Cornicioni pericolanti e il valore assoluto del pizzaiuolo

Pubblicato in: Curiosità
Raffaele Russo, il pizzaiuolo in doppia erre

di Marco Galetti

Ma siamo a Milano… sei sicuro, mi ha detto a metà strada tra stupito e contento mentre, dopo una pizza fritta, una crocchetta di patate napoletana con mozzarella e pepe, una con provola e friarielli, si apprestava ad aggredire A’ Frittatin e Maccarun che anch’io personalmente adoro.

Poi si è messo a parlare in dialetto stretto col proprietario del locale, entrambi napoletani hanno scoperto di provenire dallo stesso quartiere, dalla stessa via e, anche se ho capito a metà quel che dicevano in lingua talmente verace che le vongole in circolazione sentendosi inadeguate sono fujiute, ho goduto anch’io del piacere che ho visto nei loro occhi,  mentre ricordavano nomi, luoghi, storie e persone, che li accomunavano… sono tornato per un lungo momento indietro nel tempo, quando nella nostra casa di Milano, qualche parente o amico toscano veniva a far visita a mia madre, poi con Raffaele Russo ho parlato di pizza, di lieviti, impasti, camere e maturazioni e le parole e la passione del pizzaiuolo in doppia erre, mi hanno fatto pensare…(continua)

Una Pizzeria non è come una Trattoria, un’Osteria o un Ristorante (stellato, sotto le stelle o a lume di candela sperando di spegnerla dopo, non fa differenza), una Pizzeria è un’entità a se stante.

Si può varcare la soglia di una trattoria anche se sappiamo che il loro risotto ha perso definitivamente l’onda, si ordina un piatto di salumi e si stappa una bottiglia in compagnia, in un’Osteria in teoria ci si può andare anche se non fanno da mangiare così bene, si chiacchiera col proprietario, si assapora una zuppa di fagioli povera e fumante e con un semplice pezzo di formaggio la serata scivola, in un ristorante di pesce basta non ordinare carne, solo carne invece, quasi sempre lontano dal mare.

Se in un locale napoletano sanno fare la genovese ma non la frittura, poco male, eviteremo il pesce, se in una trattoria cilentana gli scauratielli o i babà dovessero uscire dalla lista o entrare per esecuzione maldestra in quella nera, poco male troveremo e proveremo con un tiramisù a risollevarci, insomma, se tutto non ci convince si può star bene ugualmente, in una pizzeria no.

In una pizzeria non ci sono margini di trattativa.

Se la pizza è o non è buona, anche un profano se ne accorge, non solo per la digeribilità a fine serata, per l’assenza di sete notturna o per la lingua felpata non pervenuta, ma anche nell’immediato, al primo assaggio, è qualcosa di magico da toccare con mano, anzi con i denti, con la bocca, con la lingua e col palato quella sensazione di scioglievole leggerezza che pochi pizzaioli sanno regalarci.

Un bravo pizzaiolo deve avere la base, questo il concetto base, base ottimale della pasta per un altezza del risultato finale e del cornicione che non deve essere necessariamente pompato, ma nemmeno pericolante, quindi deve essere cotto bene ma non croccante né bruciato, né tanto meno biscottato, nessun tunnel del cornicione e della Manica ma sarà un asso nella manica un aspetto alveolato, anche una piccola galleria ma non compatta, si deve vedere la luce.

Anche un fuf blogger se ne accorge, senza necessariamente osservare il fondo o fare una scansione della sezione del cornicione, che resta pur sempre un indice di gradimento o, se la pizza non viene bene un indice puntato, un dito di monito…

Dietro la sensazione di piacere che gli appassionati di pizza provano c’è un pizzaiolo infarinato con la farina del suo sacco di studio e sacrificio.

Il disco volante per eccellenza, il fiore dai petali più profumati del mondo non nasce dal nulla o per caso.

Partendo dalla scelta più semplice, si fa per dire, che non richiede un mix di farine, molte variabili, che potrebbero impazzire, concorrono alla preparazione di un impasto ottimale per la preparazione della pizza, facilissima da mangiare, difficile se non difficilissima da preparare.

L’impasto deve avere un punto di idratazione compreso tra 65 e 75 per cento,  la percentuale è determinata dalla forza e dall’assorbimento della farina, 71% è quella che predilige Raffaele Russo per ottenere un impasto non troppo idratato e non troppo difficile da lavorare.

Per cui 15 litri d’acqua, 21,150 Kg. di farina, 825 grammi di sale (55 grammi a litro per 15 litri), lievito da 2 a 3 grammi a litro d’acqua.

6 ore di vasca per la lievitazione, 1 ora fuori dalla vasca per lo staglio, il momento in cui si suddivide l’impasto in panetti.

Prima dell’appretto, il momento in cui si decide di stendere la pizza sono necessarie varie ore di maturazione, variabili da 12 a 50 che determineranno sapore, alveolatura, struttura, digeribilità, friabilità e colore.

Già con trenta ore, 6 di vasca e 24 di maturazione, si otterrà un buon impasto maturato e lievitato a dovere sempre che il forno abbia fiamma e potenza di calore con un aggressività trattenuta, diciamo sui 460/500 gradi, la pizza sarà bella buona, profumata, cotta a dovere e digeribile.

Quel che ho provato quando ho assaggiato la pizza di Daniele Ferrara, la numero uno della mia personale classifica o quella di Raffaele Russo, pizzaiolo con la P di pizza e di Persona maiuscola, non si prova sempre, per cui mi vedo costretto a ribadire quel che dissi, molti dovranno farsene una ragione.

Se tutti fossimo intercambiabili come lampadine non avremmo più la necessità e il piacere di sederci alla luce e al calore del fuoco, cuore pulsante e immaginario di ogni conversazione ma anche cuore pulsante e vibrante di una pizzeria, certo siamo tutti sostituibili ma non tutti intercambiabili.

Così come, da sempre, mi piace chi sembra dire quasi involontariamente cose surreali in modo naturale, Daniele Ferrara e Raffaele Russo sanno fare pizze surreali, nell’accezione più positiva del termine, in modo naturale… alcune persone hanno qualità innate, talenti ricevuti da coltivare con sacrificio e passione, doni destinati a pochi, quei pochi destinati ad emergere, ad andare oltre…


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