Ristoranti Roma: i miei 12 piatti per i 12 mesi del 2012

Pubblicato in: Curiosità

di Virginia Di Falco

Dodici piatti per dodici mesi. In questo duemiladodici che sembrava non finire più. Eppure tanti piatti e tanti bocconi mi  sono piaciuti. Soprattutto, mi hanno incuriosita e qualche volta divertita. Mese dopo mese.
Questo è il bello di Roma. E dintorni. Che vale per le  pietre immortali come per le sue mille mangiatoie. Non ti stanchi mai. Puoi solo arrenderti.

Comincio subito con un fuori porta, va. Abbastanza fuori. Settanta chilometri. Tra Latina e Sabaudia. Ma ovviamente ne è valsa la pena. Il piatto più caldo del gennaio più freddo di tutti i tempi: la zuppa di cipolle e gamberi gratinata di Michele Lombardi, al Funghetto di Latina. Con dentro anche il trucco di un po’ di patate, cremosa, lieve; dei gamberi resta tutto, anche il profumo. Confortevolissima.

A febbraio, ancora un fuori porta. Sulle tracce della amatriciana tra le preferite di Arcangelo Dandini trovo in realtà il più buono carciofo alla giudia degli ultimi anni. A Taverna Mari (prima a Marino, ora a Grottaferrata), dalle mani sapienti di Iole, quel che si dice una frittura perfetta. Impeccabile.

A marzo una golosità per la prima colazione. Lo so che non è un piatto. Ma sono stanca delle polemiche e degli inutili rimbrotti sui croissant della capitale – che non c’è il burro buono, che non sono mai come a Parigi etc etc etc. Mi sono imbattuta in un posto fatto bene, tutto realizzato da donne, e, soprattutto, nel cornetto di pasta brioche più riuscito mai assaggiato a Roma. La pasticceria (ma anche sala da tè e bottega, arredata benissimo) è Bocca di Dama, a San Lorenzo. Sarà l’olio di riso? La crema come quella di casa? Boh. Fatto sta che è imperdibile.

Ad aprile vado di pizza. Adoro mangiare la pizza. Adoro parlare di pizza. Adoro le conferme. E la super margherita di Sforno (Stefano Callegari la chiama così) è davvero super. Impasto convincente, lievitazione lunga ma non straziante, ingredienti saporiti. Non è Napoli. Ma quando voglio la pizza di Napoli vado a Napoli. E poi, ancora con ‘sta storia. E basta. Insomma, questa pizza è vivente di vita propria.

A maggio ritorno da Pipero, sicuramente la cucina più interessante  a Roma da un anno a questa parte, premiata qualche mese fa con la prima stella Michelin. Gli chiedo di provare tutto quello che non sono riuscita a mangiare la mia prima volta. E assaggio una lingua spettacolare. Lingua con crema di peperoni, aringa affumicata e zenzero. Quanto gusto e quanto equilibrio in questo piatto. Sorprendente.

A giugno mi rituffo nei classici. Con il gusto di farlo da uno chef che ama la ricerca e l’innovazione. Con la carbonara di un campione di carbonara. Andrea Dolciotti. Prima da Roscioli, ora in un ristorantino tutto suo che ha chiamato Inopia. Un po’ fuori centro, ma pieno zeppo di idee e voglia di fare. E comunque, ed è quel che conta, la carbonara è centratissima.

A luglio un altro personalissimo primato. Con una virata caldo-freddo al palato che sarà difficile replicare, l’anguilla su farro franto con carpione gelato di Roy Caceres nel suo Metamorfosi (l’altra nuova stella Michelin a Roma) ha scalzato per sempre quella da me mai dimenticata di Tokyo. Cottura perfetta del pesce, asciugata del grasso ma non della morbidezza e accompagnata dalla pienezza del frumento da un lato e dall’altro dall’idea geniale della marinatura più tradizionale che c’è, il carpione, trasformata in gelato. Dirimente.

Ad agosto, non so voi, ma io non vado al ristorante a Roma. E quindi il piatto più buono è quello che ho fatto al mare, col mare del Cilento: le fettucce con i totanetti. Punto.

Settembre, si sa, è il mese delle ripetizioni. Si torna sui libri e sui manuali. E quindi la coda alla vaccinara di Checchino a Testaccio ci sta. Anche perchè sono lezioni che vanno avanti dalla bellezza di 125 anni. Una goduria.
Con anche dentro i pinoli poi, che ti fanno commuovere. E quanto è buono il suo sugo per farci la pasta. Epica.

Ad ottobre il peccato mortale. Ma io sono atea! E dunque non ho nessuna intenzione di espiare. E poi francamente c’è di peggio. Non esageriamo, eh.
Ebbene. Ho mangiato un piatto di fettuccine alla carbonara con i fiori di zucca e … la panna. Si. La panna.
Pranzo veloce e, soprattutto, appetito un po’ nervosetto?  Un bujaccaro della Garbatella – che è come dire junk food ma dal volto umano –  ci può stare ogni tanto. Formativa.

A novembre mi sono regalata una cena elegante al miglior ristorante di pesce della capitale, il Sanlorenzo. Il crudo è pazzesco. Il cotto pure, per la verità. E tra rose rosse bellissime e la più alta concentrazione di italiani che al ristorante se ne sbatte della crisi mai incontrata nell’ultimo anno a Roma, ho mangiato una catalana di gamberi rossi e scampi che difficilmente dimenticherò. Indelebile.

Per chiudere, come si dice, Natale con i tuoi, e quindi a dicembre viene sempre voglia di un piatto che sa di casa, di famiglia, di amici. E’ l’aria che io respiro da Claudio Gargioli, da Armando al Pantheon. Grazie anche ai suoi spaghetti alla gricia. Guanciale e pecorino. Il matrimonio che dura da secoli. Questo si, alla faccia dei Maya. Indissolubile.


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