Le pepaine imbottite al mosto cotto ed i possibili abbinamenti con il vino

Pubblicato in: I miei prodotti preferiti, i secondi

di Annito Abate

Ma in quanti modi si può chiamare questo meraviglioso piatto tradizionale?

Innanzitutto va detto che trattasi di peperoni che, in forma dialettale ed a seconda delle zone, diventano papaccelle, pupacchie o pupacchielle, papecchie, chiacchiere, chiochiere e, come nel caso della ricetta proposta, “Pepaine” e “coloriste” dal “suono” di “’mbuttunate”, ovvero imbottite con gli squisiti ingredienti che verranno fra poco elencati e descritti con dovizia di dettagli.

Mia nonna diceva: «le “pepaine” a tavola portano bene!». Questa ricetta, quindi, non è mai mancata in famiglia durante le Feste.

Gli ingredienti fondamentali, praticamente, sono 2 (i peperoni rossi ed il “mosto cotto”) e devono essere “scelti” con cura e “preparati” con un discreto anticipo, anche mesi addietro.

Il peperone rosso è considerato un cibo dietetico perché, “anti fame”, quello che sazia di più in quanto ricco di acqua e con polpa croccante, spessa e zuccherina ma anche “rassodante” ed “antiossidante” per la presenza di provitamina A e vitamina C. Il luogo comune dell’essere indigesto deriva dalla “capsicina”, presente soprattutto nella buccia che rimossa lo rende praticamente “inoffensivo”; levare anche i semi interni che sono piccanti e pungenti.

La “pepaina” utilizzata, ortaggio della famiglia delle “Solanacee” e derivato da una pianta il cui nome botanico è “Capsicum annuum L.”, è un peperone rotondo della tipologia “Topepo Rosso”, detto anche peperone pomodoro liscio, brillante, corto, tondeggiante, schiacciato, polposo e dolce, colto in pieno campo in estate-inizio autunno e “custodito” sotto aceto fino all’uso invernale; è presente in prelibate ricette con la carne di maiale, nella famosa insalata di rinforzo, con il baccalà o assoluti padellati, i più “veraci” ed adatti sono abbastanza piccoli (diametro massimo 8-10 cm.).

Le Pepaine Sott’aceto si “progettano” in anticipo. Procurasi la dose di prodotto desiderato, quelli più “belli” ed un recipiente idoneo per conservarli, uno di terracotta smaltato all’interno e dalla bocca larga è l’ideale. Mia nonna conservava il tutto in luoghi molto freschi, oserei dire freddi, anche fuori al balcone; sopra alla bocca del vaso ci metteva un piattino per “riparare” meglio il prezioso contenuto ed io, di tanto in tanto, attirato dalla armoniosa forma, andavo a “rubare” una dose di profumi, soprattutto del volatile aceto.

Scegliere i peperoni migliori, quelli più sodi ed integri, lavarli in acqua fredda ed asciugarli accuratamente con un panno di lino pulito e ben asciutto, riporli, infine, nell’anfora interi con tutto il picciolo ed irrorare di aceto seguendo una sorta di stratificazione del tipo pepaina-aceto-pepaina-ecc (l’aceto ideale è quello fatto in casa dal vino dell’annata in corso con tanto di mosto, vinaccia e “mamma” di origine certa). Accertarsi che il liquido copra bene le ultime pepaine in prossimità della bocca e coprire … con il famoso piattino bianco che tanto bel contrasto fa con il rosso del cotto dell’anfora.

Di tanto in tanto controllare indesiderati effetti “disidratanti”, all’occorrenza aggiungere altro aceto ed aspettare il tempo necessario per la “maturazione” e l’uso … di solito invernale.

Il “mosto cotto”, chiamato da mia nonna “vino cotto” si fa, ovviamente, in periodo di vendemmia, per la precisione in fase di vinificazione, utilizzando una piccola parte del mosto d’uva, ancora carico di zuccheri, quindi prima che inizi la fermentazione; viene, allora, “tirato” direttamente dal tino contenente il liquido da trasformare in vino. Di solito è fatto con il succo di uva a bacca nera, quello di questa ricetta è stato ricavato da “Aglianico” in purezza proveniente da vigne di Montemarano.

Versare, poi, il mosto in un pentolone di adeguata capienza e riempirlo poco più della metà in modo da contenere il maggior volume di liquido che “sale” durante la fase di cottura. All’occorrenza filtrare preventivamente il pigiato d’uva se non fatto all’uscita dal fermentino.

Far bollire a lungo (per 10 litri dalle 3 alle 4 ore) e lentamente finche il mosto si riduce ad 1/4 del volume iniziale, si avvertirà un gradevole profumo di caramello, aspettare che si raffreddi ed versare infine in contenitori di vetro asciutti ed idoneamente tappati per permettere una lunga conservazione e la fragranza per il successivo uso.

Il risultato deve essere un prodotto di giusta consistenza e viscosità, ne troppo liquido ne troppo denso. Una prova fluidità si fa in un piatto ben freddo (messo in congelatore o frigo), versando un mezzo cucchiaino per “testare” quindi la corretta viscosità.

Conservare in luogo asciutto e buio per vari mesi, anche un paio di anni, se ben conservate.

Per circa 10 litri di mosto di vino si ricaveranno circa 3 litri di mosto cotto di giusta consistenza, praticamente un “aceto balsamico” d’Irpinia.

 

Molte sono le varianti di questa ricetta, in molti ne vantano tradizione ed originalità, questa è quella della mia famiglia, tramandata di “cuoca” in “cuoca” e presentata passo-passo.

Ingredienti (per circa 10 persone … durante le Feste a tavola sono presenti anche gli ospiti)

Procedimento

Preparare tutti gli ingredienti come sopra descritto, unirli ed amalgamarli bene insieme.

Con il composto ottenuto, dopo averlo ben impastato, riempire le “pepaine” una ad una.

Mettere i peperoni imbottiti in un tegame preventivamente irrorato con olio e versare poi sopra del “mosto cotto”.

 

 

 

 

Cuocere il tegame con i peperoni imbottiti ed “irrorati” in forno per circa mezz’ora a 180°C di temperatura.

Dopo i primi 15 minuti di passaggio in forno, irrorare una seconda volta con “mosto cotto” e continuare la cottura per il restante tempo previsto (altri 15 minuti circa).

Dopo la cottura estrarre il tegame dal forno, “impiattare” nel contenitore di portata scelto per far arrivare a tavola la preparazione.

 

 

 

Abbinamenti

La residua tendenza acida dell’iniziale pepaina sott’aceto unita ad una “ritrovata” tendenza dolce dovuta agli ingredienti, in particolare alla ulteriore caramellizzazione degli zuccheri del “mosto cotto” dopo il passaggio in forno, vorrebbero un abbinamento con vino di buona morbidezza e freschezza. Anche la discreta struttura della preparazione andrebbe bilanciata con un nettare di dionisio abbastanza di corpo.

Extra Moenia un Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio; Intra Moenia un buon Greco di Tufo, magari con qualche anno, ma non troppi, alle spalle.

Se la percezione dell’aceto è avvertita si può anche bere della buona acqua e rimandare il sorso alcolico alle portate successive.


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