L’attacco giudiziario della Pomì contro l’Icab sull’uso del marchio Pommorì ha un primo punto fermo. Il Tribunale di Napoli, sezione specializzata delle imprese (presidente Arduino Buttafoco, Rosario Caiazzo giudice relatore e Enrico Quaranta) ha detto che l’uso del marchio Pomorì da parte della azienda conserviera con radici napoletane con sede a Buccino è pienamente legittimo.
La Pomì, ricorderete la sua campagna lanciata in concomitanza con l’esplodere mediatico della Terra dei Fuochi che presentava la pianura Padana come un Eden incontaminato, ne esce anche abbastanza malconcia perché il collegio ritiene “Che l’utilizzazione del marchio Pomorì non abbia costituito contraffazione del marchio comunitario registrato Pomi”.
Ma non basta: “Va premesso – è scritto nella sentenza emessa il 19 gennaio -che non è stato dimostrato che il marchio Pomì goda di rinomanza, ovvero che esso costituisce marchio celebre, con ogni conseguente implicazione circa l’ambito e l’intensità della tutela, come si desume dalla giurisprudenza in materia”.
L’Icab tra l’altro si è distinta nelle ultime campagne per l’accordo del pomodoro La Fiammante con la Op Mediterranea che tutela non solo la qualità e la filiera del prodotto dalla terra all’azienda, ma anche l’etica del rapporto di lavoro che esclude il caporalato nella fase di raccolta.
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