Apologia della minestra maritata

Pubblicato in: Minima gastronomica

Torre del Saracino. Minestra maritata di mare

La minestra maritata resiste nelle tavole napoletane, cambiano le generazioni ma i suoi cultori non diminuiscono affatto, anzi.

Per quale motivo? È presto detto, questo piatto è la sintesi della nostra cultura gastronomica tradizionale, perfetto dal punto di vista nutrizionale anche secondo i canoni moderni per il contenuti di fibra, antiossidanti, quasi assente il colesterolo.

E’ un piatto antico ma moderno, perché l’elemento vegetale non è comprimario alla carne, ma recitano un ruolo inverso. Naturalmente non è virtuosismo alimentare, ma perché essendo un piatto povero si doveva riempire lo stomaco con verdure e ortaggi mentre nel brodo era il sapore dell’eterno desiderio della cucina napoletana, la carne, appunto. Perché quello che differenzia la nostra gastronomia da tutte le altre sono due cose: l’essere una cultura alimentare di città, dunque abituata alla varietà dei prodotti e delle abitudini sociali, e avere sostanzialmente origini povere, poverissimi.

Erano mangiafoglie i napoletani sino al ‘600, poi grazie ai maccheroni iniziarono a moltiplicarsi e a saziarsi.
Ma la cultura del prodotto è proprio nella selezione delle erbe e degli ortaggi, scarola, torzella, friarielli, cicoria, verza, cavolo nero, sopra tutti, ma anche tante altre, poi canonizzate in numero di sette. Mentre cinque dovrebbero essere le varietà di carne. Ma questa precisione è già segnale di opulenza, di arroganza palatale rispetto a delle abitudini ben più semplici: si faceva con quello che si trovava, negli avanzi di fine mercato, oppure girando nelle campagne dei Camaldoli, dei Campi Flegrei e sul Vesuvio. Verdure e ortaggi dal sapore assolutamente superiore grazie al suolo vulcanico.
Eccola dunque la nostra cultura, riassunta in modo magistrale nell’alta cucina nella minestra maritata di Gennaro Esposito, il cuoco che più di ogni altro ha imparato a giocare di rimbalzo con la tradizione affinando con la tecnica e la presentazione piatti che di per se stessi sono assolutamente già insuperabili. Oppure nella idea di Francesco Sposito.
Per noi il valore del cibo è simbolico, scaramantico, naturalmente religioso. Certe cose vanno mangiate al momento giusto non solo perché così vuole la natura, ma anche in rapporto con l’evento.

Ecco dunque, che tu sia povero o ricco oggi poco importa, la minestra va consumata a Natale, segna la fine del mangiare di magro, anche se con pezzi poco nobili.
Un piatto che rientra nella famiglia delle minestre natalizie.


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