Riccardo Cotarella | La vendemmia 2012, il mutamento climatico: così è cambiato il mio lavoro

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Ormai è il più famoso enologo italiano: lavora in molte regioni, anche in Campania dove è l’autore di due vini cult come il Montevetrano e il Terra di Lavoro di Fontana Galardi. All’estero è impegnato negli Stati Uniti nello stato di Washington, in Palestina, Georgia, India e a Bordeaux.

Riccardo Cotarella è già al lavoro nella sua vendemmia numero 44.

Quali sono le caratteristiche di questa annata?
«La possiamo iscrivere tranquillamente tra quelle estreme, anche se per il momento non ha raggiunto i livelli del 2003. Tre gli elementi fondamentali che la caratterizzano: l’alta temperatura, la siccità e le radiazioni».

 Dunque, segnali positivi o negativi?
«Le generalizzazioni di un tempo non valgono più. Dipende dalle regioni, per esempio in Adriatico ci sono state piogge a luglio. Ma anche dalla gestione del vigneto, sappiamo che i terreni sciolti soffrono di più. In ogni caso sicuramente non possiamo considerarla positiva, ma per un giudizio finale bisogna attendere ancora una ventina di giorni».

 La sua prima vendemmia professionale nel 1968. Cosa è cambiato?
«Credo di fare un altro mestiere».

Per le tecniche di coltura e di vinificazione?
«Anche, ma soprattutto perché ormai è chiaramente cambianto il clima»

Quando ha avuto la percezione di una modifica radicale? “La prima avvisaglia è del 1997, annata definita come la migliore del secolo ma che invece, abbiamo visto, è stata ridimensionata con il passare degli anni. Dal 2000 in poi è cambiato il clima in maniera significativa e, credo, senza ritorno».

L’aumento della temperatura, le estati tropicali, mettono in discussione la viticoltura?

 «Sicuramente no. La mancanza d’acqua e il freddo sono i veri nemici della vite. Direi anzi che queste modifiche sono state positive»

Positive per chi?
«Vitigni autoctoni come la falanghina, il greco, l’aglianico e tanti altri difficilmente riuscivano ad avere una buona maturazione, oggi è possibile e questo li favorisce rispetto alle uve internazionali».

Una situazione ribaltata
«Esatto. Prima si tagliava il sangiovese con il merlot, oggi possiamo dire che avviene il contrario perché le grandi uve internazionali sono chiaramente in difficoltà rispetto a quelle tradizionali italiani, soffrono il caldo e non si esprimono bene come negli anni ’90».

Quasi mezzo secolo nel vigneto. Qual è la lezione che ha imparato sopra le altre?
«Che l’opera dell’uomo è decisiva. I cambiamenti climatici lo dimostrano, quindi quando sento dire che bisogna tornare a fare i vini come una volta mi viene solo da ridere. Proprio grazie alle conoscenze moderne noi siamo oggi in grado di esprimere il territorio in modo di gran lunga migliore e più affascinante di quanto si faceva in passato».

Intervista pubblicata sul Mattino di oggi


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