Trentinara, trattoria locanda Lu Vottaro anima del Cilento

Osteria con camere
Via Forno Antico
329.7793347

di Marco Contursi*

Sia chiaro da subito: questo è il racconto di un viaggio non di una mangiata, un viaggio dell’anima, quella dei contadini del sud, quella delle genti delle alture sovrastanti la costa, chiassosa d’estate e desolata d’inverno, quella di un uomo che non c’è più ma ha lasciato i suoi sogni a raccontare di lui. Di foto ne ho fatta qualcuna, poche ai piatti, perché i piatti vanno mangiati con i denti e non con gli occhi, perché quando sei con “ ottimo cibo, ottimo vino e ottima compagnia” alle foto non ci pensi, perché le foto non hanno odore né sapore, perché certe emozioni vanno vissute e non ascoltate.

 

Sono tornato al  U Vuttaro, Alfonso Longo non c’è più. Se ne è andato d’estate, dormendo, in silenzio e nel silenzio, quella quiete che dopo anni alla guida di un locale di successo, ha ricercato con tutte le forze in un piccolo borgo sulle colline, con la vista più bella, da Agropoli a Capri: Trentinara, il balcone del Cilento, un dedalo di viuzze strette dove i “furastieri” sovente si perdono per venire al Vuttaro poiché di insegne,volutamente, non ce ne sono, così si possono ammirare gli scorci di un paese antico.

Venirci, e non trovarlo è stato brutto,  ancora non ci credo sia successo, ritornando in questo piccolo scrigno di sapori rurali così lontani dai cataloghi dei marchi famosi della ristorazione di classe. Alfonso non c’è…ma c’è Cristina e il suo dolore, c’è Cristina e la sua cucina, c’è Cristina e la sua voglia di continuare il loro sogno, quello di una locanda di campagna in cui far rivivere il Cilento più vero, in cui far riappacificare l’uomo con la madre terra.

Lui non c’è. Ma c’è il camino scoppiettante, il pozzo di acqua sorgiva, la piccola cantina con bottiglie, figlie di questa terra, c’è il vino sfuso del contadino che lo travasa solo con la luna favorevole. Magari cantando antiche nenie che parlano di amori e briganti.

 

Ci sono i fagioli e le castagne, il pane misto cotto a fascine d’ulivo, i ravioli con le ortiche raccolte dietro casa, il salame brutto a vedersi ma dal sapore squisitamente terragno, il formaggio del vecchio pastore, il capretto e il maiale che finalmente sanno di capretto e di maiale, lattoso il primo, porcelloso e grasso il secondo.

 

C’è la borragine, la cicoria selvatica, il finocchietto, i fiori d’acacia, le more, le ciliegie e mille altre erbe che Alfonso cercava tra i campi e che ora Cristina da sola deve scovare e trasformare in marmellate dal sapore unico. Perché questo è il miglior  modo per ricordarlo, continuando a raccontare quel Cilento nascosto e autentico che lui aveva  a lungo cercato e poi trovato a Trentinara.

Il menù cambia ogni giorno, i piatti una volta più ruspanti, oggi sono ingentiliti dal tocco muliebre di Cristina, il soufflè di mozzarella e caprino parla di un territorio antico in chiave moderna. Senza stravolgere la natura stessa del prodotto, che ha nelle stagioni e nel sudore dell’uomo la sua chiave di lettura. Qui si zappa la terra, si portano al pascolo le greggi, si cucina sul focolare. E’ un viaggio nella memoria, in quella di Alfonso, in quella di Cristina, in quella di chi, sedendosi , ha vissuto almeno una volta i tempi e i sapori di una civiltà contadina, qui ancora padrona del tempo. “Alfonso era un pazzo” mi dice Cristina asciugandosi gli occhi……”Occorre avere un po’ di pazzia in sé per partorire una stella danzante”………U Vuttaro, la stella danzante di Alfonso e Cristina.

p.s. andateci adesso col freddo e un po’ di pioggia. Il tepore del fuoco vi ritemprerà. Prenotate sempre almeno il giorno prima. Non chiedete coca cola, l’acqua è solo di fonte, meravigliosa. Ci sono anche delle stanze, con camino e arredi in legno. Stupende. Cristina ora non è pronta per aprirle, troppo dolore, quando lo sarà, ve lo dirà lei. Più si è amato, più serve tempo per elaborare il dolore.

*Fiduciario Slow Food


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