace ne parlerò, ma non ti seguo se affermi che chi lo fa diverso è un malfattore o un bandito.
Ecco, noi a questo integralismo non ci stiamo e lo combatteremo, e domenica abbiamo risposto con un paradosso goliardico a un paradosso di marketing che non ha alcuna corrispondenza nel mondo se è vero che a New York la pizzeria del guru vegano si chiama “00”.

Che ciascuno faccia come meglio crede, ma senza avere la pretesa di essere salutare ed etico. Sono chiacchiere per allocchi che giocano su paure ancestrali alimentate dal nuovo Medioevo culturale in cui siamo precipitati.
Noi continueremo a raccontare con piacere chi lavora bene e con progetti culturali coerenti.

Spero adesso di essere stato chiaro.
Io non mangerò mai una margherita napoletana ammappazzata solo perché c’è l’integrale o non berrò mai un vino che puzza solo perché è senza solfiti.
Buona pizza a tutti, ovunque la facciate e comunque la facciate.
Basta che non usate scorciatoie mediatiche e commerciali.


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