Non confondiamo le avanguardie con la voglia di diventare influencer di cuochi e pizzaioli!

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

 

Cucina di Avanguardia? Più di Facebook, Chiara Ferragni su Instragram sta incidendo in modo decisivo nella trasformazione della figura del cuoco. In fondo, se ce l’ha fatta una donna senza qualità (ossia senza una competenza specifica se non quella, difficile e rara, di risalire la corrente nel nuovo mondo) perché non possono farcela una donna carina e un uomo figaccione che fanno il mestiere più ambito del momento, ossia il cuoco (pardon, lo chef).

I presupposti ci sono: oggi in Italia puoi sputtanare e svillaneggiare il papa, i politici, i magistrati, gli attori, i calciatori, tutti, tranne che gli chef. Una vera e propria casta di intoccabili mediaticamente: l’unica che trova pronti difensori a scendere in campo per tutelarli dalla sia pur minima critica e osservazione.

Dopo l’era dei cuochi televisivi sta dunque nascendo quella dei cuochi capaci di strappare like e accumulare decine di  follower sino all’agognato bollino blu che ti riconoscono i social, quello che ti fa entrare nella casta dei vip. Ed è in quel momento che di te iniziano ad interessarsi auto, profumi, case di moda. Tutto questo è molto bello: via dalla fatica dei fornelli, liberi dal volgo di Tripadvisor, in mona il critico che non incide manco per un posto in più. Sei tu: devi solo fare belle foto, pose fighe, scatenare l’immaginario, proprio come ha fatto la Ferragni.

Che l’aria fosse cambiata l’ho capito questo ottobre in Champagne dove mi sono ritrovato in una pattuglia di dieci influencer provenienti da tutto il Mondo in cui a capire di vino eravamo in tre. Appena arrivati in una cantina la maggior parte si disiteressava completamente alle degustazioni e ai processi produttivi per dedicarsi alla caccia di una foto sorprendente. Era questo il loro lavoro! Alla Dom Perignon sono rimasti stupefatti: per la prima volta dopo 200 anni di viste le coppe di Champagne restavano piene tra il disinteresse generale.

Un processo simile è in corso nella cucina, dove l’abbinamento tv e social sta cambiando questo lavoro in modo radicale trasformandolo in immagine senza sostanza. A parte quella che riempe il conto in banca dei pochi fortunati.

Del resto è la logica conseguenza di una sete di visibilità che attraversa cuochi e pizzaioli come mai era accaduto prima.

Ma tutto questo cosa c’entra con la critica? Direi nulla con quella che scrive per i clienti e i lettori, parecchio con quella fetta che sposa questi atteggamenti definendoli “avanguardia” e partecipa agli utili e ai dividendi che provengono dalla visibilità attraverso viaggi spesati in giro per il mondo, consulenze e comparsate in tv e sui social.

Noi, sia chiaro, non vogliamo dare un ordine di qualità, nè gerarchizzare l’etica di questi comportamenti. Ma desideriamo una chiarezza espositiva che purtroppo manca in questa autorappresentazione di ruoli confusi che vanno a braccetto..Se ci fate caso, nel mondo web sono sempre meno le recensione dei luoghi realmente frequentati dalle persone e negli stessi locali che sono al top, e non solo perché lì si paga parecchio, ma soprattutto perché si è coscienti di non fare numeri alti, di non essere fighi e dunque di non far parte di questo circo di panna montata in cui la cucina è l’ultima preoccupazione per i cuochi (pardon gli chef ) e gli pseudo critici di cui non sappiamo esattamente le voci che compongono la dichiarazione dei redditi a fine anno.

Sarebbe bene precisare allora una cosa sopra tutte: NON E’ QUESTA L’AVANGUARDIA! L’avanguardia, lo dice la parola stessa, è un movimento che contesta il passato e anticipa il futuro. In gergo militare, da cui è tratto il termine, l’avanguardia precede il resto dell’esercito, non lo lascia indietro. Ma la maggior parte di questi cuochetti da shooting non possono anticipare nulla se non le nuove inquadrature.
NON E’ QUESTA LA MODERNITA’, perchè la storia delle civiltà dimostra che quando l’estetica, la funzione narrata e non esercitata, sostituisce l’etica e il progetto si parla di regresso, non di progresso. Sono i ceti dominanti che se la godono senza avere più la capacità di essere leader. E’ quando i gladiatori sostituiscono i soldati.

Un segnale che le cose stessero precipitando è stato dover mangiare negli ultimi anni in sale desolatamente e irrimediabilmente vuote di locali iper elogiati dalla critica ma che per reggersi impegnano gli chef in convegni, sponsor, pubblicità, comparsate, giri all’estero e quattro mani. Tutto questo mentre il riferimento del grande pubblico che va a mangiare fuori è diventato TripAdvisor che ha occupato il gigantesco spazio vuoto lasciato dalla critica sul 90% della ristorazione pubblica. Pensavamo fosse avanguardia e invece ci siamo resi conto che era, il più delle volte, un banalissimo cazzeggio di cuochetti abituati a orecchiare, spiare su Facebook, rubacchiare qualche idea in stage lampo fatti a destra e a manca.

Avanguardia vera negli ultimi anni sono stati Gennaro Esposito, Massimo Bottura, Nino Di Costanzo, Mauro Uliassi, Massimiliano Alajmo, Salvatore Tassa, Ciccio Sultano, Pino Cuttaia, Davide Scabin che hanno visto i loro piatti copiati e ricopiati dopo essere stati criticati all’inizio.

Avanguardia sono stati i Cerea, Don Alfonso, L’Enoteca Pinchiorri, La Locanda del Pescatore che hanno creato uno stile di sala unico e ancora oggi inimitabile oltre che lavorare sui piatti, anch’essi copiati e ricopiati.

L’Avanguardia non può essere sempre tale.
E oggi è chiaro in quale direzione cercare la vera avanguardia gastronomica: in quei cuochi che, stanno ben lontano da Instagram e cazzate varie, sapranno ragionare con la materia in modo moderno coniugando etica ed estetica, etica del prodotto, della cucina e dell’ambiente. Estetica del piatto. Questa è la nuova frontiera dell’impegno alle prese con temi che i ristoranti citati non avevano ancora di fronte.
I cuochetti da laboratorio lasciamoli alla critica che si occupa di moda e di spettacolo o ai marchettari di lusso e che hanno, un po’ come i politici, perso completamente i contatto con la realtà della gente comune
Perché noi, più banalmente, alla fine scriviamo per i lettori e i clienti.


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