Ristorante Santa Elisabetta a Firenze, Rocco de Santis in forte crescita

Ristorante Santa Elisabetta a Firenze
Piazza Sant’Elisabetta, 3
tel. 055 273 7673
sempre aperto a pranzo e cena
Domenica e lunedì chiuso

Dopo tanto studio e tantissima gavetta, il Santa Elisabetta è stato il treno che ha consacrato Rocco de Santis. Un treno preso nel 2017 giocando una scommessa difficile, resa possibile da una proprietà che una volta scelta la persona non si tira indietro sul costo di una tazzina, anche di fronte all’imprevisto inimmaginabile come il Covid o quello evitabile come la guerra in Ucraina.
Intendiamoci subito, una sala con sei tavoli non è certo il mio modello preferito di ristorazione, ma se aggiungiamo un bistrot al piano terra di 30-40 posti, e poi la colazione e servizio per 96 camere, per non parlare dei banchetti, allora devi avere un executive con le palle per andare avanti e bene.
Ne abbiamo visti di fenomeni celebrati dal soffocante circolo dei gastrofighetti che passa dal prosciutto d’oca al riso coltivato da vergini del Madagascar e immolato al santo del giorno, scappare e frignare dopo aver bluffato sulle proprie competenze.
Con il mare mosso si vedono i marinai, e Rocco De Santis è sicuramente un lupo di mare.

Detto questo pensiamo anche la fugacità del tempo: in effetti l’ultima volta che ho mangiato da lui stava in una piccola osteria a Nocera inferiore in provincia di Salerno. Li mi piacque la sua cucina concreta e rivolta al cliente, ma questa volta ci siamo trovati di fronte ad un professionista maturo, padrone totale della tecnica, assolutamente vocato al pesce come alla carne, maestro di pasta e di ortaggi come tutti i cuochi di origine campana.
La selezione delle materie prima, la scuola francese della salsa come legante ed esaltatore del sapore messa in discussione dal neopauperismo esistenzialista e punitivo, il giusto equilibrio fra i prodotto determinano quella che, si in questo caso, possiamo definire esperienza gastronomica.
Ad aggiungere spessore alla proposta c’è una squadra di sala molto giovane e motivata, che cura i dettagli del tavolo senza essere invasiva, una bella carta dei vini e delle bollicine per tutti i gusti anche se non per tutte le tasche.
Imperdibile il piatto iconico della triglia, indimenticabile la salsa all’inzimino dei bottoni ripieni di provola che determina una combinazione incredibile al palato, di ottima scuola il piccione, dolci di alleggerimento e non stucchevoli.
Pagherete sui 200 euro senza vino per 9 portate, un po’ meno per 5 e, se andate di fretta (cosa che sconsigliamo sempre) il lunch da tre piatti.
Il Santa Elisabetta del Brunelleschi è il segnale di una ripresa di Firenze nella ristorazione di lusso come si conviene ad una città unica qual è il capoluogo toscano.
Le file all’Antico Vinaio le lasciamo volentieri al popolo di Tik Tok, il Rinascimento Saudita lo lasciamo a Renzi, noi ci dedichiamo, più modestamente, a quello della gastronomia fiorentina.

Questa la nostra recensione del 27 agosto 2021:

di Albert Sapere

Premessa

Conosco Rocco de Santis da tanti anni. Forse la prima volta l’ho visto nelle cucine della Torre del Saracino da Gennaro Esposito. Un professionista molto bravo, un ragazzo serio e preparato che oltre all’esperienza da Gennaro Esposito è passato per le cucine di Pino Lavarra e Georges Blanc. Un professionista che prima di tutto ha fatto tanta gavetta, con le spalle larghe, che ha la maturità e l’esperienza per dedicarsi al cliente, più che al proprio ego. Non è un tema banale, almeno per me, in questo momento storico della gastronomia, dove tanti cuochi trentenni e quarantenni sono molto concentrati più su sé stessi che sul benessere e la piacevolezza del cliente. La cucina è prima di tutto piacere, rispetto della materia, cotture precise e io tutto questo l’ho trovato in fila nel mio pranzo al Santa Elisabetta.

Il ristorante

Sei tavoli nella torre della Pagliazza, probabilmente di origini bizantine, all’interno dell’Hotel Brunelleschi di Firenze. Luci soffuse, ambiente pieno di fascino, lunghe tovaglie bianche, pavimento e soffitto in legno, un grande lampadario centrale. Alessandro Fè, gentile e professionale è il restaurant manager. Una carte dei vini con una scelta importante e dei corretti, con la possibilità di scegliere diversi percorsi al calice.

A pranzo:
“Percorsi” da 3 portate,
“Carte Blanche” da 3 portate a scelta dello Chef.

A pranzo e a cena:
“Tracce di innovazioni” da 5 portate,     
“In-Contaminazioni” da 7 portate,
“Chef Experience” da 9 portate.

Cosa si mangia al Santa Elisabetta

Gambero, ricciola e seppia sono un mix, davvero molto riuscito, delle esperienze di Rocco. La Francia e l’importanza di avere delle salse ben fatte ed equilibrate. La vena mediterranea, negli ingredienti e nell’utilizzo delle acidità naturali, tutto misurato, retto da un equilibro, che quando è così ben fatto diventa meraviglioso. I toni dei piatti non sono mai accentuati, ma non scadono nella banalità.

Il Carpaccio di manzo è forse il piatto che mi è piaciuto di più. Il gusto intenso e persistente della carne, esaltato dalla dolcezza del foie gras e dalla riduzione di porto, il tutto allungato dall’aromaticità del tartufo.

Sui primi c’è una doppia strada, quella della pasta secca, gli spaghetti in questo caso, sapidi e avvolgenti dedicati al mare e quella golosa e opulenta dedicata alla pasta fresca, con una fantastica salsa alla mugnaia, eseguita in una maniera magistrale.

I due secondi di pesce sono frutto di contaminazioni. La triglia, regina del mare, contaminata dalla Toscana e dall’aglione, l’anguilla dai rimandi giapponesi, in cui ho apprezzato particolarmente la “sgrassatura”.

Il piccione che è sempre un passaggio importante per qualsiasi cuoco, l’abbiamo detto più e più volte è come l’esame di diritto privato per un avvocato, esiziale. I due servizi, mi hanno convinto, ingolosito, soprattutto nel pezzo che ne lasciava intatto il sapore quasi violento.

Conclusioni

Il Santa Elisabetta è un ristorante che in questo momento sta ottenendo un grande successo, sia di pubblico che di critica. Ed è la chiara dimostrazione che per raggiungere certi risultati non ci si improvvisa. Ci vuole la gavetta, l’esperienza, le idee chiare. Una cucina mediterranea, solida e senza grilli per la testa, che fa dell’equilibrio e della ricerca della perfezione la sua forza. Qualche volta anche l’equilibrio può essere dirompente e divertire.

 


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