Napoli. Pizzeria Da Michele: Margherita o Marinara dal 1870

Pubblicato in: Le pizzerie
da Umberto, il menu

 

di Monica Piscitelli

Varcare la soglia di taluni locali non è solo un tuffo nel passato, ma nella storia del costume del BelPaese. Da quando la pizza – da sempre simbolo del mangiar plebeo alla napoletana è diventato simbolo nazionale, e poi globale, del fast food tricolore – è finita nel piatto della dolce vita all’italiana, tutta sole, chiassose comitive, pomodoro e vino. A ritrarla, più di un sognante cineasta d’Oltreoceano di ieri e di oggi.
E’ stato breve, poi, il passo che ne fatto un potente antidoto contro il male del secolo: la depressione, la stanchezza della rarefatta vita moderna.
Accade cosi’ che la protagonista del film “Mangia, Prega e Ama”, interpretata da Julia Roberts ritrovi la felicità tra l’Italia e l’Oriente curandosi con montagne di pasta e di pizza e che quella pizza venga dal grembo di Napoli, lì dove Salvatore Condurro seminò l’albero di cinque generazioni di pizzaioli, nel 1870.

A raccontarmi la storia della pizzeria “Da Michele”, è il dottore Francesco Condurro, il “commercialista pizzaiolo”, come lo chiamano, che nel locale del bisnonno, con i fratelli Michele, Antonio e Sergio, lo zio Antonio e i cugini, oggi costituiti in società a responsabilità limitata, oltre a curare l’amministrazione e le pubbliche relazioni, si diletta di ricerche storiche sulla famiglia e sulla pizza in generale.

E’ arrivato così a stabilire che il locale, un tempo incastonato nell’edificio oggi dell’ospedale Ascalesi, esattamente di fronte a dove è ora (a un passo dalla tumultuosa Forcella) doveva già esistere nel 1836, essendovi in tale data notizia di un Condurro che preparò una “Cosacca” (come fu chiamata la pizza che vedeva insieme gli ingredienti della marinara – aglio, origano e pomodoro – e quelli della Margherita, il fiordilatte), per lo zar Nicola II in missione a Napoli.

A succedergli, fu il figlio Michele che, oltre ad aver dato al locale il nome con il quale è noto ai giorni nostri, ha avuto il merito di definire quella che è la formula che ancora oggi ne tributa il successo: “bere o affogare, Marinara o Margherita”. A parte le bevande, tra cui le birre nazionali, non c’è altro di commestibile in questi due vani piastrellati di bianco e verde nel quale possono sedere una sessantina di avventori muniti, al loro arrivo, dal sollecito personale, di un bicchiere; forchetta e coltello e un tovagliolo di carta.

La pizza, un disco schiacciato e sottile dal cornicione appena visibile, arriva sul semplice marmo bianco dei tavoli nei quali si siede tutti insieme, servita in un gran piatto rispetto al quale (come vuole la regola della pizza “a ruota di carretto”) risulta essere piacevolmente sproporzionata. “E’ sempre stata cosi’” mi racconta Francesco che, poco prima, alla mia ridondante domanda “Che pizze fate?”, aveva riposto semplicemente, ma significativamente: “Facciamo LE pizze”. A chi è passato per il locale non saranno certo sfuggite le odi in dialetto napoletano che decantano sapori e profumi della due tradizionali e uniche pizze servite con ammirevole costanza dai Condurro da generazioni. Sono affisse al muro insieme al cartello “Pizzeria Da Michele Unica Sede” e alle foto che ritraggono gli uomini di famiglia di ieri e di oggi.

Salvatore Senior, il fondatore; Michele, suo figlio, il prosecutore; la moglie di lui, Carmela e quelli che dei loro figli che li hanno seguito in pizzeria; Salvatore il figlio che definitivamente gli subentrò alla sua morte (avvenuta nel 1959) e, infine, i figli e nipoti che oggi fanno le pizze, servono, rispondono al telefono e animano il locale, affiancati dagli “anziani”: gli zii Antonio e Luigi.

A firmare la pizza di “Da Michele”, avendo molti dei discendenti di questi scelto di andar avanti con gli studi, non è una sola mano, ma quattro o cinque. Eppure la pizza, fatta con il lievito madre, è sempre filologicamente la stessa di sempre, piaccia o non piaccia: di monacale semplicità. Ne escono dal forno circa un migliaio al giorno, dalle 9,00 alle 24,00, non stop. Il prezzo la dice lunga sulla impostazione del lavoro in questo locale: 6 euro, con tanto di birra nazionale. Il servizio, infatti, è un “optional” offerto dalla casa che vale a ricordare che un tempo la pizza (o solo suoi porzioni) si consumava al volo per sfamarsi, su semplici panche, buttate in strada.

A Margherita*

‘A quando sta ‘o benessere
‘a gente pensa a spennere
e mo’ pure o’ chiù povero
‘o siente ‘e cumannà

Voglio una pizza a vongole
chiena ‘e funghette e cozzeche
con gamberetti e ostriche
d’o mare ‘e sta città.

Al centro poi ce voglio
n’uovo datto alla cocca
e co liquore stok
l’avita annaffià.

Quando sentenno st’ordine
ce venne cca’na stizza
pensano ma sti pizze,
songo papocchie o che.

Ca se rispetta ìa regola
facenno ‘a vera pizza
chella ch’è nata a Napule
quasi ciennt’anne fa.

Chesta ricetta antica
si chiamma Margherita
ca quanno è fatta a arte
po ghi nant’a nu re.

Perciò nun e cercate
sti pizze complicate
ca fanno male ‘a sacca
e ‘o stommaco patì.

(Gennaro Esposito)

* il testo di una delle due poesie affisse nel locale

L’Antica Pizzeria srl Da Michele
Via Cesare Sersale, 1/3 Napoli
tel. 081 5539204 – info@damichele.it
www.damichele.net
Chiuso domenica


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