Tema: è giusto far pagare le visite in cantina?

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista
Visita in cantina

Visita in cantina

di Luciano Pignataro

Mi ha colpito la replica di Nicoletta Bocca, produttrice di Dolcetto, a un cliente che si lamentava della novità di dover pagare la visita in cantina. Cercando un po’ in rete ho visto che è un tema ricorrente, e questo è un buon segno: 25 anni fa, prima della rivoluzione degli anni ’90, nessuno si sarebbe sognato non di far pagare, ma di fare entrare un estraneo in cantina. Un po’ come parlare di divorzio e aborto negli anni ’50.

Ecco il post su Facebook.

Nicoletta Bocca riporta prima la mail di protesta

BREVE STORIA MEDIOCRE

Egregi signori
Due anni fa vi abbiamo visitato e abbiamo comprato molti vini da te e non c’era alcun costo per visitare e degustare, ma ovviamente hai cambiato la tua politica e questa è una politica che non apprezziamo, quindi non siamo interessati a visitare e gusti i tuoi vini più.

Ed ecco la replica

Gentile Signore,

siamo una azienda che produce vini, la cui occupazione principale è quella di seguire vigna e cantina. Io sono sola, e per poter continuare a fare il mio lavoro senza trascurarlo e ricevere le visite delle persone, ho dovuto appoggiarmi a Sara, una giovane ragazza appassionata che mi affianca. Non ho un nonno, uno zio o una moglie che faccia accoglienza a tempo perso, e senza Sara la possibilità di visitare questa cantina, ormai da un paio d’anni non esisterebbe del tutto. Sara impiega il suo tempo che va giustamente remunerato, apriamo delle bottiglie che hanno un valore e questa è una attività che ha un costo, non riesco francamente a capire cosa ci sia di tanto offensivo nel chiedere che questo servizio venga pagato nel caso qualcuno voglia semplicemente conoscere e degustare senza senza sentirsi obbligato a comperare le bottiglie. Il costo della visita non viene naturalmente calcolato nel caso le persone acquistino del vino, come probabilmente sarebbe stato il suo caso, ma forse questa cosa che a noi sembra ovvia non è stata spiegata con sufficiente chiarezza e me ne scuso. Con la sua risposta mi ha segnalato un problema a cui cercheremo di rimediare. D’altro canto, se davvero lei trovasse i vini eccellenti e avesse davvero interesse e rispetto della serietà del nostro lavoro, prima di offendersi e scrivere una mail con un tono indispettito e infantile, avrebbe potuto semplicemente chiedere maggiori informazioni e chiarimenti. Evidentemente il suo interesse è decisamente inferiore alle sue pretese e a questo punto la scelta di annullare la visita è forse la cosa migliore per entrambi. Questa zona sta ormai diventando sempre più turistica, una meta di persone che trascorrono i loro sabati e domenica girando di cantina in cantina come passatempo senza nessuna intenzione di acquistare, cosa che è perfettamente comprensibile, ma che richiede energia, tempo e persone. Se andassero al cinema o a un museo, dovrebbero pagare un biglietto e non avrebbero nulla da obiettare, invece i produttori devono essere a loro competa disposizione, durante la settimana per produrre il vino e al fine settimana per farli divertire.
Le auguro comunque di passare delle belle giornate in Langa e la saluto cordialmente

Direi che c’è poco da aggiungere. Non solo è giusto far pagare le visite in cantina, ma dobbiamo auspicare che questa prassi diventi sempre più diffusa in tutta Italia perché può cambiare i destini produttivi di alcune zone.
Per quanto la vendita on line sia sempre importante, la visita in azienda e l’acquisto diretto è sicuramente la migliore pratica per poter conservare il vino a lungo sapendo bene il percorso che ha fatto. E’ didattica ed è il toccasana soprattutto per quelle zone agricole e rurali che non sono turistiche.
C’è il rischio di banalizzazione e omologazione? Forse nei protocolli di accoglienza sì, ma qui sta alle cantina attrezzarsi con persone competenti e preparate, capaci di capire se si ha di fronte l’appassionato della domenica (la categoria più bella e importante per i numeri), l’esperto o un negoziante.
Forse un sintomo della crisi culturale in cui viviamo è che nessuno mette in discussione pagare mille euro un iPhone e sottostare alle angherie delle società telefoniche mentre un ticket di 10 euro in una realtà agricola ci sembra offensivo.
Come si dice a Napoli:

‘A carne ‘a sotto e i maccarùne ‘a coppa


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