Roma, ristorante Pipero al Rex: fate l’amore con la migliore carbonara del mondo!

di Virginia Di Falco

E’ uno bravo Alessandro Pipero. Uno capace. Ad Albano Laziale si era fatto conoscere grazie all’ingaggio di tre chef di talento: prima Danilo Ciavattini, oggi a Viterbo all’Enoteca la Torre, poi Roy Caceres oggi al Metamorfosi nel quartiere Parioli e infine Luciano Monosilio che lo accompagna ora nell’esperienza di via Torino all’hotel Rex.

Uno scrigno, come quello dei sogni, questa piccola elegantissima sala con soli sei tavoli. Poltroncine in pelle rossa, pavimento in legno, soffitto a cassettoni, tovaglie candide. Un camino monumentale che custodisce decine di distillati. Il servizio, impeccabile ma sempre divertito e personalizzato è curato direttamente dal padrone di casa. Da sempre, per lui o è così o non è. Dalla gestione della sala dipende tutto. «La cucina può sbagliare, la sala no» è una delle sue convinzioni. Grande professionalità, battuta pronta, conoscenza profonda e orgogliosa di vini e prodotti.

Il benvenuto è una declinazione della dolcezza più golosa: quella di due fettine due di lardo di patanegra servite con dei grissini al sesamo ancora caldi. Così sei davvero pronto a cominciare il viaggio. Tutto il resto è fuori insieme allo sciopero, al traffico, alla recessione.

Devi solo rilassarti. E tutto è più facile se ti affidi ad Alessandro. Decido così di seguire il percorso degustazione. Partiamo con una polpettina di bollito. Scontato? Per niente. Il bon bon in realtà è fatto con la lingua, ed è adagiato su un gel di porto. Molto gustoso. Nel frattempo arriva un pane brioche al limone ancora caldo, con le fette che sprigionano un profumo intenso prima ancora di essere servite a tavola.

A questo punto è davvero come avere le coordinate giuste prima di affrontare un viaggio. Insomma. Si può partire. Crudo di oca. Arriva un piccolo hamburger di carne cruda di oca chiuso da due crostini semi-trasparenti con una salsa a base di senape per nulla aggressiva e dei freschissimi cubotti di mela verde marinata. La carne è eccezionale e il piatto nel complesso per nulla banale, anche con un abbinamento così semplice. Il frutto pulisce il palato senza fare molta fatica: non c’è grasso e non c’è stucchevolezza.

Il secondo piatto di carne è un petto di pollo di Bresse scottato con la sua pelle croccante, servito con una foglia di erba ostrica, una maionese casalinga espressa, fresca e lieve e rinvigorito da qualche goccia di ostrica frullata. La sapidità iodata tratta con il dovuto rispetto questa carne eccezionale nella sua semplicità. E poi che bello ritrovare nell’alta cucina il petto di pollo!

Il piatto successivo è una cappasanta. Qui forse casca l’asino, ho pensato. Avendo in testa l’effetto pallina-di-gomma-insapore dell’80 per cento di questo mollusco al ristorante. Mi ricredo quasi subito. Innanzitutto per il tempo di cottura. Perfetto. Poi per l’abbinamento con la puntarella in agrodolce, la crema di puntarelle, la burrata e la paprica dolce. Ogni sapore distinto e distinguibile senza essere slegato. Non c’è che dire. Queste Saint Jacques sono finite in un bel mare.

A seguire la provocazione dei «tortellini con la panna». Se negli anni settanta eri bambino e quindi poi da venti anni ti sorbisci le lezioni sulla vera sfoglia di giovannirana e hai almeno solo sentito parlare di come ci si diverte Massimo Bottura, allora devi proprio provarli. E scopri che non sono tortellini ma tortelli. Che la panna non è panna ma crema di pecorino. Che dentro c’è un ripieno da sballo. Agnello in pezzi (non liofilizzato, per capirci). In pezzi con una fogliolina di menta. Agnello. Menta. Pecorino. La campagna romana è a pochi passi. Guai a chi vi distrae con il retorico bla bla bla del chilometrozero. Per usare una espressione di Pignataro (lo so, poco elegante, Pipero mi perdonerà) ne avrei mangiati un badile. Ecco. L’ho detto.

Ma le sorprese, anzi il duro e sudato lavoro – come direbbe a questo punto Scuteri – non sono finite qui. Assaggio il brodo di piccione con i cappelletti al gianduia. Il brodo non è filtrato apposta, mi fa notare Alessandro. E infatti è bello carico. Sa di brodo antico. Come quello di mia nonna. Lo so. Sembra una frase fatta. Ma che ci posso fare. Mia nonna lo faceva per davvero. I cappelletti sono in realtà dei minuscoli capolavori di sfoglia fresca ripieni al 70 per cento di cioccolato gianduia e al 30 per cento di fegatini del povero volatile. Quindi vi capita in bocca statisticamente per primo quello dal gusto amaro del cacao e poi quello amarissimo delle interiora in uno slalom tra le papille gustative che difficilmente dimenticherete.

E finalmente, dopo questi lanci spaziali si ritorna sulla terra. A dire il vero io sono venuta soprattutto per Lei. Anzi avrei cominciato con Lei. Ma Pipero me lo ha proibito. Lui che del piacere del cibo è un vero sacerdote – come sappiamo tutti noi suoi appassionati amici su facebook – ne conosce soprattutto i tempi e le dosi. Tanto è vero che la sua carbonara ha una pagina dedicata sul menu e viene servita a peso. Dieci euro per ogni 50 grammi. Bene. Finalmente è il mio turno. Ne chiedo ipocritamente 50 grammi. Ne avrò ufficialmente 65. Spaghetti del pastificio Cocco di Fara San Martino. Cottura perfetta. Crema di tuorlo d’uovo. Guanciale a profusione. Giusto pecorino. Un’idea di pepe. Questo piatto è la vera seduzione per Pipero. Ha gli occhi che gli brillano quando la porta a tavola, prima di presentarla come «la migliore carbonara di Roma». Io forse avrei preferito qualche cubetto di guanciale in meno, ma di certo mentre la cremosità verace del piatto ti cattura definitivamente il palato hai la netta sensazione che molte altre volte devi aver mangiato pasta e … frittata.

Chiudiamo la degustazione con una crema alla gianduia servita con del sale scoppiettante (grazie all’anidride carbonica solleticherà anche i vostri denti) e un dessert cento per cento ananas in versione “pina colada”: con uno spicchio di frutto sciroppato, in gelato con del cocco, in crema col rum e in meringa.
I saluti con una scatolina di deliziose pralinerie.

Questi i vini in abbinamento: per cominciare Sara (IGT Lazio Chardonnay) di Luna del Casale; per continuare un Kracher riesling auslese 2008 dolce e, per affrontare la carbonara I Fuochi Montescudaio 2010. Carta dei vini organizzata con grande passione ed esperienza e con ricarichi onesti.
Per il menu degustazione di nove portate si spendono 80 euro.

Insomma, l’impressione che si ricava dalla degustazione è di una mano felice e ferma, non stanca. E non solo per motivi di età ma anche per l’entusiamo e il divertimento nella ricerca del nuovo, aiutata da una discreta esperienza legata al territorio. Luciano Monosilio ha infatti cominciato giovanissimo. Oggi ha 27 anni e da quattro anni è con Pipero. Condividono il medesimo trasporto per il piacere seduttivo del cibo, che per entrambi è però anche molto concreto, empirico. E se continuano così a goderne saremo in tanti.
Pipero al Rex
Via Torino, 149
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso domenica sera e lunedi
www. alessandropipero.com


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