Pizza e critica gastronomica: consenso o informazione? Iniziamo ad eliminare le sciocchezze

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

 

di Albert Sapere 

La critica gastronomica nasce in Francia verso la metà del 1800 con l’Almanach des Gourmands da Alexandre Balthazar Laurente Grimod de La Reyniere, ed è considerata a tutti gli effetti la prima guida dei ristoranti, anche se è più il racconto di un viaggio.

Sempre in Francia nel 1900 nasce la Guida Michelin, realizzata in occasione dell’Esposizione Universale, la prima edizione fu realizzata dai fratelli André e Édouard Michelin. In quel momento è una guida pubblicitaria offerta al momento dell’acquisto di pneumatici e ha una tiratura di 35 mila copie. Nel 1920 la Guida Michelin diventa a pagamento, nel 1931 apporterà una rivoluzione epocale, l’aggiunta, come segno distintivo di merito dei famosi “macarons”, oggi universalmente conosciute come “stelle”.

La prima critica di un ristorante, su un giornale, appare sul The New York Times il 1 gennaio 1859 con il titolo di How We Dine, il suo autore preferì restare anonimo.

In Italia la “rossa” arriva nel 1956 con la sua prima edizione e si ferma a Siena tra i locali recensiti. Nell’anno successivo invece si arriva ad una copertura dell’intero stivale, la guida costava all’epoca 1.500 lire.

La critica gastronomica italiana vera e propria, vede i suoi albori con Mario Soldati con la trasmissione televisiva “Alla ricerca dei cibi genuini nella valle del Po’” in onda dal 3 dicembre 1957 e Soldati “inventa” il reportage gastronomico.

All’inizio degli anni ’60 del secolo scorso arriva Gino Veronelli che è stato una figura centrale nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano. Antesignano di espressioni e punti di vista che poi sono entrati nell’uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare.

Negli anni ’70 Federico Umberto D’Amato alto funzionario all’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno e gastronomo diresse una rubrica di cucina per L’Espresso, sotto lo pseudonimo Federico Godio e fu l’ideatore della guida dei ristoranti del Gruppo Editoriale L’Espresso.

Questa premessa lunga ma obbligatoria, a mio avviso, serve per stabilire qualche concetto fondamentale. Fino a qualche fa la critica gastronomica era incentrata esclusivamente sui ristoranti, con una storia più lunga in Francia, ma che anche in Italia con decenni di esperienza e di fior di professionisti.

La critica legata alle pizzerie è giovane, ancora in fasce, poco più di una decina d’anni per i più anziani. In questo
post, Luciano Pignataro ha anche provato a ricostruire da dove nasceva il “fenomeno pizza” legato soprattutto al web.

In questi ultimi periodi ho sentito, anche da parte delle associazioni riconosciute, di voler provare a creare una figura di “degustatore di pizze” ed onestamente mi è sembrata una sciocchezza, detto fuori dai denti.  Non ci può essere un “patentino” a mio avviso poiché per parlare di ristoranti, come di pizza, conta l’esperienza “a tavola”, l’abitudine al buono, la curiosità, la voglia di approfondire.

Così come ho sentito da un pizzaiolo: “Ma come fate voi a parlare di pizza, se non la sapete fare?” Come a dire che un critico gastronomico non può dare un giudizio sulla lièvre à la royale perché non sa fare la liason con il sangue.

Capisco anche che in un mondo del web spesso selvaggio si possa essere confusi, dove i ruoli degli uffici stampa, promoter e via discorrendo, spesso vengono confusi, ed anche il ruolo del professionista e del semplice appassionato.

Ad un certo punto tutto fa brodo, ed un like su facebook vale come un articolo su Repubblica. Questa riflessione mi è venuta dopo aver ascoltato gli interventi a Pizzaformamentis, nella sessione che ho moderato, ed in particolare dopo l’acuto intervento di Vincenzo Pagano di Scatti di Gusto: “I pizzaioli cercano consenso o informazione sulla loro attivita’? E sono stati i giornalisti/blogger/influencer a mettere in moto questo meccanismo perverso o sono stati gli stessi pizzaioli, rivolgendosi a persone non adatte, pur di apparire?”

Mi piacerebbe affrontare questa discussione in un modo garbato e civile dalle pagine di questo blog, per una crescita del movimento pizza.


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