L’ Abruzzo dal Pecorino al Cerasuolo: 8 vini da stappare in tutte le stagioni

Pubblicato in: I vini da non perdere

di Raffaele Mosca

Ritorno in Abruzzo in un momento estremamente complicato: le grandi piogge del periodo primaverile hanno causato un’emergenza peronospora senza precedenti su tutta la  fascia adriatica. In alcune zone la perdita supera addirittura il 50% del raccolto: qualcosa in più sul fronte del Montepulciano, in particolare nelle aree più umide a ridosso della costa. Il presidente del consorzio vini d’ Abruzzo Alessandro Nicodemi aveva già invocato l’intervento delle istituzioni a inizio giugno, chiedendo di mettere in campo misure economiche per scongiurare la catastrofe. Da allora, la situazione è ulteriormente precipitata: i produttori parlano di annata ancora più difficile della 2014, forse la peggiore da cinquant’anni a questa parte.

Se può consolarci, però, l’annus horribilis sul fronte produttivo coincide con un momento di grandi cambiamenti in positivo: il consorzio, per la prima volta capitanato da un produttore privato anziché da un rappresentante di cantina sociale, ha messo in atto una revisione totale dei disciplinari che porterà molto pesto a un riassetto delle DOC e alla creazione di un’unica IGT regionale: Terre d’Abruzzo. Nel frattempo è partito anche l’iter per la creazione di due nuove DOCG per il Montepulciano d’Abruzzo, Terre di Casauria e Terre dei Vestini, che mirano a dare un’identità più specifica ai rossi di una parte del comprensorio pescarese.

Ma non si fermano qui le news: l’altra che ha già fatto molto rumore è quella dell’introduzione del marchio collettivo Trabocco, il primo nel Centro-sud Italia dedicato esclusivamente a uno spumante metodo Martinotti  (anche detto “metodo italiano”).

Il progetto nasce dagli esperimenti di due cantine sociali, Citra ed Eredi Legonziano, che circa dieci anni addietro hanno cominciato a spumantizzare uve autoctone abruzzesi, prima con Metodo Classico e poi in autoclave. “ L’ Abruzzo è sempre stato un territorio da cui i produttori di altre regioni hanno attinto per le loro basi spumante – ha spiegato Davide Acerra, responsabile della comunicazione del consorzio vini d’ Abruzzo – con il marchio Trabocco, vogliamo riportare questo valore aggiunto in regione”.

Pur legandosi nel nome alla costa che va da Ortona a San Salvo, il marchio potrà essere utilizzato in tutto l’Abruzzo, anche se per ora la produzione è tutta concentrata nel chietino, dove l’ampia presenza di pergole e la grande massa critica di uve facilitano questo tipo di produzioni. Qui è anche nata una nuova cooperativa, Vin.co, che tratterà esclusivamente spumante targato Trabocco e consentirà a chiunque lo vorrà di spumantizzare in regione (perché uno dei paletti del disciplinare è proprio il divieto di produzione fuori zona).

Abbiamo assaggiato i vini appena usciti e, chiaramente, proporre delle note di degustazione sarebbe prematuro, visto che le referenze sono poche e in fase embrionale. In linea di massima, però, possiamo dire che sono vini ben pensati e tecnicamente ineccepibili, che cercano un posizionamento a metà strada tra Prosecco DOC e DOCG, con un pelino di aromaticità in meno e un pizzico di acidità in più anche nelle versioni extra dry.

Il Cerasuolo prima di tutto

Altri eventi come l’Abruzzo Wine Experience e la serie di incontri organizzati dal degustatore autoctono Franco Santini in previsione dell’evento Gironi DiVini (che si terrà a Tagliacozzo subito dopo Ferragosto) ci hanno permesso di effettuare una panorama a 360 gradi su tutto il panorama vitivinicolo abruzzese, comprese le aspiranti DOCG.

Il dato più importante in questo caso è il primato nel panorama regionale del Cerasuolo d’ Abruzzo, che continua ad essere il migliore ambasciatore del territorio, forte di una qualità media che forse non ha eguali a livello mondiale nell’ambito dei rosati. Fino a questo momento ha avuto così tanto successo nel mercato regionale – e, in misura minore, nazionale – che quasi nessuno si è preso la briga di esportarlo, ma finalmente cominciano ad apprezzarlo anche in alri paesi, Stati Uniti in primis, dove, anziché come semplice rosato, si cerca di proporlo come anello mancante tra rosa e rosso.

“ Il Cerasuolo è il vino rosso del futuro – ha ribadito Franco Santini – con il clima che diventa sempre più caldo, chi ha più voglia di bere rossi strutturati e concentrati? Molto meglio un rosato carico”. Lo stesso concetto lo ha esplicitato di fronte a una platea internazionale il comunicatore-superstar Filippo Bartolotta, utilizzando la metafora del mito di Prometeo e del dono della leggerezza per rimarcare come la delicatezza, l’immediatezza e la facilità di beva non pregiudichino affatto lo spessore, la tipicità e la durata nel tempo di un vino, che , a differenza di altri rosati di stile provenzale pensati solo per il consumo immediato, riesce ad invecchiare molto bene: rileggere l’articolo sulla verticale del Fossimatto di Fontefico per credere.

I bianchi abruzzesi tra luci e ombre

 

Sul fronte dei bianchi, l’Abruzzo ha fatto sicuramente passi avanti, ma, ad essere onesti, non abbiamo ritrovato negli oltre cento assaggi la stessa coerenza che c’è tra i Cerasuolo. Forse è per via dell’annata: la siccitosa e bollente 2022 ha dato filo da torcere ai produttori di bianco in tutt’Italia. Ci sono, però, altri problemi di fondo: come quello ampelografico per il Trebbiano d’Abruzzo, tutt’oggi prodotto in larga parte con biotipi vigorosi e poco qualitativi d’origine toscana, che nulla hanno a che fare con l’originale Trebbiano abruzzese, anche detto Svagarina, tendenzialmente meno produttivo e decisamente più performante, soprattutto a lunga gittata.

Sul Pecorino, invece, il problema è l’exploit produttivo incontrollato: da meno di 10 a oltre 1800 ettari nell’arco di venticinque anni. “ Seguo il Pecorino da quando è stato riscoperto nei primi anni 90’ – ha spiegato il professor Leonardo Seghetti, docente dell’Università di Teramo – e francamente non riesco più a riconoscere questo mio figlioccio”. Il nome stesso rimanda alla montagna e ai tratturi ed è proprio lì, ai piedi del Gran Sasso, della Maiella o dei Monti Sibillini, che si producono le versioni più raffinate: in perfetto equilibrio tra struttura e nerbo, con anima “rieslinghiana” e carnosità mediterranea.

 

Spostandosi verso la costa, invece, tendono ad emergere dolcezze e volumi alcolici che a volte lo snaturano: il modo migliore per evitarle è piantarlo a tendone e aumentare un po’ le rese. “ Se lo si contiene troppo, emergono vini esageratamente alcolici – ci ha spiegato Lamberto Vannucci, titolare di Centorame – io, sui terreni argillosi della zona di Atri, non posso fare meno di 140 quintali ad ettaro, altrimenti andrei incontro ad eccessi di concentrazione ed alcol”.

Ultimi, ma non per importanza, Cococciola e Montonico, autoctoni semi-dimenticati e praticamente inesistenti al di fuori del mercato locale, possono riservare sorprese. La prima, originaria del Chietino, ha la stessa immediatezza aromatica del Pecorino, abbinata a un corpo più leggero e una beva più agile. Il secondo ha fornito, stando ad alcuni documenti ritrovati nella zona di Bisenti (TE), di cui originario, basi spumanti a mercanti francesi che, a fine 700’, lo definivano “Petit Champagne”. Va da sé che acidità alta, neutralità aromatica e tendenza a sviluppare poco alcol sono tra i suoi maggiori punti di forza, e lo rendono un asso nella manica da sfoderare per far fronte al riscaldamento globale.

 

I bianchi e rosati abruzzesi da non perdere:

La Quercia – Abruzzo Montonico Superiore Santapupa 2021

Essenziale e immediato: lemongrass, biancospino, timo e un tocco di pietra focaia che andrà a crescere d’intensità nell’arco di un annetto. Leggero e sfizioso, citrino e salivante, un’idea vegetale di fondo rafforza la scorrevolezza di beva. Una ‘20 stappata a ruota ha dimostrato un’evoluzione su tonalità quasi “rieslinghiane”.

 

Cingilia – Abruzzo Cococciola 2022

Fabio di Donato produce vini incisivi e per niente omologati in quel di Cugnoli, ai piedi della Majella. Come questa Cococciola dal naso spiazzante: nocciola, pietra focaia, accenni verdi-tiolici e un’idea di guscio d’ostrica che fa un po’ Chablis. Splendida la dinamica dritta, trascinante, ma senza sbavature, con finale affumicato e salino di precisione inappuntabile. Veramente un bel bere!

 

Costantini – Abruzzo Pecorino Superiore 2019

Degustato alla cieca, ha rimarcato – casomai ce ne fosse bisogno – che un paio di anni in bottiglia non guastano affatto. In questo lasso di tempo, il frutto del Pecorino si ridimensiona e lascia spazio a pepe bianco, finocchietto selvatico e qualche accenno di idrocarburo. Ricchezza ed ampiezza non pregiudicano lo slancio, anzi l’equilibrio tra le parti è molto allettante. Zenzero, iodio e agrumi smorzano la ricca polpa di frutta estiva e ritornano sul fondo della chiusura rinfrescata da ricordi balsamici. Ottimo anche a rapporto qualità-prezzo (viene sui 10 euro).

 

Ausonia – Trebbiano d’ Abruzzo San Pietro 2020

Biodinamica, lieviti indigeni, botte grande e barrique esausta per l’affinamento, nessuna filtrazione. Protocollo “minimal” per un Trebbiano da vigne nella zona dei calanchi di Atri che sembra strizzare l’occhio alla Borgogna: la commistione garbatamente ossidativa di miele millefiori, zafferano, fieno e mela cotogna rimanda a qualche vino di vigneron del Maconnais e dintorni. Offre volume e cremosità intriganti, nerbo acido a sostegno della struttura e un pizzico di erbe spontanee che ravviva il tutto. L’apporto del rovere fa capolino in chiusura e allunga una chiusura d’indubbio spessore, che potrebbe esaltare un tagliolino al tartufo bianco.

 

Terraviva – Abruzzo Pecorino Ekwo 2022

Un’eccezione alla regola di cui sopra: qui siamo a due passi dal mare, ma nel vallone alle spalle di Tortoreto s’incanala l’aria fresca proveniente dai monti. Il vino è ottenuto da fermentazione spontanea e sfodera un profilo molto originale: susina, pesca gialla, cappero sotto sale, erbe disidratate e fieno, un’idea singolare di luppolo e un che di cerealicolo. E’ avvolgente in apertura e poi più tonico, versatile e sfizioso con leggero cotè vegetale a rinfrescare, finale in equilibrio tra frutta estiva, mandorla tostata ed erbe spontanee.

 

De Melis – Cerasuolo d’ Abruzzo Bardasce 2022

Nome vernacolare – che significa “ragazzo” – per il Cerasuolo di uno degli astri nascenti del panorama indie abruzzese. Degustato durante la masterclass all’ Abruzzo Wine Experience, fa le scarpe ad alcuni nomi più blasonati con il suo profilo irresistibile: ciliegia e fragola a riallacciare il legame con la veste rosa scuro – quasi rubino chiaro – e poi arancia candita, bacca di goji, liquirizia, qualche accenno terrestre. Cangiante e sfaccettato, carico di frutto e allo stesso tempo dinamico, con un cenno di tannino che ne rafforza la personalità da piccolo rosso, chiama – anche per prossimità territoriale – l’abbinamento con gli arrosticini di Villa Celiera.

 

Marco Rossi – Terre Aquilane Rosato Somnium 2022

A Ofena, Grand Cru dell’ aquilano, la tecnica tradizionale è quella della “svacata”: una co-fermentazione di uve bianche e rosse mirata all’ottenimento di un vino che abbia la freschezza vegetale di un bianco e la polpa di un rosso leggero. Marco Rossi l’ha appresa nel corso di un periodo di apprendistato da Cataldi Madonna e ha voluto utilizzarla per il suo rosa azzeccatissimo: tradizionalmente carico alla vista; poi soave di mirtillo rosso e violetta, lavanda e acqua di rose, con un sorso all’insegna del binomio frutto succoso – acidità squillante,  quasi sul calco di un buon Beaujolais. Ha un solo grande difetto: non riporta la dicitura “Cerasuolo d’ Abruzzo” in etichetta.

 

Giuliano Pettinella – Tauma Vino Rosato 2012

Per una volta lasciate perdere il colore, perché, a distanza di undici dalla vendemmia, è inevitabile che abbia perso la tipica luminosità “shocking” del Cerasuolo. Che poi  questo vino di produttore microscopico, attivo alle spalle di Silvi Marina, all’epoca non usciva nemmeno come DOC: era solo un esperimento casalingo, eppure ci lascia a bocca aperta. Quel che ha perso in lucentezza lo ha guadagnato in complessità: ad aromi di marmellata di fragole e pepe rosa, alterna ventate di sottobosco, erbe essiccate e fiori in appassimento. La bocca non è da meno: solo leggermente ossidativa, con tracce di erbe officinali che si mescolano con il frutto e  ricordi iodati – quasi di salamoia – che estendono la chiusura ancora tonica e saporita. E’ la prova provata del potenziale evolutivo del Montepulciano in rosa: sicuramente meno accomodante delle versioni fresche di vendemmia, ma dotato di energia inscalfibile.


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