177 Toledo di Giuseppe Iannotti a Napoli

di Giulia Gavagnin

In una Napoli che cambia alla velocità della luce si sta imponendo il fine dining, in una Napoli che fino a ieri era tutta pizza e rrau’ della nonna, la pizza e il rrau’ della nonna cambiano faccia in chiave contemporanea non si sa se solo per ora o per sempre, in una Napoli che corre come  un treno non si sa se per davvero o per finta il volto del movimento futurista è quello di Giuseppe Iannotti, sannita bistellato al Kresios di Telese Terme.

Tutto questo, per dire che 117 Toledo, la recente apertura di fine dining all’ultimo piano delle Gallerie d’Italia made in Intesa Sanpaolo dell’omonimo indirizzo partenopeo (del bistro al piano terra, Luminist, s’è già parlato ampiamente) è la vera scommessa dell’anno, di portare in una città fino a ieri assai conservative dal punto di vista gastronomico la cucina stellata contemporanea, quella di stampo internazionale.

Ops, ma 177 Toledo non è “ancora” stellato e –qualcuno obietterà- mica mancano gli stellati in città. Vero, verissimo, ma Iannotti è lo chef più futurista e proattivo tra i campani, quello che ha guardato di più al Nord Europa, alla Spagna, agli Stati Uniti pur essendo pressoché autodidatta, quello più affine alle tendenze da 50 Best tanto per capirci. Dunque, il più adatto a portare in città il verbo della contemporaneità, in una cucina essenzialmente di testa, che stravolge la napoletanità soprattutto nella forma.

Quindi, si diceva, ultimo piano delle Gallerie d’Italia, vista sui Quartieri Spagnoli che brulicano incessantemente, un cocktail bar metropolitano (“Anthill”) a far da anticamera che scrive il menu su un blister medicinale e serve una miriade di piatti da bistronomie di assoluta gola, dalla paella al piccione e bitter, e una serie pure sterminata di miscelati di altissimo livello con la promessa di una frequentazione trendy e cool.

Poi, la sala del ristorante, cinque tavoli rotondi di legno chiaro, nessuna tovaglia, tre menu che richiamano i numeri della smorfia napoletana, 71, 22, 90; L’ommo ‘e merda, O’ pazzo, ‘A Paura, a 120, 170 e 250 Euro; quattro, sette, dieci portate salate più dolci e dolcetti vari.

Al centro del concept la valorizzazione e la reinvenzione dei piatti cardine della tradizione napoletana, con tutto il campionario di pizza, parmigiana, scapece, cozze, polpo, maccheroni, stravolto, infilato in uno shaker e sbattuto, ripresentato sotto forme inedite pur mantenendolo ampiamente fruibile.

Il servizio muliebre è brillante, gli abbinamenti enoici azzeccati, complessivamente la cucina stessa è essa stessa brillante, forse in qualche episodio un poco perfettina, ma è pur vero che saper tirare sia di fioretto che di spada richiede tempo, e per l’executive chef Grazibrillanteoli il percorso è appena iniziato.

Negli amuse bouche c’è tutto il campionario napoletano rivisto alla maniera praticata alle latitudini iberiche, pizza a mo’ di cialda soffiata, zeppola alghe e vongole, capitone e pellecchiella (notevolissimo) e poi si parte con Carn’ e sott’ a maccarun’ a copp, un cuore di carne cruda e maccheroni “sui generis” in forma “up and down”, bello da vedere e ottimo per principiare. Il polpo è una summa di cotture, a ogni singola parte corrisponde un piattino diverso, il brodo è divino.

Meno convincente la fagiana prestata a cotture contemporanee (appena scottata, cruda al centro), decisamente intrigante, invece, la pesca alla scapece.

Complessivamente non si intravedono cedimenti, il percorso è equilibrato, divertente, godibile perché animato da spirito ludico. Il finale è affidato al soufflè camomilla e pollini, ad avviso di chi scrive il dessert che mai dovrebbe mancare in un progetto di fine-dining e Iannotti ha avuto l’intelligenza di inserirlo.

177 Toledo sembra già maturo per importanti traguardi. Il servizio è giovane e competente, la cucina divertente e curiosa senza difetti evidenti. E’ lo specchio di una Napoli più vicina all’Europa. Il pubblico dovrebbe gradire.

Via Toledo 177, quinto piano

Napoli

081 18181380

aperto da martedì a sabato solo la sera


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