Incontro intervista a Ottavia Giorgi di Vistarino e il suo Oltrepò Pavese

Pubblicato in: Personaggi
Ottavia Giorgi di Vistarino

di Andrea Briano

La cantina Conte Vistarino Tenuta di Rocca de’ Giorgi con i suoi 826 ettari di cui 200 vitati e 140 esclusivamente a Pinot nero ha qualche difficoltà ad essere accomunata a un Récoltant manipulant, eppure in un territorio come quello dell’Oltrepò, dove spesso i protagonisti sono mega aziende e grandi cooperative con valori spesso più industriali che di viticultura di qualità, questo può accadere.

Ottavia Giorgi di Vistarino, esce dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese dove convivono realtà con difficoltà ad avere una visione univoca del futuro del territorio per valorizzare il proprio mondo e il proprio ambiente, esattamente come un Récoltant manipulant.

Potrei continuare a lungo, raccontando della passione che traspare evidente dagli occhi e dalle parole di Ottavia, un fermento che si alimenta del fuoco della ricerca della qualità, ma soprattutto dell’amore per un territorio troppo spesso maltrattato e, finora, solo sfruttato.

Come è arrivata alla guida dell’azienda?

«Sono arrivata in azienda per nascita, ma alla guida per determinazione. È stata una battaglia generazionale molto pesante e lunga 15 anni, ma non ho ancora vinto la guerra. Accadrà quando l’azienda sarà completamente convertita».

 

Cosa vuol dire mantenere il testimone di una cantina storica in un territorio come quello dell’Oltrepò, capace di grandi potenzialità ma ancora inespresse?

«È molto faticoso perché non c’è una denominazione forte che traina; è più costoso perché, individualmente, occorre promuovere il territorio prima della propria azienda. Dove poi il territorioè conosciuto occorre anche convertirne la pessima reputazione, dimostrando di più rispetto agli altri».

 

Quali sono i punti di forza e di debolezza, allo stesso tempo, dell’Oltrepò?

«I punti di forza sono rappresentati dalla forte vocazione viticola basata su una storia antica e vera e da una denominazione tutta da ricostruire, non ancora espressa,quindi appetibile come novità. I punti di debolezza li conosciamo e li possiamo elegantemente riassumere in un eccesso di produzione gestito dall’industria e da un’ignoranza nella vinificazione da parte delle aziende agricole minori che per anni ha portato all’immissione sul mercato di vini scadenti. Con il cambio generazionale oggi diverse piccole aziende producono vini d’eccellenza».

 

Come interpreta lei il territorio nei vini spumanti, considerati sempre prodotti tecnici?

«Cerco di portare in bottiglia le uve rispettando le caratteristiche organolettiche delle basi. Il Pinot nero di Rocca de’ Giorgi ha profumi molto delicati, per ritrovarli si cerca di intervenire il meno possibile. Mi piace mantenere la riconoscibilità».

 

Rapporto con il Pinot nero?

«Più che passione direi ossessione. L’ho trovato in azienda ed ho imparato a rispettarlo. È come se avessi trovato un leopardo e lo avessi trasformato in animale domestico: è elegante ma può essere crudele a meno che non si rispetti la sua natura. Non c’è nessuno al mondo che non pensi che il leopardo sia un animale bellissimo».

 

Possiamo realmente parlare di terroir del pinot nero in Oltrepò?

«Se per terroir si intende “un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità” direi di sì. Non dobbiamo mai sottovalutare la storia. Nel 1850 è stato piantato il Pinot nero in Oltrepò dalla mia famiglia; è stato fatto perché la zona era considerata idonea. Se smettiamo di paragonare i vini con quelli prodotti con lo stesso vitigno in altre zone, allora possiamo capire meglio il concetto di terroir».

 

Cosa dovrebbero fare produttori e istituzioni per risollevare le sorti del territorio?

«Innanzitutto i produttori devono produrre grandi vini, concentrarsi sulla qualità dalla vigna alla cantina, raccontare la storia e comunicare i valori. Le istituzioni devono capire a chi dare la governance del territorio secondo un criterio meritocratico, ovvero chi dà valore deve essere in prima linea per rappresentare il territorio. Basta fare politica, oggi occorre fare impresa».

 

Perché oggi ha sbattuta la porta uscendo dal consorzio dell’Oltrepò?

«Perché il Consorzio non ci rappresenta. Non ha presentato un progetto di sviluppo condivisibile, non si è mai occupato di internazionalizzazione e nemmeno di tutela. Oggi è un organo ingessato».

 

Quali le prospettive della sua cantina storica?

«Faticosamente, cerchiamo di dare valore alle uve che abbiamo nei vigneti tramite la produzione di vini di qualità rispettosi del loro terroir. Vorrei che la tenuta fosse riconosciuta in Italia per il suo importante legame con il pinot nero, quindi stiamo lavorando in questa direzione. Importante attenzione vogliamo darla al turismo».

Novità per il futuro?

«Stiamo partendo finalmente con la ristrutturazione delle serre del parco e delle cantine sotto la villa per lo stoccaggio del Metodo Classico. Tra qualche anno avremo una nuova etichetta di Pinot nero frutto di una splendida vigna piantata di recente».


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version