Tursi (Matera), Palazzo dei Poeti

Borgo Rabatana, via Manzoni
Tel. e fax 0835.532631
www.palazzodeipoeti.com
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Sempre aperto, chiuso lunedì
Ferie a novembre

Il Palazzo è in cima al centro storico.Era questa, prima della costruzione della Basentana, la strada principale che collegava il Tirreno allo Jonio. Dal Vallo di Diano si prosegue seguendo le rotte degli antichi lucani, poi dei conquistatori romani. Gli arabi occuparono Tursi per controllare il commercio del mare e resistettero fino alla fine nella loro città fortificata, questo significa, appunto, Rabatana. La brezza marina spolvera la sabbia rossa sulle fondamenta di un antico maniero forificato distrutto, nei vicoli tipici dell’architettura mediorientale dove il confine tra abitazione e passeggio pubblico è sempre impercettibile, segnato dalla consuetudine più che dai cancelli e dai mattoni, spunta questo palazzo magico ben ristrutturato, il Palazzo Canonico del castello nelle cui cantine è stato ricavato il ristorante, attorno al quale sta rinascendo il borgo abitato solo da suor Celeste e suor Pacifica, un ciuccio e qualche anziano contadino.

Le due suore curano la Chiesa Santa Maria Maggiore dove è custodito un interessante trittico della scuola napoletana di Giotto del XIII secolo e un antico presepe in pietra del ‘600. Ormai il Mezzogiorno è pieno di borghi ben ristrutturati dalla mano pubblico, ma la maggior parte resta chiusa perché non ci sono idee imprenditoriali, un po’ come la sala da pranzo buona mai usata perché comunque si mangia in cucina.

Qui, invece, l’iniziativa è stata privata, uno dei rari casi in cui ha funzionato l’idea di De Rita dei Patti Territoriali: ripreso il Palazzo, attrezzate le stanze, organizzata una sorta di vineria per l’estate, l’idea è creare un albergo diffuso recuperando lentamente le case abbandonate. <I vicoli della Rabatana pullulavano di gente, di suoi e profumi armoniosi, oggi fischia solo il vento tra rovine e calanchi argillosi>: Paolo Popia, patròn della struttura, è un giovane saraceno amante dell’architettura e della poesia dialettale e italiana, perciò la carta del menu alterna i piatti ai versi, spesso recitati durante il pranzo ai commensali secondo una consuetudine molto diffusa nel Sud contadino nella quale l’oste faceva anche quello che a Napoli si chiama ‘ntrattieni: un po’ di musica, barzellette, racconti e poesie. Nasce così l’enorme tradizione orale di derivazione greca raccolta dai poeti locali solo negli ultimi tempi.

Una esperienza in cui si trova a proprio agio tra noi italiani, che in genere non amiamo posti silenti e austeri per fare vacanza, soprattutto chi è ricco dentro o ha una storia da vivere in comune con un’altra persona, la vacanza perfetta per il turista anglosassone in cerca di quiete e verità. Un rifugio, insomma, dopo la giornata trascorsa al mare tra la volgarità della pianura o nell’austera bellezza della montagna. In cucina si lavora la materia prima del territorio, una cucina a mezza strada fra le spiagge dello Jonio e i monti del Pollino a vocazione terragna in cui la fanno da padrone gli ortaggi coltivati nel Metapontino, come nel saccottino con crema di melanzane e provola su letto di pomodorini o lo zuccotto di verza con salame pezzente e provola su zuppettina di lenticchie. Scontata la selezione dei salumi lucani, per restare agli antipasti, vista la qualità della produzione del Parco nazionale del Pollino, il più grande d’Italia, tra cui spicca un bel culatello. C’è la Puglia nei primi, come gli strascinati confave novelle, pancetta croccante e pecorino, ma anche la Lucania con i fericelli al ragù di lepre o le orecchiette con guanciale e finocchietto selvatico della Rabatana. Tra i secondi i fagottini di filetto di maialino con provola e pomodorino o la costoletta di agnello in farcia di erbette aromatiche della Rabatana e, ancora, la tagliata di podolica con rucola, scaglie di grana e riduzione di aceto balsamico. Davvero buono l’agnello, proposto anche in bocconcini con patate al rosmarino del borgo. Immancabili i peperoni cruschi della vicinissima Senise, la selezione di formaggi lucani (ne studierei uno per sostituire il grana nel piatto della tagliata). Dolci da manuale più che di territorio come la bavarese di fragole e il tortino caldo al cioccolato con salsa di menta: non sarebbe male però aggiungere anche un po’ di pasticceria tradizionale per chi queste cose le trova ormai in franchaising in tutti i ristoranti di città. Servizio caldo e appassionato con qualche ingenuità di servizio come la scelta dei bicchieri forniti dalla Mionetto per i bianchi mentre la carta dei vini va irrobustita con altri aglianico del Vulture e qualche buon bianco campano di cui si sente la mancanza soprattutto negli antipasti, magari al Prosecco vanno affiancate le bollicine materane di Michele Dragone.

In conclusione, una bella esperienza, il segno del Sud che sta voltando pagina, una sorta alfabetizzazione di ritorno dopo la grande emorragia seguita all’invasione piemontese e durata oltre 150 anni durante i quali si sono persi tesori, menti ed energie fisiche. Tra poche stagioni i vicoli della Rabatana saranno nuovamente pieni di persone e i contadini avranno a chi vendere la qualità. Sui 40 euro, vini esclusi.

Come arrivare. Lasciare la Salerno-Reggio ad Atena Lucana e imboccare la Val d’Agri. Percorrerla tutta quasi sino alla Jonio. Una ventina di chilometri prima del mare c’è l’uscita di Tursi.


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